Come accennato nei precedenti saggi non possiamo sapere se Putin e la Russia, in cui non mancano certo le contraddizioni, saranno fino in fondo all’altezza del compito che si propongono, né se lo sarà la Chiesa Ortodossa o come si evolverà quella cattolica anche nei suoi rapporti con la prima. Tuttavia, da quanto detto finora mi sembra emerga con chiarezza che la rinnovata rivalità fra Usa e Russia sia molto di più che una questione meramente geopolitica, ponendosi invece come confronto fra due opposte concezioni del mondo, perciò strategicamente incompatibili quando l’una voglia prevalere sull’altra.
Gli scenari del confronto
In questo confronto ora è lo Stato Russo, quasi invertendo le parti rispetto a quanto scriveva Schmitt, che necessita di una Chiesa forte, un partner da cui trarre ispirazione anche per alcune scelte politiche (oltre che legittimazione dei propri fondamenti giuridici basati sul diritto naturale e non su quello positivo, con ciò autoponendosi un limite invalicabile).
In quanto fra opposti modelli di civilizzazione, il confronto si giuoca necessariamente su più scenari intrecciati: geopolitico (accerchiamento di Stati amici), economico (controllo delle fonti e dei flussi energetici), militare (interventi armati diretti o per interposta persona), utilizzando tutti quei movimenti, spesso in feroce lotta fra loro, che si propongono di ribaltare gli equilibri in medio oriente. Fra questi anche (sic!) l’Islam fondamentalista e terrorista. Lo scopo è quello di destabilizzare l’area e creare una rete di Stati sotto la diretta influenza statunitense o, come nel caso dei fondamentalisti islamici, creare una situazione tale per cui si renda indispensabile l’intervento armato così detto umanitario.
Non meno importante sul piano strategico, è però lo scenario della guerra culturale. Gli Stati Uniti se ne sono resi ben conto e agiscono di conseguenza, col triplice scopo di
- Delegittimare agli occhi del mondo il gruppo dirigente russo e Putin in prima persona, accusati in pratica di tutto: dalla non democraticità del regime (nonostante il ripetuto sostegno popolare a Putin, ben maggiore di quello ricevuto da Obama se teniamo conto di quanti cittadini Usa vanno a votare nelle elezioni presidenziali) e dall’interferenza negli affari interni di altri paesi, come l’Ukraina nella quale tuttavia gli Usa non hanno esitato ad appoggiare gruppi neonazisti, alla repressione delle etnie presenti sul suolo della Russia, dimentichi della loro storia e della loro politica rispetto ai nativi americani. Non poteva mancare, naturalmente, l’accusa di non rispetto dei diritti umani e civili, questione posta con tanta più forza quanto più viene percepita come la più facilmente comprensibile per l’opinione pubblica interna dei paesi occidentali.
- Rafforzare, appunto, la convinzione nei propri cittadini di trovarsi di fronte ad un nuovo potenziale Impero del male, e quindi di essere dalla parte del bene e del vero, ovvero della storia e del progresso civile, così che passino in secondo piano i comportamenti reali e concreti dell’amministrazione USA e si crei un fronte interno in cui liberal e neocon marcino uniti.
- Destabilizzare la Russia per quanto possibile, facendo leva sull’opposizione interna in quel paese, finanziandola, incentivandola e ampliandone l’importanza.
L’uso politico della letteratura e dell’arte per veicolare l’ideologia su cui si regge il potere è cosa nota da sempre e non sorprende. Ma il caso degli Stati Uniti presenta un aspetto unico e particolare in quanto specchio non mediato della logica del capitale, e merita una breve digressione. È ormai noto, quantunque sconosciuto al grande pubblico ed anche all’illusione narcisista degli artisti ribelli e anticonformisti, che il modernismo e l’astrattismo, ossia la negazione programmatica del bello e di ogni determinazione formale dell’opera d’arte, sono stati imposti dalla CIA in funzione antisovietica. Slegata da ogni vincolo formale ed estetico e perciò definita libera, la pop-art occidentale (definiamo così per comodità tutta l’arte non figurativa affermatasi nel secondo dopoguerra), si contrapponeva a quella del realismo socialista che, come sempre è stato, attraverso l’immagine intendeva veicolare emozionalmente un contenuto positivo, per quanto discutibile fosse. Non è quì in discussione la reale e concreta consistenza artistica del realismo socialista, bensì il fatto che si riferiva pur sempre a principi formali ed estetici. Negarli, ha significato disconoscere ogni radice culturale, quindi anche tutta l’arte del passato. Ma non solo, perché quella pretesa libertà da ogni vincolo che l’avanguardia artistica, ovviamente sedicente di sinistra, vanta come il massimo dell’anticonformismo e della contrapposizione all’arte borghese, finisce concretamente per sottoporre il valore dell’opera d’arte all’unico criterio del mercato. È il suo valore di scambio che le conferisce, diciamo così, bellezza e importanza e non viceversa. Lasciamo pure perdere il fatto che il valore di mercato di un qualcosa che nega radicalmente l’estetica e quindi la fruibilità (il suo valore d’uso immateriale), è totalmente manipolabile dalla critica secondo cospicui interessi. Le cosa importante da sottolineare è invece il nichilismo radicale dell’arte moderna e il suo essere immediatamente una merce. La pop art nega tutti i noiosi vincoli a cui era ancorata quella precedente nonché quelli imposti dalle preferenze del committente, ma non può negare il vincolo del mercato. Riappare allora, con chiarezza, il nichilismo della forma merce come scopo e destino del capitale. Così che le avanguardie ribelli e antiborghesi diventano le punte di diamante della sua penetrazione (sotto i graziosi auspici della CIA) in un mondo, quello dell’arte e della cultura, che intrinsecamente gli sarebbe estraneo.
Tornando al nostro argomento specifico, esemplare è stata la vicenda dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Sochi 2014, alla quale i leaders occidentali, con la sola eccezione di Enrico Letta, si sono rifiutati di partecipare per solidarietà agli omosessuali russi contro le leggi definite antigay, quelle, come ho ricordato sopra, che avrebbero impedito di impartire a ragazzi quattordicenni una lezione di fellatio omosessuale.
In quell’occasione la federazione tedesca ha escogitato la mossa propagandistica di indubbio impatto mediatico, di far vestire i propri atleti coi colori arcobaleno, mentre su tutti i media occidentali è stato dato grande risalto alla questione. Così come grande risalto negativo hanno avuto le dichiarazioni della campionessa mondiale di salto con l’asta, Yelena Isinbayeva, colpevole di aver detto «Io sono a favore delle regole sui gay, noi russi siamo normali, i ragazzi con le donne e le ragazze con gli uomini», e naturalmente costretta dalla pressione mediatica ad una semiritrattazione.
In questo contesto di guerra culturale, un ruolo importante in quanto fenomeno altamente mediatico, è stato assegnato alle Femen e alle Pussy Riot, due gruppi punk femministi, ucraino l’uno e russo l’altro, che conducono azioni nonviolente contro Putin, contro la religione e contro il patriarcato, delle quali ci limitiamo ad elencarne alcune fra le più eclatanti. Per chi avesse conservato un minimo di buon senso è sempre stato evidente che non si è mai trattato di fenomeni spontanei, ma di creazioni eterodirette e finanziate con scopi precisi, quelli appunto ricordati sopra. Nel febbraio del 2012, le Pussy Riot si introdussero nella Cattedrale di Cristo Salvatore, a Mosca, intonando una canzone in cui si invocava la conversione femminista della madonna e la cacciata di Putin per sua opera, e si recitavano versi come i seguenti: «merda, merda, merda del Signore». Subito arrestate e condannate a due anni di reclusione per offesa premeditata ai danni della Chiesa ortodossa e condotta lesiva di tradizioni nazionali millenarie, furono amnistiate dopo pochi mesi ad opera dell’oppressore Putin in persona. Il loro intento dichiarato era di quello di denunciare i legami fra Chiesa e Stato, apostrofando come puttana il patriarca di Mosca, e contestando la democraticità dell’elezione di Putin. I sondaggi hanno mostrato la scarsissima considerazione nutrita verso quel gruppo (solo il 6% della popolazione ha dichiarato di provare rispetto o di non avere obiezioni alle loro azioni), ma il can can mediatico occidentale è stato immediato e pesante. Dall’immancabile Madonna ad ad altri esponenti dello Star System, da Obama alla Merkel, tutti hanno fatto a gara nello stigmatizzare la sentenza come eccessiva e poco rispettosa della libertà d’espressione, mentre l’ineffabile Amnesty International le ha nominate prigioniere di coscienza e la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la libertà d’espressione deve essere applicata «non solo alle idee inoffensive, ma anche a quelle che offendono, scandalizzano o disturbano lo stato o settori della popolazione». Aspettiamo identico pronunciamento per le future denunce di omofobia nei confronti di qualche dichiarazione che offenda il movimento LGBT.
Non da meno sono le Femen, use a manifestare in varie parti del mondo a seno nudo contro la mercificazione del corpo femminile, naturalmente ben pagate. Delle loro performance per i diritti civili, per le donne, contro le religioni, il maschilismo etc. etc. in Ucraina, Russia, italia, Svizzera, Polonia, Inghilterra, Francia, particolarmente significativa per gli esiti a cui ha dato luogo, è stata quella del 12 febbraio 2013 nella basilica parigina di Notre Dame. Per festeggiare le dimissioni di Benedetto XVI, hanno fatto irruzione a seno nudo nella chiesa al grido di «mai più papa», e, riportano le cronache, hanno preso a bastonate un’antica campana coperta di lamine d’oro, esposta al pubblico in occasione dell’ottocentocinquantesimo anniversario della cattedrale. Un evidente e voluto oltraggio alla sensibilità dei credenti, la gratuita profanazione di un luogo e di un oggetto simbolico in spregio al rispetto delle idee altrui. Non risultano dichiarazioni di Amnesty o pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo. Sono state processate, ma non per oltraggio, o incitamento all’odio religioso o per atti osceni in luogo pubblico, come sarebbe stato ovvio in un paese normale che tenga al rispetto di ogni simbolo e di ogni sensibilità, come si vanta essere la Francia. L’unica imputazione è stata quella di danneggiamento di beni materiali, e naturalmente sono state assolte, mentre in compenso ai guardiani che avevano tentato di fermarle sono state comminate ammende fino a mille euro per i metodi troppo sbrigativi.
L’episodio è rivelatore. L’occidente nichilista odia se stesso e le proprie tradizioni millenarie che vuole dissolvere. Mentre ci si fa beffe del loro valore simbolico, l’unica cosa rimasta eventualmente da salvaguardare è il valore materiale degli oggetti che quelle tradizioni incarnano. Torna prepotente il fantasma del nichilismo della merce!
È ormai di pubblico dominio che le Pussy Riot, in rapporti con l’ex oligarca Khodorskovsi (defenestrato da Putin e arrestato ma anch’egli amnistiato), sono pagate dal democraticissimo finanziere ungaroamericano George Soros. Quello che all’inizio degli anni novanta scatenò un micidiale attacco speculativo contro la lira (cioè contro uno stato sovrano, fra l’altro alleato degli Usa), rischiando di far fallire il nostro paese, e che qualche mese fa è stato graziosamente accolto come terzo socio più importante nelle Coop Rosse. Dal canto loro, le Femen ricevono finanziamenti dal miliardario tedesco cinquantenne Helmut Losef Geier, dall’imprenditrice tedesca Beate Schober e dall’altro multimilionario statunitense Jed Sunden, fondatore del magazine The Kyiv Post.
Tutto lascia pensare insomma che Femen e Pussy Riot siano burattine nelle mani di qualcuno molto potente e usate come fattore di disturbo all’interno della Russia e di delegittimazione sul piano internazionale. Solo dei media in cattiva fede o così ingenui da rasentare l’imbecillità possono pensare che non sia così, ma sono la maggioranza.
Conclusione
Non possiamo sapere come sarà il futuro, come si evolverà il confronto che ho tentato di delineare nelle sue direttrici principali, confronto che va oltre le volontà e le abilità dei singoli personaggi, quantunque contino an-ch’esse, com’è ovvio. Alla soglia della riunificazione del mondo sotto il segno del capitale e della merce, qualche opzione diversa sta affacciandosi, qualche anticorpo si sta generando. Ogni possibilità, credo, è aperta. Oggi sarebbe già tanto che guadagnasse terreno la consapevolezza della posta in gioco e i terreni su cui la partita si svolge. Se non si tratta già di scelte di campo consapevoli, mi pare che, almeno in Italia ma più in generale in Europa, la confusione regni sovrana in mezzo ad un preoccupante conformismo che continua a ragionare, in processi storici che le hanno rese obsolete, con le categorie del secolo scorso. Vale per la politica ma non solo.