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NotizieRussia e Usa, solo una questione geopolitica? 3/3

Russia e Usa, solo una questione geopolitica? 3/3

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Come accennato nei precedenti saggi non possiamo sapere se Putin e la Russia, in cui non mancano certo le contraddizioni, saranno fino in fondo all’altezza del compito che si pro­pongono, né se lo sarà la Chiesa Ortodossa o come si evolverà quella cattolica anche nei suoi rapporti con la prima. Tuttavia, da quanto det­to finora mi sembra emerga con chiarezza che la rinnovata rivalità fra Usa e Russia sia molto di più che una questione meramente geopolitica, ponendosi invece come confronto fra due oppo­ste concezioni del mondo, perciò strategica­mente incompatibili quando l’una voglia preva­lere sull’altra.

Gli scenari del confronto

In questo confronto ora è lo Sta­to Russo, quasi invertendo le parti rispetto a quanto scriveva Schmitt, che necessita di una Chiesa forte, un partner da cui trarre ispirazio­ne anche per alcune scelte politiche (oltre che legittimazione dei propri fondamenti giuridici basati sul diritto naturale e non su quello positi­vo, con ciò autoponendosi un limite invalicabi­le).

In quanto fra opposti modelli di civilizzazione, il confronto si giuoca necessariamente su più scenari intrecciati: geopolitico (accerchiamento di Stati amici), economico (controllo delle fon­ti e dei flussi energetici), militare (interventi ar­mati diretti o per interposta persona), utilizzan­do tutti quei movimenti, spes­so in feroce lotta fra loro, che si propongono di ribaltare gli equilibri in medio oriente. Fra questi anche (sic!) l’Islam fondamentalista e terrorista. Lo scopo è quello di destabilizzare l’area e creare una rete di Stati sotto la diretta influenza statu­nitense o, come nel caso dei fondamentalisti islamici, creare una situazione tale per cui si renda indispensabile l’intervento armato così detto umanitario.

Non meno importante sul piano strategico, è però lo scenario della guerra culturale. Gli Stati Uniti se ne sono resi ben conto e agiscono di conseguenza, col triplice scopo di

  1. Delegittimare agli occhi del mondo il gruppo dirigente russo e Putin in prima persona, accu­sati in pratica di tutto: dalla non democraticità del regime (nonostante il ripetuto sostegno po­polare a Putin, ben maggiore di quello ricevuto da Obama se teniamo conto di quanti cittadini Usa vanno a votare nelle elezioni presidenziali) e dall’interferenza negli affari interni di altri paesi, come l’Ukraina nella quale tuttavia gli Usa non hanno esitato ad appoggiare gruppi neona­zisti, alla repressione delle etnie presenti sul suolo della Russia, dimentichi della loro storia e della loro politica rispetto ai nativi americani. Non poteva mancare, naturalmente, l’accusa di non rispetto dei diritti umani e civili, questione posta con tanta più forza quanto più viene per­cepita come la più facilmente comprensibile per l’opinione pubblica interna dei paesi occidenta­li.
  2. Rafforzare, appunto, la convinzione nei pro­pri cittadini di trovarsi di fronte ad un nuovo potenziale Impero del male, e quindi di essere dalla parte del bene e del vero, ovvero della sto­ria e del progresso civile, così che passino in se­condo piano i comportamenti reali e concreti dell’amministrazione USA e si crei un fronte interno in cui liberal e neocon marcino uniti.
  3. Destabilizzare la Russia per quanto possibile, facendo leva sull’opposizione interna in quel paese, finanziandola, incenti­vandola e ampliandone l’importanza.

L’uso politico della letteratura e dell’arte per veicolare l’ideologia su cui si regge il potere è cosa nota da sempre e non sorprende. Ma il caso degli Stati Uniti presenta un aspetto unico e particolare in quanto specchio non mediato della logica del capitale, e merita una breve di­gressione. È ormai noto, quantunque scono­sciuto al grande pubblico ed anche all’il­lusione narcisista degli artisti ribelli e anticonformisti, che il modernismo e l’astrattismo, os­sia la nega­zione programmatica del bello e di ogni deter­minazione formale del­l’opera d’ar­te, sono stati imposti dalla CIA in funzione antisovietica. Slegata da ogni vincolo formale ed estetico e perciò definita libera, la pop-art occidentale (definiamo così per comodità tutta l’arte non fi­gurativa affermatasi nel secondo dopoguerra), si contrapponeva a quel­la del realismo socialista che, come sempre è stato, attraverso l’immagine intendeva veicolare emozionalmente un conte­nuto positivo, per quanto discutibile fosse. Non è quì in discussione la reale e concreta consi­stenza artistica del realismo socialista, bensì il fatto che si riferiva pur sempre a principi for­mali ed estetici. Negarli, ha significato discono­scere ogni radice culturale, quindi anche tutta l’arte del passato. Ma non solo, perché quella pretesa libertà da ogni vincolo che l’avanguar­dia artistica, ovviamente sedicente di sinistra, vanta come il massimo dell’anticonformismo e della contrapposizione all’arte borghese, finisce concretamente per sottoporre il valore dell’opera d’arte all’unico criterio del mercato. È il suo valore di scambio che le conferisce, di­ciamo così, bellezza e importanza e non vice­versa. Lasciamo pure perdere il fatto che il va­lore di mercato di un qualcosa che nega radical­mente l’estetica e quindi la fruibilità (il suo va­lore d’uso immateriale), è totalmente manipo­labile dalla critica secondo cospicui interessi. Le cosa importante da sottolineare è invece il nichilismo radicale dell’arte moderna e il suo essere immediatamente una merce. La pop art nega tutti i noiosi vincoli a cui era ancorata quella precedente nonché quelli imposti dalle preferenze del committente, ma non può nega­re il vincolo del mercato. Riappare allora, con chiarezza, il nichilismo della forma merce come scopo e destino del capitale. Così che le avan­guardie ribelli e antiborghesi diventano le punte di diamante della sua penetrazione (sotto i graziosi auspici della CIA) in un mondo, quello dell’arte e della cultura, che intrinseca­mente gli sarebbe estraneo.

Tornando al nostro argomento specifico, esem­plare è stata la vicenda dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Sochi 2014, alla quale i leaders occidentali, con la sola eccezione di Enrico Letta, si sono rifiutati di partecipare per solidarietà agli omosessuali russi contro le leggi definite antigay, quelle, come ho ricorda­to sopra, che avrebbero impedito di impartire a ragazzi quattordicenni una lezione di fellatio omosessuale.

In quell’occasione la federazione tedesca ha escogitato la mossa propagandistica di indubbio impatto mediatico, di far vestire i propri atleti coi colori arcobaleno, mentre su tutti i media occidentali è stato dato grande risalto alla que­stione. Così come grande risalto negativo hanno avuto le dichiarazioni della campionessa mon­diale di salto con l’asta, Yelena Isinbayeva, col­pevole di aver detto «Io sono a favore delle re­gole sui gay, noi russi siamo normali, i ragazzi con le donne e le ragazze con gli uomini», e naturalmente costretta dalla pressione mediati­ca ad una semiritrattazione.

In questo contesto di guerra culturale, un ruolo importante in quanto fenomeno altamente me­diatico, è stato assegnato alle Femen e alle Pussy Riot, due gruppi punk femministi, ucrai­no l’uno e russo l’altro, che conducono azioni nonviolente contro Putin, contro la religione e contro il patriarcato, delle quali ci limitiamo ad elencarne alcune fra le più eclatanti. Per chi avesse conservato un minimo di buon senso è sempre stato evidente che non si è mai trattato di fenomeni spontanei, ma di creazioni eterodi­rette e finanziate con scopi precisi, quelli ap­punto ricordati sopra. Nel febbraio del 2012, le Pussy Riot si introdussero nella Cattedrale di Cristo Salvatore, a Mosca, intonando una can­zone in cui si invocava la conversione femmini­sta della madonna e la cacciata di Putin per sua opera, e si recitavano versi come i seguenti: «merda, merda, merda del Signore». Subito ar­restate e condannate a due anni di reclusione per offesa premeditata ai danni della Chiesa or­todossa e condotta lesiva di tradizioni nazionali millenarie, furono amnistiate dopo pochi mesi ad opera dell’op­pres­sore Putin in persona. Il loro intento dichiarato era di quello di denunciare i legami fra Chiesa e Stato, apostrofando come puttana il patriarca di Mosca, e contestando la democraticità dell’elezione di Putin. I sondaggi  hanno mostrato la scar­sissima considerazione nutrita verso quel grup­po (solo il 6% della popolazione ha dichiarato di provare rispetto o di non avere obiezioni alle loro azioni), ma il can can mediatico occidentale è stato immedia­to e pesante. Dall’immancabile Madonna ad ad altri esponenti dello Star System, da Obama alla Merkel, tutti hanno fatto a gara nello stigma­tizzare la sentenza come eccessiva e poco ri­spettosa della libertà d’e­spres­sione, mentre l’ineffabile Amnesty International le ha nominate prigio­niere di coscienza e la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la libertà d’espres­sione deve essere applicata «non solo alle idee inoffensive, ma anche a quelle che offendono, scandalizzano o disturbano lo stato o settori della popolazione». Aspettiamo identico pro­nunciamento per le future denunce di omofo­bia nei confronti di qualche dichiarazione che offenda il movimento LGBT.

Non da meno sono le Femen, use a manifestare in varie parti del mondo a seno nudo contro la mercificazione del corpo femminile, natural­mente ben pagate. Delle loro performance per i diritti civili, per le donne, contro le religioni, il maschilismo etc. etc. in Ucraina, Russia, ita­lia, Svizzera, Polonia, Inghilterra, Francia, particolarmente significativa per gli esiti a cui ha dato luogo, è stata quella del 12 febbraio 2013 nella basilica parigina di Notre Dame. Per festeggiare le dimissioni di Benedetto XVI, hanno fatto irruzione a seno nudo nella chiesa al grido di «mai più papa», e, riportano le cro­nache, hanno preso a bastonate un’antica cam­pana coperta di lamine d’o­ro, esposta al pubbli­co in occasione del­l’otto­centocinquantesimo anniversario della cattedrale. Un evidente e vo­luto oltraggio alla sensibilità dei credenti, la gratuita profanazione di un luogo e di un og­getto simbolico in spregio al rispetto delle idee altrui. Non risultano dichiarazioni di Amnesty o pronunciamenti della Corte europea dei dirit­ti del­l’uomo. Sono state processate, ma non per oltraggio, o incitamento all’odio religioso o per atti osceni in luogo pubblico, come sarebbe sta­to ovvio in un paese normale che tenga al ri­spetto di ogni simbolo e di ogni sensibilità, come si vanta essere la Francia. L’unica imputa­zione è stata quella di danneggiamento di beni materiali, e naturalmente sono state assolte, mentre in compenso ai guardiani che avevano tentato di fermarle sono state comminate am­mende fino a mille euro per i metodi troppo sbrigativi.

L’episodio è rivelatore. L’occidente nichilista odia se stesso e le proprie tradizioni millenarie che vuole dissolvere. Mentre ci si fa beffe del loro valore simbolico, l’unica cosa rimasta eventualmente da salvaguardare è il valore ma­teriale degli oggetti che quelle tradizioni incar­nano. Torna prepotente il fantasma del nichili­smo della merce!

È ormai di pubblico dominio che le Pussy Riot, in rapporti con l’ex oligarca Khodorskovsi (de­fenestrato da Putin e arrestato ma an­ch’egli amnistiato), sono pagate dal democraticissimo finanziere ungaroamericano Geor­ge Soros. Quello che all’inizio degli anni novanta scatenò un micidiale attacco speculativo contro la lira (cioè contro uno stato sovrano, fra l’altro allea­to degli Usa), rischiando di far fallire il nostro paese, e che qualche mese fa è stato gra­ziosamente accolto come terzo socio più impor­tante nelle Coop Rosse. Dal canto loro, le Fe­men ricevono finanziamenti dal miliardario te­desco cinquantenne Helmut Losef Geier, dall’im­prenditrice tedesca Beate Schober e dall’altro multimilionario statunitense Jed Sun­den, fondatore del magazine The Kyiv Post.

Tutto lascia pensare insomma che Femen e Pussy Riot siano burattine nelle mani di qual­cuno molto potente e usate come fattore di di­sturbo all’interno della Russia e di delegitti­mazione sul piano internazionale. Solo dei me­dia in cattiva fede o così ingenui da rasentare l’imbecillità possono pensare che non sia così, ma sono la maggioranza.

Conclusione

Non possiamo sapere come sarà il futuro, come si evolverà il confronto che ho tentato di deli­neare nelle sue direttrici principali, confronto che va oltre le volontà e le abilità dei singoli personaggi, quantunque contino an-ch’esse, com’è ovvio. Alla soglia della riunificazione del mondo sotto il segno del capitale e della merce, qualche opzione diversa sta affacciandosi, qual­che anticorpo si sta generando. Ogni possibilità, credo, è aperta. Oggi sarebbe già tanto che gua­dagnasse terreno la consapevolezza della posta in gioco e i terreni su cui la partita si svolge. Se non si tratta già di scelte di campo consapevoli, mi pare che, almeno in Italia ma più in generale in Europa, la confusione regni sovrana in mez­zo ad un preoccupante conformismo che conti­nua a ragionare, in processi storici che le hanno rese obsolete, con le categorie del secolo scorso. Vale per la politica ma non solo.

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