L’assetto istituzionale degli Stati Uniti si basa su tre punti fondamentali, quali una rigida divisione tra i poteri dello Stato, il forte peso politico assegnato al Presidente che nelle intenzioni dei “Padri Fondatori” della nuova nazione doveva assumere lo stesso ruolo di cui disponeva allora il Sovrano nel Regno Unito e la presenza di un ordinamento federale per il Paese.
Il sistema di elezione del Presidente e le sue caratteristiche
Il procedimento di elezione del Presidente negli Stati Uniti si presenta estremamente lungo e complesso ed in oltre due secoli di storia non ha subito alcuna modifica sostanziale. In base al dettato costituzionale, per partecipare alle elezioni presidenziali è necessario avere 35 anni di età, essere cittadino americano per nascita e risiedere negli Stati Uniti da almeno 14 anni, una disposizione questa che esclude chi abbia acquisito la nazionalità per naturalizzazione nonché i residenti a Porto Rico, Isole Vergini Americane, Guam, Samoa Americane e Marianne Settentrionali in quanto “territori non incorporati” degli Stati Uniti. Il primo passo è costituito dalle elezioni primarie che i Democratici ed i Repubblicani tengono nei vari Stati del Paese tra gennaio e giugno dell’anno elettorale, anche se gli esponenti di entrambi i partiti che intendono parteciparvi sono soliti annunciare la loro candidatura diverso tempo prima dell’avvio delle consultazioni allo scopo di acquistare visibilità presso l’elettorato.
Le primarie possono svolgersi in due modi diversi, il primo è quello del “Caucus” dove la scelta del candidato avviene per mano di un’assemblea dei rappresentanti locali del partito, il secondo invece è quello di una consultazione popolare che può essere “aperta” quando un elettore può scegliere tra tutti i candidati presentati dalle diverse formazioni, oppure “chiusa” dove al contrario è consentito esprimere la preferenza solo per gli esponenti del partito per cui si risulta registrati. I candidati che nel corso delle primarie hanno conquistato la maggioranza assoluta dei delegati ricevono la nomination a concorrere per la Casa Bianca dalle rispettive “Conventions”, nel corso delle quali viene ufficializzata anche la designazione del vice – Presidente che formerà il “ticket” per la campagna elettorale e che, secondo la Costituzione, non deve provenire dallo stesso Stato di origine dell’aspirante alla presidenza. Successivamente, i due candidati provvedono a designare le persone che andranno a ricoprire l’incarico di Elettore presidenziale, scelte nei diversi Stati attraverso diverse procedure. La campagna entra così nella fase decisiva che culminerà nel voto di novembre. La data delle consultazioni è infatti stabilita da una legge del 1845, che fissa appunto nel primo martedì del mese di novembre il giorno in cui tenere le elezioni presidenziali.
Il Presidente è eletto in maniera indiretta da un collegio di 538 “Grandi Elettori” in rappresentanza dei 50 Stati dell’Unione e del District of Columbia (D.C.), territorio dove è situata la capitale federale Washington, che dispongono di una quota di Elettori pari a quella dei senatori e dei deputati che ognuno di essi elegge al Congresso. Se ogni Stato dispone di 2 senatori, il numero dei deputati che gli spetta varia invece a seconda della popolazione residente, di modo che un incremento od una diminuzione dei suoi abitanti comporterà un analogo effetto sui membri che questo eleggerà alla Camera dei Rappresentanti. La revisione del numero di deputati assegnati ai diversi Stati e di conseguenza quello degli Elettori presidenziali spettanti viene effettuato sulla base dei risultati del censimento tenuto sul territorio nazionale ogni dieci anni.
Il Presidente degli Stati Uniti è eletto per 4 anni ed è rieleggibile solo per un secondo mandato, limite questo che venne introdotto nel 1947 con l’approvazione del XXII Emendamento. In precedenza, non esisteva nessun limite alle rielezioni, come dimostrano le quattro vittorie consecutive ottenute da Roosevelt tra il 1932 ed il 1944. Per essere eletti è necessario conquistare la maggioranza assoluta nel Collegio Elettorale – oggi fissata in 270 “Grandi Elettori” – indipendentemente dal fatto che questa corrisponda ad un analogo successo in termini di consenso popolare. Ininfluente a livello nazionale, il voto popolare diviene invece di fondamentale importanza nei singoli Stati, dato che al candidato vincente all’interno di uno Stato vengano attribuiti in blocco tutti i “Grandi Elettori” di cui esso dispone.
La scelta del sistema elettorale spetta alle varie assemblee legislative statali, anche se il metodo generalmente adottato prevede l’elezione popolare su di una lista valida in tutto lo Stato.
Nel Maine e nel Nebraska è in uso però un diverso metodo di elezione, il quale prevede che due Elettori vengano designati sull’intero territorio statale ed i restanti siano invece eletti in ognuno dei distretti elettorali per la Camera dei Rappresentanti, rendendo così possibile che lo Stato esprima dei “Grandi Elettori” di diversi candidati. La stessa organizzazione della consultazione ricade per intero sulle singole amministrazioni statali, che hanno la prerogativa di stabilire i criteri per l’elettorato attivo e passivo, l’autorità di decidere in merito alle eventuali contestazioni sollevate dai candidati, le modalità per procedere ad un eventuale riconteggio dei voti unitamente a quella di fissare l’orario di apertura e chiusura dei seggi. Inoltre, negli Stati Uniti la data stessa delle elezioni presidenziali e legislative è fissata per legge nel primo martedì di novembre.
Simile più a 50 distinte votazioni che non ad un’unica consultazione a livello nazionale, il sistema presenta quindi innumerevoli particolarità e può dar luogo a delle notevoli distorsioni tra il voto popolare e quello del Collegio Elettorale. Non sono mancati i casi in cui il Presidente eletto si sia fermato ben al di sotto della maggioranza assoluta, cosa che accade quando il candidato di un terzo partito raggiunge una consistente percentuale di voti come fu nel 1968 con il Democratico indipendente George C. Wallace o nel 1992 con Ross Perot, o che addirittura risulti sconfitto nel voto popolare, circostanza verificatasi cinque volte nella storia delle elezioni presidenziali. La prima fu nel 1824 quando Andrew Jackson, pur avendo ottenuto circa 40.000 voti in più di John Q. Adams venne da questo sconfitto dal voto del Congresso, la seconda accadde nel 1876 quando il Democratico Samuel J. Tilden ottenne – in una delle elezioni più contestate della storia – oltre 200.000 voti di vantaggio rispetto al Repubblicano Rutherford Hayes poi divenuto Presidente grazie ad un solo voto di maggioranza nel Collegio Elettorale, poi ancora nelle elezioni del 1888 in cui il Presidente Democratico uscente Grover Cleveland ottenne quasi 100.000 voti in più dello sfidante Repubblicano Harrison che però conquistò la maggioranza dei “Grandi Elettori” diventando Presidente, di nuovo nel 2000 quando il candidato Democratico e vice – Presidente in carica Al Gore sopravanzò il Repubblicano George W. Bush di oltre 500.000 voti, conquistando però 267 “Grandi Elettori” contro i 271 del rivale ed infine quattro anni fa quando il candidato Democratico Hillary Clinton conquistò quasi tre milioni di voti in più del Repubblicano Donald Trump che però venne eletto Presidente.
Qualora invece nessuno dei candidati ottenga la maggioranza all’interno del Collegio Elettorale è previsto che l’elezione del Presidente spetti alla Camera dei Rappresentanti e quella del vicepresidente al Senato, una situazione questa accaduta due volte ma in epoca ormai remota. La prima fu nel 1801 quando Thomas Jefferson e il suo vicepresidente designato Aaron Burr ottennero entrambi 73 voti elettorali, rendendo così necessario l’intervento della Camera dei Rappresentanti che in seguito elesse Jefferson con il voto di 10 Stati contro i 4 di Burr, mentre la seconda occasione in cui la Camera dei Rappresentanti venne incaricata dell’elezione fu nel 1825, quando elesse John Q. Adams con il voto favorevole di 13 Stati su 24, dato che in precedenza nessuno dei quattro candidati alla presidenza – Andrew Jackson, John Q. Adams, William Crawford ed Henry Clay – aveva conseguito la maggioranza nel Collegio Elettorale. Nell’occasione i due rami del Congresso seguono due distinte procedure di voto, visto che se al Senato la votazione avviene per mano dei singoli senatori, alla Camera dei Rappresentanti invece questa avviene non conteggiando i deputati ma gli Stati, un sistema che di fatto rovescia quello usato nel Collegio Elettorale: se qui è necessario conquistare gli Stati che dispongono di un maggior numero di Elettori, nell’elezione per mezzo della Camera dei Rappresentanti diventano invece decisivi anche quelli più piccoli. La procedura prevede che i deputati di uno Stato – indipendentemente dal partito di appartenenza – si riuniscano e procedano alla votazione ed una volta effettuata il candidato alla presidenza che otterrà la maggioranza delle preferenze si vedrà attribuito il voto dello Stato mentre, nel caso in cui i candidati risultassero alla pari, questo sarà considerato “diviso” e non verrà conteggiato nel risultato finale.