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Connettività regionale nel Caucaso e importanza strategica del ‘Corridoio di Zangezur’

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Il Caucaso meridionale è situato all’intersezione di rotte logistiche che, idealmente, potrebbero collegare l’intero continente eurasiatico sia da nord a sud che da est a ovest. Tuttavia, la connettività tra i paesi è stata a lungo ostacolata dalla chiusura di diverse frontiere regionali, che è avvenuta a partire dagli anni ’90 come risultato di numerosi conflitti etnici che hanno fortemente compromesso la stabilità della regione. Per questa ragione, il Caucaso meridionale è stato a lungo ignorato come snodo di transito tra Oriente e Occidente, il che ha avuto profonde ricadute sul commercio e sulla prosperità economica della regione. D’altra parte, a partire dalla fine della seconda guerra del Karabakh una nuova fase ha avuto inizio e le dinamiche emergenti potrebbero aprire la strada alla ripresa dei collegamenti sia attraverso i paesi del Caucaso meridionale che con le regioni limitrofe.

Dopo la firma della Dichiarazione del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, del Primo Ministro della Repubblica d’Armenia e del Presidente della Federazione Russa del 9-10 novembre 2020 su un completo cessate il fuoco e di tutte le ostilità tra l’Armenia e l’Azerbaigian, gli equilibri regionali hanno subito profondi cambiamenti. Sebbene le tensioni non si siano ancora completamente sopite e talvolta gli scontri ai confini si riaccendano, la situazione si sta via via stabilizzando e i leader di Armenia e Azerbaigian si sono dichiarati più volte intenzionati ad avviare un processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali. Lo stesso sta avvenendo tra Turchia e Armenia, che dopo circa trent’anni di assenza di relazioni diplomatiche sembrano essere sulla giusta strada per mettere da parte la storica inimicizia in nome di un riavvicinamento che porterebbe a vantaggi condivisi. Il clima di parziale distensione che ne emerge può favorire un possibile sblocco delle vie di comunicazioni regionali, in quanto ci si aspetta che gli attuali processi di normalizzazione si traducano in una riapertura delle frontiere. L’esito del conflitto ha quindi riaperto la prospettiva di nuovi scambi commerciali e cooperazione economica in tutta la regione.

La rilevanza geoeconomica della regione è diventata ancor più evidente dopo la fine dei combattimenti dello scorso anno in Karabakh tra Armenia e Azerbaigian e la pace, seppur fragile, nell’ex zona di conflitto potrebbe fornire nuovi stimoli per lo sviluppo di diversi corridoi di interconnettività regionale. L’Articolo 9 della Dichiarazione tripartita di Novembre 2020 indica che “La Repubblica d’Armenia garantisce la sicurezza dei collegamenti di trasporto tra le regioni occidentali della Repubblica dell’Azerbaigian e la Repubblica Autonoma di Nakhchivan al fine di organizzare senza ostacoli il movimento di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni”. Inoltre, l’11 gennaio 2021 venne firmata una Dichiarazione tripartita tra Ilham Aliyev, Nikol Pashinyan e Vladimir Putin sullo sblocco di tutti i collegamenti economici e di trasporto della regione, prevedendo la creazione di un gruppo di lavoro trilaterale con il fine di approvare misure volte al ripristino e alla costruzione di infrastrutture di trasporto tra Azerbaigian e Armenia. Più recentemente, durante i colloqui svolti a Sochi lo scorso 26 novembre, Aliyev, Pashinyan e Putin hanno dichiarato di aver discusso della Dichiarazione dell’11 gennaio apprezzando le attività del gruppo di lavoro trilaterale, sottolineando la necessità di avviare tempestivamente progetti infrastrutturali per sbloccare il potenziale economico della regione. 

In questo contesto, tra le diverse vie di comunicazione che si prevede vengano sbloccate come conseguenza della normalizzazione dei rapporti tra i paesi caucasici e in conformità con le disposizioni del suddetto Articolo 9 e della Dichiarazione dell’11 gennaio, un’importanza strategica viene ricoperta dal cosiddetto ‘Corridoio di Zangezur’, un corridoio di trasporto volto a collegare l’Azerbaigian continentale con Nakhchivan, exclave azerbaigiana situata all’intersezione tra Armenia, Turchia e Iran. La riapertura di tale corridoio offrirebbe all’Azerbaigian libero accesso alla repubblica autonoma azerbaigiana del Nakhchivan attraverso Syunik, provincia meridionale dell’Armenia, il cui nome storico è Zangezur. Ad ora la connessione via terra tra l’Azerbaigian occidentale e Nakhchivan è garantita attraverso l’Iran, il che crea un meccanismo di dipendenza da Teheran che comporta il rischio del suo utilizzo come mezzo di pressione politica. La riapertura (tale collegamento era già esistente infatti prima dello scoppio del conflitto) del ‘Corridoio di Zangezur’ ovvierebbe al problema, oltre a permettere un impatto significativo sullo sviluppo economico e sociale delle regioni coinvolte. A tal fine, l’Azerbaigian ha già iniziato a ripristinare il percorso ferroviario di 108 chilometri che connetterà Horadiz a Zangezur.

I vantaggi derivanti dalla riapertura di questo corridoio sono tangibili anche per l’Armenia. A causa della chiusura delle frontiere armene con Azerbaigian e Turchia, avvenuta a seguito dell’occupazione armena dell’Azerbaigian, a  partire dal crollo dell’Unione Sovietica i progetti infrastrutturali ed energetici della regione sono stati realizzati congiuntamente da Azerbaigian, Georgia e Turchia e si sono basati su una logica di esclusione dell’Armenia dai collegamenti strategici con la regione, premiando invece la Georgia. Il ‘Corridoio di Zangezur’ e un’eventuale riapertura dei confini turco-armeno e armeno-azerbaigiano potrebbero invece rendere l’Armenia la porta del Caucaso meridionale. Inoltre, l’Armenia potrebbe diventare un tassello determinante nel corridoio di trasporti della Nuova Via Della Seta che connetterà la Cina all’Europa, in cui l’Azerbaigian ha già investito cospicuamente  attraverso la costruzione del nuovo porto marino e di diversi collegamenti autostradali e ferroviari. Tuttavia, Yerevan teme le conseguenze derivanti dalla libera circolazione in un territorio così delicato e propone rotte alternative per connettere l’Azerbaigian con la repubblica autonoma azerbaigiana di Nakhchivan, come il tratto Lachin-Sisian-Shahbuz o Yerevan-Ijevan-Qazax-Nakhchivan, alternative che non risultano però praticabili dal momento che tali tratte attraverserebbero aree montuose e con tragitti spropositatamente più lunghi, collidendo altresì con le disposizioni del sopracitato articolo 9 che prevede una connessione senza impedimenti. Il tratto passante per Syunik rimane quindi l’alternativa maggiormente fruibile e favorevole ad una piena interconnessione regionale. 

Anche la Turchia considera cruciale la riapertura di tale corridoio e fin dal principio ha sostenuto a gran voce la sua costruzione. Infatti, l’entrata in funzione del ‘Corridoio di Zangezur’ permetterebbe di connettere l’intero mondo turco dalla Turchia all’Asia Centrale attraverso l’Azerbaigian, offrendo l’opportunità di sviluppare maggiore cooperazione nei settori del commercio e dell’economia tra gli stati membri dell’Organizzazione degli Stati Turchi. La sua realizzazione porterebbe quindi ad un rilancio dei progetti commerciali ed economici nelle regioni adiacenti, apportando un contributo significativo all’economia turca. Inoltre, il corridoio potrebbe fungere da stimolo locale per lo sviluppo economico delle regioni interessate dalla sua costruzione, in quanto sia Nakhchivan che Syunik che le province orientali della Turchia risultano essere lontane da un livello ideale di sviluppo. Per tale ragione, la riapertura della connettività tra tali regioni potrebbe aumentare la loro crescita economica con ampi benefici per i tre paesi. 

Tuttavia, nonostante i numerosi benefici derivanti dalla riapertura del ‘Corridoio di Zangezur’, rimangono delle perplessità soprattutto da parte dell’Armenia, che non concorda con l’Azerbaigian sul futuro assetto giuridico del corridoio. Yerevan sostiene che il collegamento debba essere sottoposto a controlli frontalieri e che non possa trasformarsi in una situazione di extraterritorialità dell’Azerbaigian. D’altra parte, la posizione di Baku in merito alla questione si basa sull’applicazione dello stesso quadro normativo che regola il corridoio di Lachin, nome che si riferisce ai 9 chilometri che collegano l’Armenia a Khankendi, area in cui è concentrata la popolazione armena e sono dislocate le forze di pace russe, che non ha mai previsto l’installazione di nessun controllo doganale, come ha recentemente ribadito il Presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev durante il suo incontro con il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg avvenuto a Bruxelles. Tuttavia, nonostante la persistenza di alcune riserve interne, dopo gli incontri avvenuti a Sochi e Bruxelles rispettivamente con Vladimir Putin e Charles Michel, sembra esserci maggiore supporto da entrambe le parti per la riapertura del corridoio.

La posizione geopolitica, la storia e l’importanza strategica del Caucaso lo rendono una regione molto ricca e di rilevanza peculiare nella scacchiera geopolitica regionale. I tre Paesi transcaucasici dovrebbero quindi riuscire a cogliere le opportunità che emergono dalle prospettive di pace per stabilire condizioni per uno sviluppo congiunto che permetta loro di beneficiare dei vantaggi naturali dell’area. La costruzione di moderne infrastrutture di trasporto che si prevede collegheranno la regione con le aree limitrofe può porre le basi per un’espansione dell’accesso al mercato, degli investimenti, del turismo e dell’imprenditorialità. Di conseguenza, per la prima volta da oltre trent’anni il Caucaso meridionale si trova di fronte a una reale opportunità di migliorare le proprie condizioni socioeconomiche.

Simona Scotti – Research Fellow presso Topchubashov Center. Analista specializzata in geopolitica, sicurezza e diritto internazionale. Le sue principali aree di competenza includono il Caucaso Meridionale, la Russia, il Mondo Turco e l’America Latina. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali Comparate presso Ca’ Foscari e ha svolto periodi di studio e ricerca in Russia, Colombia e Serbia. Attualmente vive a Baku e si  occupa di ricerca in ambito di geopolitica del Caucaso e relazioni Italia-Azerbaigian. 

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