Nelle scorse settimane si sono registrati notevoli passi in avanti nelle relazioni tra governo centrale yemenita e separatisti del Sud. I due schieramenti sarebbero pronti ad attuare l’accordo di Riad, dopo un lungo periodo di ostilità che ha contribuito ad esacerbare le tensioni in un contesto già di per sé conflittuale e tra più complessi al mondo.
Lo Yemen dal 2015 è dilaniato da un perdurante conflitto civile che vede contrapposte le milizie ribelli filo-sciite degli houthi e le forze fedeli al presidente Mansour Hadi. Mentre le prime sono supportate da Teheran, le seconde godono del sostegno dell’Arabia Saudita, che è intervenuta militarmente ponendosi a capo di una coalizione composta dai Paesi arabi. Il teatro yemenita è inoltre contrassegnato da un’ulteriore frattura interna: quella tra il governo centrale e i secessionisti del Sud, rappresentati dal Consiglio di Transizione Meridionale (Southern Transitional Council – STC). Le due parti, sebbene siano allineate nella lotta contro gli houthi, hanno vissuto profonde fasi di ostilità, arrivando in diverse occasioni al confronto militare.
Le discordie tra il governo e le forze meridionali si sono acuite a partire dal 2017, quando il presidente Hadi ha deciso di deporre (per mancanza di lealtà) il governatore di Aden al-Zubaidi. La scelta della massima autorità yemenita ha suscitato numerose reazioni, nonché proteste di massa, alle quali ha fatto seguito l’istituzione del Consiglio di Transizione Meridionale presieduto proprio da al-Zubaidi. Il nuovo ente ha fin da subito dichiarato la volontà di “ripristinare lo Stato meridionale”, facendo riferimento in modo esplicito all’ex Repubblica dello Yemen del sud, esistita dal 1967 sino al 1990, anno dell’unificazione yemenita. Il SCT è stato definito illegittimo dal presidente Hadi, mentre il suo governo era (ed è tuttora) l’unico riconosciuto internazionalmente.
La conquista di Aden (agosto 2019) da parte dei separatisti ha innalzato il livello della tensione tra le due fazioni. I secessionisti hanno difatti conquistato la città nel Sud dello Yemen, divenuta nuova sede del governo in seguito alla presa di Sana’a da parte degli houthi. Le forze meridionali hanno occupato l’area portuale e il palazzo presidenziale, costringendo Hadi alla fuga verso Riad. Tuttavia, grazie alla mediazione saudita, i separatisti hanno ben presto lasciato le posizioni conquistate e nei mesi successivi sono stati intrapresi i negoziati per una risoluzione della disputa. Frutto di questa fase è l’Accordo di Riad (novembre 2019), sottoscritto dal governo yemenita e dal Consiglio di Transizione. L’intesa conseguita è finalizzata alla normalizzazione delle relazioni tra le due fazioni, ponendo fine alle lotte nel Sud del Paese. Più nello specifico, l’accordo prevede la formazione di un nuovo governo di unità nazionale composto da 24 ministri, con pari rappresentanza tra Nord e Sud. In tal modo, le forze separatiste possono partecipare a qualsiasi processo negoziale concernente la risoluzione del conflitto con le milizie ribelli degli houthi. In più, è prevista la centralizzazione di tutte le forze armate sotto il controllo del governo centrale.
L’accordo non è stato comunque implementato e nei primi mesi del 2020 i rapporti tra le due parti hanno vissuto un’ennesima fase di aperta ostilità. In particolare, il 26 aprile il SCT ha annunciato di voler istituire un governo autonomo, proclamando l’autonomia delle regioni del Sud. I separatisti hanno accusato il governo yemenita di corruzione, criticandolo altresì per l’inadeguatezza nella gestione dei servizi basilari nonché per l’incapacità di risolvere il conflitto con le forze ribelli degli houthi. Così facendo, il SCT ha disatteso l’accordo di Riad e si sono registrati numerosi scontri tra i separatisti e le truppe del presidente Hadi – ancora in esilio a Riad. Le ostilità hanno interessato anzitutto i governatorati meridionali di Wadi Hadhramawt, Shabwa e Abyan, fino al coinvolgimento dell’isola di Socotra, ubicata nel cuore dell’Oceano Indiano, al largo del Corno d’Africa. Dopo settimane di scontri e tensioni, il 22 giugno è stata concordata una tregua nei territori meridionali e, nello specifico, nella regione di Abyan, dove si verificati gli episodi più violenti (come l’uccisione del comandante Mohammed Saleh al-Aquili, a capo della 153esima Brigata dell’esercito del governo dello Yemen). Per di più, le due parti si sono dette disposte ad intraprendere un ciclo di negoziati sotto l’egida dell’Arabia Saudita.
A seguito dalla tregua pattuita, il processo di distensione tra i due contendenti ha raggiunto una svolta significativa il 29 luglio, quando i separatisti hanno dichiarato di voler abbandonare le loro aspirazioni di auto-governo nel Sud. Il STC ha infatti deciso di riallinearsi alle posizioni del governo yemenita, aderendo nuovamente all’accordo di Riad. Pertanto, il presidente Hadi ha conferito al premier Moein Abdul Malik l’incarico di formare un nuovo governo entro 30 giorni; tale esecutivo, come previsto a Riad, dovrà essere composto da 24 ministri, 12 per il Nord e 12 per il Sud. Sulla base dell’intesa raggiunta nel novembre 2019, le cariche di governatore di Aden e di capo della polizia verranno conferite ad esponenti del STC. Se si concretizzasse, il risanamento della frattura tra autorità centrale e separatisti avrebbe delle ripercussioni rilevanti nello scenario yemenita. Infatti, verrebbe meno quel clima di ostilità nel Sud che fino ad ora ha solamente contribuito ad alimentare le tensioni nel Paese. In più, l’avvicinamento tra le due parti permetterebbe di unire gli sforzi nell’ambito del conflitto contro gli houthi e di gestire i negoziati (nell’ottica di future trattative di pace) da una posizione di forza maggiore. Oltre a questi elementi, un’eventuale normalizzazione dei rapporti tra governo e separatisti avrebbe degli effetti positivi altresì nei rapporti tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi. I due Paesi, sebbene siano gli attori principali in chiave anti-houthi e, più in generale, alleati storici, hanno avuto posizioni divergenti rispetto alla questione meridionale: mentre Riad sostiene apertamente il governo centrale, Abu Dhabi supporta le forze meridionali ed ha fornito a queste un contributo importante anzitutto da un punto di vista militare.
Nonostante questi sviluppi indubbiamente significativi, il quadro yemenita continua ad essere estremamente complicato con diverse incognite e problematiche. Innanzitutto, con riferimento al rapporto tra governo centrale e separatisti, l’ottimismo derivante dagli ultimi eventi deve confrontarsi con l’esperienza post accordo di Riad, ossia la mancata implementazione di quanto prestabilito e il ritorno ai combattimenti. Pertanto, l’attuale intesa potrebbe non necessariamente trovare effettiva concretizzazione nel breve-medio periodo, e il conseguente rischio della ripresa delle ostilità è sempre da tenere in considerazione. Più in generale, invece, il conflitto tra governo (sostenuto dalla coalizione a guida saudita) e houthi continua e i tentativi di mediazione delle Nazioni Unite non hanno conseguito sino ad ora gli esiti sperati. In tale contesto, l’80% della popolazione yemenita necessita di assistenza umanitaria e un terzo degli abitanti è in emergenza acuta. L’economia del Paese è al collasso e il sistema sanitario, carente di risorse e con molte infrastrutture ospedaliere bombardate durante i combattimenti, non sarebbe chiaramente in grado di gestire la diffusione del Covid-19. Detto questo, la situazione nello Yemen è tra le più complesse al mondo e in questo quadro la riconciliazione tra governo centrale e separatisti, qualora si realizzasse effettivamente, rappresenterebbe solo un piccolo (sebbene importante) passo per restituire al Paese arabo la normalità che merita.