Il conflitto israelo-palestinese si conferma di nuovo come terreno su cui si confrontano le grandi potenze e le organizzazioni internazionali. La Repubblica Popolare Cinese, a capo della presidenza del Consiglio di Sicurezza per il mese di maggio, ha ripetutamente sottolineato l’indignazione nei confronti di Washington per aver bloccato in varie occasioni una dichiarazione congiunta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per l’immediata cessazione delle ostilità.
Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in una telefonata con la sua controparte pakistana Shah Mahmood Qureshi, ha affermato che il Consiglio non è riuscito a raggiungere un accordo e a trovare una politica d’azione, incolpando gli Stati Uniti di trovarsi “dalla parte opposta” – ovvero quella di Israele – della giustizia internazionale”. I rapporti sino-palestinesi sono indiscutibilmente solidi, ma quale invece la postura del dragone nei confronti di Israele? Un’analisi piena di sfumature, che è molto lontana da discorsi puramente dualistici e di contrapposizione tra opposti.
I quattro punti del 2021
Wang Yi ha espresso la posizione cinese sul conflitto israelo-palestinese affermando che la causa principale degli scontri è da attribuire alla mancanza di “una giusta soluzione per i palestinesi” e che “il diritto palestinese di costituire uno Stato indipendente è stato continuamente violato”. Domenica 16 maggio il Ministro degli Esteri cinese ha presieduto, come Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il mese, un dibattito aperto sulla delicata situazione internazionale. In questa occasione Wang Yi, tramite collegamento video, ha presentato una proposta composta da quattro punti, sottolineando in particolar modo che la cessazione della violenza e il cessate il fuoco rappresentano la priorità assoluta per la comunità internazionale.
La proposta in quattro punti sull’escalation del conflitto israelo-palestinese avanzata dalla Repubblica Popolare Cinese consiste:
- il cessate il fuoco è la massima priorità: la Cina si oppone fermamente agli atti di violenza contro i civili ed esorta le parti ad interrompere le azioni militari e le azioni ostili che porterebbero ad un’ulteriore escalation sul campo. Per quanto concerne il primo punto, è cruciale sottolineare come il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, abbia affermato che “ tutte le parti, in particolare Israele, sono invitati a (…) interrompere immediatamente le ostilità”. Dunque, la Repubblica Popolare Cinese esorta le parti ad interrompere le ostilità, ma in particolare modo il riferimento è verso lo stato ebraico.
- l’assistenza umanitaria risulta essere di cruciale importanza: la comunità internazionale dovrebbe fornire assistenza umanitaria al territorio palestinese e le Nazioni Unite dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale di coordinamento. Anche in questo punto viene ribadita la richiesta ad Israele di adempiere agli obblighi internazionali e a garantire i diritti dei civili nel territorio palestinese occupato, nonché l’assistenza umanitaria.
- Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e di conseguenza anche la comunità internazionale, deve intraprendere “un’azione vigorosa” e ribadire il suo “fermo sostegno” alla “soluzione dei due Stati”.
- L’obiettivo principale è quello di arrivare alla costituzione di uno Stato indipendente di Palestina, con una piena sovranità su Gerusalemme Est (che diventerebbe la capitale), e basata sui confini del 1967.
I quattro punti del 2013 e del 2017
I quattro punti proposti da Wang Yi però non sono la prima proposta di soluzione del conflitto israelo-palestinese da parte della Repubblica Popolare Cinese, e derivano più specificatamente dai quattro punti avanzati nel 2013 e nel 2017. I quattro punti del 2013 vennero proposti dal Presidente Xi Jinping al leader palestinese Mahmoud Abbas ed indicavano: 1) la creazione di uno Stato palestinese, basata sui confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. Allo stesso tempo veniva però sottolineato il diritto di Israele di esistere come entità sovrana 2) il negoziato come unica soluzione di risoluzione del conflitto, con l’interruzione assoluta delle violenze sui civili e degli attacchi militari 3) il rispetto del principio “land for peace”, ovvero il far prevalere la pace sulle dispute territoriali, è alla base dell’iniziativa di dialogo tra le due parti 4) la comunità internazionale deve assumere un ruolo di garante per il processo di pace del conflitto israelo-palestinese, incoraggiarne il dialogo e soprattutto fornire una maggiore assistenza.
I punti del 2017, seppur riformulati, non aggiungono nulla rispetto alla precedente proposta; Avanzati sempre dal Presidente Xi Jinping, la proposta del 2017 si differenzia da quella precedente, in primo luogo, per essere estremamente più vaga e meno dettagliata. In secondo luogo, i toni polemici del “piano” del 2013 vengono sostituiti con una postura più diplomatica e costruttiva. È cruciale sottolineare che la proposta del 2017 è stata avanzata nel contesto della “One Belt, One Road”, e dunque è interpretabile alla luce dell’interesse economico cinese di una maggiore stabilità nella regione del Medio Oriente. Seppur la postura del dragone sembra perfettamente chiara e di grande supporto nei confronti del popolo e dello Stato palestinese, non bisogna perdere di vista il profondo, seppur sottile, rapporto che unisce Israele con la Repubblica Popolare Cinese. Per comprenderne dunque le sfumature, andiamo ora ad analizzare in dettaglio i precedenti dei rapporti diplomatici e commerciali che la Cina ha intrattenuto con entrambe le parti.
Rapporti sino-palestinesi e rapporti sino-israeliani
Dalla Guerra Fredda la diplomazia cinese nel Medio Oriente è sempre stata caratterizzata dai temi di cooperazione, progresso e sviluppo dei paesi emergenti e dal forte supporto alla lotta per l’autodeterminazione dai Paesi coloniali. Il sostegno alla causa palestinese, pertanto, rientra perfettamente in questo disegno di postura internazionale; Hu Jintao, ad esempio, affermò che “la Cina è sempre stata un convinto sostenitore della giusta causa dei palestinesi e del processo di pace in Medio Oriente”. I forti rapporti fra Pechino e la Palestina derivano dunque in gran parte dal ruolo storico della Cina di farsi voce per i movimenti di autodeterminazione del Medio Oriente, e non solo, e di rappresentare pertanto un partner con cui poter avere almeno idealmente relazioni cosiddette “win-win”. Pensiamo ad esempio che Yasser Arafat si è definito come “un vecchio amico del popolo cinese”.
Però è cruciale sottolineare che la lettura di una Cina che si pone totalmente in contrasto con la realtà israeliana appare estremamente ingannevole e soprattutto non veritiera; sebbene la Cina non abbia stabilito relazioni diplomatiche ufficiali con Israele fino al 1992, non possiamo non ricordare che lo stato ebraico è stato il primo Paese del Medio Oriente, nel 1950, a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese. Ma ciò che unisce di più i due paesi è un solido rapporto commerciale: secondo i dati del 2018 della Banca mondiale, Israele ha importato più merci dalla Cina che da altre fonti, mentre la Cina è il secondo importatore di prodotti israeliani. Anche dal punto di vista della cooperazione tecnologica il legame è forte: si ricordi ad esempio l’Accordo di cooperazione in materia di ricerca e sviluppo del 2010. La ricerca da parte di Pechino di tecnologia avanzata, ed in particolare di tecnologia per la difesa nazionale, è cruciale nelle relazioni economiche sino-israeliane. La volontà e la necessità della modernizzazione delle Forze Armate della Repubblica Popolare e dei propri sistemi d’arma hanno portato il Paese ad avvicinarsi alla tecnologia di difesa di Israele e ad intrattenere solide relazioni commerciali.
Conclusioni
La Repubblica Popolare Cinese è sempre stata un attore particolarmente attivo nel dibattito internazionale riguardo al conflitto israelo-palestinese, come abbiamo avuto modo di analizzare attraverso le varie proposte avanzate. È fondamentale però mettere in risalto come i vari punti esposti nel tempo dal dragone non aggiungano sostanzialmente elementi di novità al dibattito internazionale. Le proposte difatti risultano essere sempre molto vaghe; il Paese ha sempre puntato sulla richiesta di intervento della comunità internazionale, e in particolare delle Nazioni Unite, sulla condanna alle violenze contro i civili e agli attacchi militari e soprattutto a cercare una “soluzione dei due Stati”.
Inoltre, risulta essere d’obbligo rimarcare la falsa rappresentazione di una Cina che vede Israele come un attore che agisce dietro l’influenza statunitense o come una figura esclusivamente ostile.
La postura cinese nei confronti del conflitto israelo-palestinese richiede un’analisi estremamente sfumata e che esclude discorsi di contrapposizione fra opposti, rappresentando in questo modo “lo Yin e lo Yang” della politica estera di Pechino.