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TematicheRussia e Spazio Post-sovieticoIl vertice di Samarcanda e le implicazioni geopolitiche

Il vertice di Samarcanda e le implicazioni geopolitiche

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Dal 15 al 16 settembre si è tenuta a Samarcanda (Uzbekistan), la ventiduesima edizione del vertice del Consiglio dei capi di Stato dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), un’organizzazione intergovernativa fondata a Shanghai nel 2001 che comprende attualmente otto Stati membri: Cina, India, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Pakistan, Tajikistan e Uzbekistan. Quattro sono gli Stati osservatori interessati ad aderire – Afghanistan, Bielorussia, Iran e Mongolia – e sei “Partner del dialogo” – Armenia, Azerbaigian, Cambogia, Nepal, Sri Lanka e Turchia – e dal 2005 la SCO è un osservatore all’Assemblea generale delle Nazioni Unite

Nel vertice di quest’anno, come primo atto ufficiale, è stato ufficializzato l’ingresso dell’Iran. Questo quadro aiuta a comprendere perché la SCO sta diventando sempre di più un polo d’attrazione politico-economico alternativo alle potenze occidentali, anche se gli Stati che la compongono hanno al loro interno confronti e dissidi non indifferenti. Oltre a India e Pakistan, acerrimi rivali dalla loro costituzione come stati indipendenti, non si possono dimenticare le tensioni tra Cina e India o i recenti scontri di confine tra Tagikistan e Kirghizistan. La SCO assume quindi un valore crescente sul fronte della cooperazione geopolitica ed economica, e non a caso la Turchia rivendica l’obiettivo di aderirvi, anche se è difficile non notare che è l’unico stato membro della NATO a partecipare al summit di Samarcanda e sarà presto l’unico a far parte di entrambe le organizzazioni. Un “dettaglio” non irrilevante, tenuto conto che Ankara non applica sanzioni alla Russia, vende  armi all’Ucraina ed entrerà in un’organizzazione per la sicurezza con Cina, Russia e Iran dopo aver acquistato batterie da difesa aerea a lungo raggio S-400 in Russia. 

Per la firma al vertice di Samarcanda sono stati preparati più di 40 accordi e decisioni, documenti che riflettono gli approcci comuni degli Stati SCO all’interazione in aree di cooperazione popolari e promettenti, come il rafforzamento della connettività, la cooperazione industriale, l’economia verde, la digitalizzazione e il commercio. In questo senso, si rafforza il ruolo stabilizzante dell’Organizzazione come importante fattore di sicurezza e di crescita economica. Non sorprende che, chiudendo il summit, il presidente dell’Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev, ha sottolineato che dall’evoluzione dell’organizzazione dipende anche la garanzia della sicurezza regionale e mondiale. Affermazione significativa, se si considera che gli stati membri rappresentano oltre metà della popolazione e un terzo della ricchezza del mondo. 

L’obiettivo strategico di russi e cinesi, le principali forze geopolitiche dello SCO, resta quello di arginare il sistema unipolare statunitense puntando a contrastare la penetrazione occidentale anche con rafforzate intese militari e a potenziare la cooperazione finanziaria e commerciale su modelli basati sulle valute dei paesi della SCO per rafforzare la “de-dollarizzazione” dell’economia globale. Di fatto, Pechino sostiene la Russia contro gli Stati Uniti e i loro alleati, percepiti come una minaccia anche dai cinesi, ma questo non significa che le due potenze non abbiano anche interessi divergenti che investono pure la guerra in atto in Ucraina e soprattutto il suo prolungamento con le relative conseguenze macro-economiche. E’ sotto gli occhi di tutti come la guerra stia determinando nuovi equilibri anche tra Russia e Cina

L’impegno bellico, infatti, sta sbilanciando la Russia, indebolendone impegno e attenzione in Asia Centrale – parte delle truppe schierate in Tagikistan sono state dislocate in Ucraina –, anche se Putin ha confermato che in Ucraina “stiamo combattendo solo con una parte delle forze armate”. La Cina conferma la volontà di penetrare non solo economicamente, ma anche politicamente e militarmente nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, garantendo la sicurezza da “interventi esterni” (cioè russi) del Kazakhistan, lo stato ex sovietico distintosi più di ogni altro nel mostrare freddezza per l’intervento militare russo contro Kiev, al punto da non riconoscere le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk guidate dai secessionisti ucraini. Putin ha poi elogiato il presidente Xi Jinping per “la posizione equilibrata dei nostri amici cinesi in relazione alla crisi ucraina”, e ha sentenziato che la Russia ha lanciato l’operazione militare speciale in Ucraina per impedire all’Occidente di creare una enclave anti-russa in considerazione del fatto che per molti anni l’Occidente ha coltivato l’idea del crollo russo. 

Xi dal canto suo ha affermato che “la Cina è disposta a collaborare con la Russia per svolgere un ruolo di primo piano nel dimostrare la responsabilità delle grandi potenze e per instillare stabilità ed energia positiva in un mondo in subbuglio”. Anche il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha tenuto colloqui con il presidente russo per la prima volta dallo scoppio del conflitto in Ucraina e si è rivolto alla Russia dicendo che “questo non è il momento della guerra, ma del dialogo”. Modi si è intrattenuto anche con il presidente iraniano Ebrahim Raisi a margine del vertice e i due leader hanno discusso dei legami energetici oltre all’uso ottimale del porto di Chabahar e dell’INSTC, il corridoio che dovrebbe connettere l’India all’Europa. Rientra in questa prospettiva l’autonomia e l’attivismo della Turchia, che punta molto anche sul ruolo di mediazione ricoperto nell’attuale crisi ucraina come risposta all’Occidente e soprattutto all’America, come ha detto il presidente turco Erdogan di rientro da Samarcanda. La posizione turca, tesa a far terminare al più presto il conflitto in Ucraina, è condivisa anche dall’India e soprattutto dalla Cina. 

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