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NotizieVerso una nuova politica ambientale statunitense

Verso una nuova politica ambientale statunitense

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Nonostante siano trascorsi solo pochi giorni dal suo insediamento, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha già avviato un’inversione di rotta rispetto all’operato del predecessore. La lotta al cambiamento climatico sarà una delle priorità della nuova amministrazione: Joe Biden ha iniziato a muovere i primi passi.

A poche settimane dall’inizio del proprio mandato, Joe Biden ha già firmato una lunga serie di ordini esecutivi finalizzati a cancellare, come con un colpo di spugna, i quattro anni dell’amministrazione precedente. L’inversione di rotta rispetto alla presidenza di Donald Trump è netta e la maggiore attenzione dedicata al clima è sicuramente tra i simboli della trasformazione. La lotta al cambiamento climatico è stata dichiarata un problema di sicurezza nazionale e rappresenta una delle quattro priorità elencate dal nuovo inquilino della Casa Bianca sin dall’esordio della propria campagna elettorale, accanto all’emergenza sanitaria, alla ripresa economica e all’equità razziale. L’impegno per la transizione energetica e il contrasto alla crisi climatica orienteranno la presidenza di Biden, che sin dall’Inauguration Day, lo scorso 20 gennaio, ha manifestato chiaramente la volontà di tener fede alle promesse fatte.

Con i primi ordini esecutivi, firmati poche ore dopo aver giurato come 46° presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha disposto la revoca, la revisione e la sostituzione di tutti gli atti siglati negli ultimi quattro anni che si siano rivelati dannosi per l’ambiente o privi di un adeguato fondamento scientifico. Il nuovo presidente ha richiesto alle agenzie federali di modificare gli standard relativi alle emissioni e all’efficienza energetica, e ha ordinato l’istituzione dell’Interagency Working Group on the Social Cost of Greenhouse Gases. Il gruppo di lavoro sul costo sociale dei gas a effetto serra, operativo durante gli anni della presidenza Obama, dal 2009 al 2017, dovrà stimare il costo delle emissioni di CO2 a partire dalla considerazione di alcuni criteri sociali, importanti per la nuova amministrazione, come quelli di giustizia ambientale e di equità intergenerazionale.

Joe Biden è andato subito dritto al punto, intervenendo su questioni alquanto dibattute negli Stati Uniti. Innanzitutto ha ordinato al Dipartimento degli Interni – che negli Usa ha il compito di preservare i terreni federali e gestire i parchi nazionali – di bloccare temporaneamente tutte le attività di estrazione di petrolio e gas naturale nell’Arctic National Wildlife Refugee (ANWR). Il Rifugio Nazionale Artico occupa una superficie di circa 7,7 milioni di ettari della costa settentrionale dell’Alaska e la possibilità di sfruttarne una parte per l’estrazione di idrocarburi è oggetto di una controversia che va avanti dal 1977. L’avvio delle trivellazioni all’interno del rifugio risale, tuttavia, solo al 2017, quando dopo numerosi tentativi fallimentari i Repubblicani sono riusciti ad autorizzarlo con l’approvazione del Tax Cuts and Jobs Act.

Sempre in materia di petrolio e gas naturale, Biden ha firmato un ordine esecutivo che impone una moratoria per le attività di estrazione sui terreni federali e in acque pubbliche, ovvero la sospensione di qualsiasi nuovo permesso. L’intervento sembra però non aver soddisfatto gli attivisti climatici, che continuano a richiedere a gran voce l’interruzione del fracking, tecnica basata sulla frantumazione idraulica delle formazioni rocciose per l’estrazione del petrolio. Anche in questo caso si fa riferimento ad un tema estremamente dibattuto. Tecnicamente, il fracking richiede l’impiego di enormi quantità di acqua, sabbia e sostanze chimiche che vengono iniettate nelle rocce a pressioni enormi, costringendo il petrolio a risalire in superficie. L’introduzione di questa pratica, a partire dal 2008, ha consentito di sfruttare aree prima di allora non utilizzabili, come la Bakken Formation, una formazione rocciosa estesa in Montana e North Dakota, tuttavia è oggetto di crescente preoccupazione da parte di ambientalisti e comunità locali. A destare inquietudine non è solo l’utilizzo di ingenti quantità di acqua o il rischio di contaminazione dei serbatoi idrici sotterranei, ma anche la possibilità che il fracking conduca a fenomeni sismici. Il fracking è stato anche uno dei principali temi trattati nei dibattiti presidenziali, soprattutto in riferimento alla Pennsylvania, stato in bilico che Trump ha cercato di conquistare accusando l’avversario di voler vietare la pratica in tutto il paese. Come affermato in campagna elettorale, però, nessun ordine o atto del nuovo presidente ha vietato tale pratica. Biden ha solo sospeso la possibilità di rilasciare nuove concessioni per l’estrazione di petrolio sul territorio federale, mentre il fracking, attualmente, viene praticato quasi esclusivamente su terreni privati.

Altra questione spinosa riguarda la costruzione dell’oleodotto Keystone XL, che Biden ha bloccato con un ordine esecutivo sin dal primo giorno della propria presidenza. Il dibattito sull’oleodotto va avanti da anni. Nel 2015, Barack Obama aveva posto il proprio veto alla realizzazione della condotta, ma nel 2017 uno dei primi ordini esecutivi di Trump, siglato poche ore dopo il suo insediamento, ne aveva autorizzato la costruzione. I sostenitori dell’oleodotto, che avrebbe dovuto collegare le cave della regione canadese dell’Alberta alle raffinerie dell’Oklahoma, sostengono che la realizzazione di Keystone XL avrebbe potuto garantire agli Stati Uniti una fornitura energetica più sicura, dal momento che il Canada è un partner ed è politicamente stabile. Inoltre, a loro avviso, se gli Stati Uniti non acquisteranno il petrolio del vicino allora saranno la Cina e altri paesi asiatici a farlo. Dall’altra parte, invece, gli ambientalisti sono convinti che l’enorme lunghezza dell’oleodotto – quasi duemila chilometri – porterebbe con sé il rischio di un elevato numero di perdite, oltre al fatto che dovrebbe attraversare la falda acquifera di Ogllala, la più grande di tutto il paese, che tocca ben otto stati (Sud Dakota, Nebraska, Wyoming, Colorado, Kansas, Oklahoma, New Mexico e Texas). Un’altra questione che rende controversa la realizzazione dell’oleodotto è poi la necessità di attraversare una serie di territori ritenuti sacri dai nativi americani. La revoca del permesso per la costruzione di Keystone XL da parte di Biden rappresenta un emblema della volontà della nuova amministrazione di prendere le dovute distanze dall’operato, dai principi e dalle posizioni della precedente, soprattutto sulle tematiche più divisive e controverse.

D’altronde, come affermato durante la presentazione in campagna elettorale di un piano per il clima da duemila miliardi di dollari, l’intenzione di Biden è proprio quella di ribaltare la politica ambientale del predecessore. Ad aiutare il presidente nella realizzazione dei propri propositi sarà un team di esperti accuratamente selezionati durante il periodo della transizione presidenziale, alcuni dei quali ricopriranno incarichi totalmente nuovi, come quello di John Kerry, primo inviato speciale per il clima che siederà al Consiglio per la sicurezza nazionale, o quelli di Gina McCarthy e Ali Zaidi, consiglieri capo e vice-capo di un nuovo Ufficio per le politiche ambientali della Casa Bianca. La creazione di nuovi ruoli e incarichi ad hoc, per rafforzare l’azione dell’Esecutivo nella lotta al cambiamento climatico, è un’altra prova del nove.

Gli Stati Uniti, adesso, sperano anche di ricoprire un ruolo cruciale a livello internazionale. Il rientro nell’accordo di Parigi del 2015, autorizzato poche ore dopo l’insediamento di Biden, deve essere letto come il primo passo di un rinnovato percorso di diplomazia climatica. Gli Usa non solo vogliono contribuire alla lotta al cambiamento climatico a livello globale, ma affermarsi come protagonisti sulla scena internazionale e affiancare l’Unione Europea, che negli ultimi quattro anni si è distinta come leader mondiale in materia.

È ancora presto per capire se Biden riuscirà a portare a compimento tutti i suoi progetti di rinnovamento, vista la risicata maggioranza di cui gode al Senato. La grande sfida sarà riuscire a trasformare questi primi cambiamenti in politiche e azioni durature.      

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