L’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping a Buenos Aires è giunto in un clima pesante per le relazioni tra USA e Repubblica Popolare Cinese. Al centro delle tensioni tra Cina e USA, due dossier principali: ca. 150 giorni di trade war e lo spettro di un’escalation militare nel Mar Cinese Meridionale.
Questo articolo inaugura Dazibao – Osservatorio strategico sulla Cina, una rubrica a cura di Lorenzo Termine. Puoi seguirla anche su Twitter: @dazibaocina
Pronti…
In ambito commerciale, durante l’estate, Trump aveva approvato il National Defense Authorization Act 2019 che dovrà garantire alla Casa Bianca un controllo più stringente sugli investimenti cinesi negli USA e sui trasferimenti di tecnologia verso l’estero e, successivamente, aveva imposto un dazio del 10% su circa 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi che è previsto arrivi al 25% nel gennaio 2019. La risposta di Pechino non si era fatta attendere: un dazio tra il 5 e il 10% su una lunga lista di prodotti americani per un valore complessivo di 60 miliardi di dollari. L’inizio della “guerra commerciale” tra Washington e Pechino ha destato inquietudini e paure in tutto il mondo per le possibili ripercussioni sull’economia globale. I negoziati per un accordo che ponesse fine alla disputa sono proceduti attraverso una mezza dozzina di round che, non solo, hanno prodotto un nulla de facto ma hanno anche aumentato la distanza tra le due parti.
In ottobre, era stato il turno del Mar Cinese Meridionale ad incrinare i rapporti tra Pechino e Washington. Le esercitazioni congiunte di Regno Unito e Giappone, al volo di B-52 americani, al passaggio di una nave da guerra sudcoreana e ad una nuova Freedom of Navigation Operation degli Stati Uniti (la settima condotta dall’Amministrazione Trump) nella zona avevano scatenato dure proteste cinesi. Durante quest’ultima operazione si sarebbe sfiorata la collisione evitata solo grazie ad una manovra di evasione della nave americana. Il 9 novembre il Segretario di Stato Mike Pompeo e il Segretario alla Difesa James Mattis avevano ospitato il Ministro della Difesa cinese Wei Fenghe e il membro del Politburo del Partito Comunista Cinese e direttore della Commissione per gli Affari Esteri Yang Jiechi (nonché ex ambasciatore a Washington) per il secondo round dello U.S.-China Diplomatic & Security Dialogue. Il summit non aveva portato ad alcun risultato degno di nota relativamente ai temi più caldi, Mar Cinese Meridionale, Taiwan, Xinjiang pur aprendo alla possibilità di un nuovo set di confidence-building measures che riducesse il rischio di incomprensioni.
Partenza…
Nei giorni precedenti il summit, la confusione ha regnato sovrana. Prima Donald Trump ha minacciato nuove sanzioni per un valore di 267 miliardi di $ se la Cina non si fosse mostrata più disponibile ad un accordo, ma ha, anche, dimostrato fiducia nel negoziato. Tutto ciò mentre Axios rivelava che fonti interne all’Amministrazione non prospettavano alcuna volontà di accordo o di allentamento delle tensioni da parte della Casa Bianca. L’attenzione è stata, quindi, tutta concentrata sul summit di Buenos Aires, considerando anche la notizia secondo cui Liu He, uno delle menti dietro la politica economica cinese, fosse a Washington per preparare l’incontro. In generale, l’opinione di molti era che un incontro al vertice avrebbe rappresentato solo una pausa nell’inasprimento delle tensioni, un successo tattico in una relazione strategica in crisi.
Via!
Le delegazioni cinese e statunitense si sono sedute al tavolo poco dopo le 17.30 (ora locale, mentre in Italia erano le 21.30) per una cena (anticipata) che sarebbe dovuta durare circa 2 ore ma si è prolungata ben oltre, concludendosi, infine, attorno alle 20.15 con un forte applauso che è risuonato in tutta la sala.
Nel breve discorso di apertura, Donald Trump ha pronosticato un risultato positivo per entrambi definendo “incredibile” la sua relazione con Xi. Dal canto suo, il presidente cinese ha ricordato il tempo trascorso dall’ultimo incontro di vertice e ha sottolineato la fondamentale importanza della cooperazione tra i due paesi.
Alla fine, un vero e proprio accordo non è stato raggiunto ma è stato concordato un cessate il fuoco. Donald Trump ha accettato di sospendere per altri 90 giorni l’innalzamento dei dazi al 25% (previsto inizialmente per gennaio 2019). La Cina, dal canto suo, si è impegnata ad acquistare immediatamente un “non specificato ma sostanzioso ammontare di prodotti americani nei settori agricolo, industriale ed energetico”. Entro i 90 giorni, le due parti dovranno raggiungere un accordo.
Interessante notare come i media cinesi non abbiano riportato il termine di 90 gg, limitandosi a riferire che Pechino e Washington hanno concordato di “evitare l’escalation” nella trade-war e di risolvere le “questioni economiche e commerciali” di interesse.
Per i prossimi tre mesi, quindi, le due delegazioni (sarà interessante vedere anche se verranno confermate le formazioni che negli scorsi mesi non sono riuscite a raggiungere un consenso) dovranno lavorare per raggiungere l’accordo oppure il G-20 sarà solo una boccata d’aria prima dell’escalation.
La delegazione cinese:
– Xi Jinping
– Ding Xuexiang, direttore dell’Ufficio Generale del Partito Comunista Cinese
– Liu He, vice-Premier
– Yang Jiechi, direttore del Segretariato del Central Leading Group on Foreign Affairs
– Wang Yi, ministro degli Esteri
– He Lifeng, capo della National Development and Reform Commission
– Zhong Shan, ministro del Commercio
– Cui Tiankai, ambasciatore della RPC negli USA
– Wang Shouwen, vice-ministro del Commercio
La delegazione statunitense:
– Donald Trump
– Mike Pompeo, segretario di Stato
– Steven Mnuchin, segretario del Tesoro
– Gen John Kelly, White House Chief of Staff
– Robert Lighthizer, US Trade Representative
– John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale
– Jared Kushner, Senior Advisor del Presidente
– Peter Navarro, consigliere per il commercio e la politica manifatturiera
– Larry Kudlow, consigliere per la politica economica
– Matthew Pottinger, consigliere per gli affari asiatici