Nome: Jacob Jeremiah Sullivan
Nazionalità: statunitense
Data di nascita: 28 novembre 1976
Ruolo: National Security Advisor di Biden
Jake Sullivan è attualmente consigliere politico del presidente eletto Joe Biden. In precedenza, è stato prima vice assistente del presidente e consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente durante l’Amministrazione Obama-Biden, per poi ricoprire il duplice ruolo di direttore dello staff di pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e vicecapo staff dell’allora Segretario di Stato Hillary Clinton. Durante il suo periodo al governo, Sullivan si è distinto sia come uno dei principali negoziatori nei primi colloqui che hanno spianato la strada all’accordo sul nucleare iraniano sia ricoprendo un ruolo chiave nei negoziati mediati dagli Stati Uniti che hanno portato a un cessate il fuoco a Gaza nel 2012. Ha, inoltre, evidenti meriti nell’aver plasmato la strategia di Washington per un progressivo riequilibrio dell’asse Asia-Pacifico.
Secondo di cinque figli, Jake Sullivan è cresciuto a Minneapolis, Minnesota. Ha conseguito una laurea triennale in Scienze Politiche e Studi Internazionali a Yale, un MPhil in Relazioni Internazionali ad Oxford, dove è stato anche Rhodes Scholar, e un Juris Doctor alla facoltà di giurisprudenza di Yale. Negli anni successivi al suo servizio nell’amministrazione Obama-Biden, Sullivan è stato Senior Fellow al Carnegie Endowment for International Peace e ha ricoperto incarichi di insegnamento alla Yale Law School, al Dartmouth College e all’Università del New Hampshire. Ha co-fondato e co-presieduto il comitato consultivo per National Security Action, un’organizzazione di difesa della sicurezza nazionale senza scopo di lucro, facendo parte dei comitati consultivi di un certo numero di organizzazioni coinvolte nella politica estera e nella sicurezza nazionale. È stato anche consigliere politico senior e consigliere capo della senatrice Amy Klobuchar del suo stato natale del Minnesota, ha lavorato come associato per Faegre & Benson LLP e ha insegnato alla University of St. Thomas Law School. Ha lavorato per il giudice Stephen Breyer della Corte Suprema degli Stati Uniti e il giudice Guido Calabresi della Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Secondo Circuito. Sullivan è stato, inoltre, consigliere politico per la campagna presidenziale di Hillary for America nel 2016.
Un cambio di rotta?
L’aspetto più interessante della nomina del nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale – che non necessita di conferma da parte del Senato – risiede nell’immaginare quale potrà essere la linea della nuova Amministrazione per quanto riguarda l’accordo sul nucleare con l’Iran; l’8 maggio 2018, infatti, il presidente Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan Of Action (JCPOA) raggiunto dai paesi P5+1 – USA, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania – nel luglio 2015 ed entrato in vigore nel gennaio 2016. La Casa Bianca, con toni poco conciliatori, aveva annunciato la reintroduzione delle sanzioni precedentemente sospese e, così facendo, aveva provocato l’imbarazzo degli attori internazionali che, a più riprese, avevano espresso la volontà di proseguire la politica dell’engagement nei confronti di Teheran.
La nomina di Sullivan da parte del presidente eletto, pur in assenza di un’ufficiale presa di posizione di Washington circa il ripristino dei rapporti con Teheran, lascia presagire che gli Stati Uniti vorranno rivedere le scelte del presidente Trump circa un engagement che, stando anche alle dichiarazioni del Dipartimento di Stato americano, avevano fornito spiragli per restituire a Teheran il ruolo di interlocutore per la risoluzione delle crisi regionali. Sullivan, infatti, per primo si era seduto ai tavoli negoziali per un possibile accordo che avrebbe dovuto, da un lato, garantire il monitoraggio e la sorveglianza dei siti nucleari iraniani, e, dall’altro, avrebbe contribuito a costruire quell’auspicato e auspicabile “Political Dialogue” tanto agognato dalla Comunità Internazionale. È, pertanto, ipotizzabile che i nuovi inquilini della Casa Bianca opteranno per una graduale ripresa dei negoziati con Teheran in nome di una politica pacificatoria a livello globale anche per scongiurare, nel worst-case scenario, una possibile recrudescenza del regime di Teheran che, dovesse resistere economicamente al fallimento del JCPOA, avrebbe un utile pretesto per implementare, questa volta senza controllo, il programma nucleare del paese.
Stefano Lioy,
Geopolitica.info