C’è un Paese membro della Nato che ha giocato bene le sue carte fin dall’inizio della guerra tra Russia ed Ucraina e questo Paese è la Turchia di Erdogan.
Fin dall’inizio del conflitto, il “sultano” si è posto come mediatore tra Mosca e Kyiv, dialogando direttamente – e piuttosto francamente – sia con il presidente ucraino Zelensky che con quello russo Putin, riuscendo a far sottoscrivere, con il proprio patronato, ai due belligeranti l’accordo sul grano datato luglio 2022.
Oggi che la Black Sea Grain Initiative sembra essere diventata solo un pezzo di carta dopo l’uscita de facto dei russi dall’accordo, Ankara è tornata a mostrare un certo attivismo sul tema della sicurezza alimentare e della libertà di navigazione sulle rotte commerciali del Mar Nero.
Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, uno degli uomini forti del sistema di potere di Erdogan, ha proposto alla Russia di stipulare un accordo trilaterale assieme al Qatar per esportare il grano ed i cereali russi in Africa e Medio Oriente, con la garanzia dei soldi di Doha, ma tale patto andrebbe ad integrare e non a sostituire la vecchia iniziativa del Mar Nero russo-ucraina per la quale i turchi tanto si sono spesi.
La linea di Erdogan su questo punto è chiara: l’accordo sul grano del 2022 deve essere rispettato e la linea di non ritorno non è stata ancora varcata né dai russi né dagli ucraini. Per Ankara – e qui sta la particolarità della postura turca rispetto al resto dei partner della Nato – è necessario riconoscere alcune delle richieste fatte dal Cremlino per ritornare alla situazione ante-17 luglio, fornendo garanzie sulle esportazioni non solo di grano e cereali ma anche di fertilizzanti russi ai Paesi africani e levantini. Questo in un’ottica di ripristino della Grain Initiative del Mar Nero e del rafforzamento, trainato dalla situazione emergenziale della guerra, della Turchia nella regione.
La situazione di partenza non è semplice: i russi bombardano i porti ucraini da Odessa alla foce del Danubio; così come le Forze armate ucraine fanno lo stesso contro i porti nemici in Crimea e nel litorale orientale fino al Mar d’Azov. La rotta fluviale danubiana – che passa per la Romania – è attiva ma non permette all’Ucraina di esportare quantità di grano imponenti come le vie marittime.
La Flotta russa del Mar Nero, oltre a minare il litorale occidentale, sta anche iniziando a praticare il “diritto di visita” sulle navi mercantili neutrali come annunciato lo scorso 17 luglio dal Cremlino. In altre parole, nel Mar Nero la navigazione commerciale è, nei fatti, interdetta ed i corridoi navali unilaterali non garantiscono la sicurezza delle rotte del grano.
La situazione attuale è contraria agli interessi della Turchia, che non può permettersi la trasformazione del Mar Nero in un mare in tempesta, irto di mine e attraversato da naviglio militare che irretisce i commerci.
Se continueranno i bombardamenti reciproci dei porti russi e ucraini e se le navi neutrali saranno oggetto di ispezioni o a portata di mina, la situazione non potrà migliorare.
Ed i commerci sono, per di più, vitali anche per la proiezione dell’influenza turca all’estero, specie in Africa settentrionale e, più in generale, in tutta l’area MENA.
Ankara deve continuare a ricoprire il proprio ruolo di garante della sicurezza alimentare e della libertà di navigazione (in forma controllata) dentro e fuori dagli Stretti. Una politica, questa, in linea sia con l’idea di Mavi Vatan, sia con quella neo-ottomana, che sono espressione di due scuole geopolitiche differenti tra le quali, però, la Turchia sarà costretta a trovare la sintesi.