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TematicheAmerica LatinaFinalmente in Venezuela qualcosa si muove?

Finalmente in Venezuela qualcosa si muove?

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In uno scenario internazionale caratterizzato dalla guerra in Ucraina e dalla difficoltà nel reperire materie prime di ogni genere, il Venezuela sembra iniziare ad uscire dall’isolamento internazionale in cui era caduto. Riusciranno questa serie di congiunture internazionali a riportare la democrazia nel Paese e a risanare un’economia nel baratro da anni?

Gli effetti della guerra in Ucraina

Il 24 febbraio 2022 è una data che verrà sicuramente ricordata nei libri di storia per l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e per tutte le conseguenze che questo evento di portata storica ha avuto e avrà. Al momento, ci si può domandare se tra queste vi sarà anche la normalizzazione della situazione di un paese che da un po’ di tempo non è agli onori della cronaca: il Venezuela. Infatti, l’attacco da parte di Putin ha creato la necessità, per gli Stati Uniti ma non solo, di dover trovare fonti alternative di combustibili fossili

Allora, chi meglio dello stato con le più grandi riserve di crudo ad oggi conosciute? Se poi è anche relativamente vicino, meglio ancora. Ma, ed è un grande ma, come si può fare se questo paese è da anni soggetto a pesanti sanzioni e il suo regime persiste nella violazione dei diritti umani? È qui che la macchina ha iniziato a muoversi.

Nel marzo 2022, mentre il Presidente Biden progettava le sanzioni sul comparto petrolifero russo, una delegazione di suoi alti funzionari si è recata a Caracas, per aprire delle trattative con Maduro. E, alla data in cui viene scritto questo articolo, queste negoziazioni sembrano aver avuto un effetto, almeno parziale. 

Ma, il punto, su cui molti si interrogano, è se il cambiamento in atto possa essere un’occasione per far ripartire un reale processo democratico o, al contrario, solo un’opportunità per il regime di Maduro di mantenere il proprio giogo sulla vita politica del paese.

I negoziati di Città del Messico

Ad agosto 2022, sono ripresi i negoziati a Città del Messico tra il Governo e l’opposizione (rappresentata da Plataforma Unitaria), che si erano arenati nell’ottobre 2021. Questi confronti, mediati dalla Norvegia e dal Messico, hanno portato alla firma di un accordo (Acuerdo Social) il 26 novembre scorso: da una parte, il regime di Maduro acconsente a tenere le elezioni (che secondo la Costituzione andrebbero organizzate nel 2024); dall’altra, vengono sbloccati $3 miliardi del governo venezuelano in banche americane ed europee, che devono essere usati, sotto la guida dell’ONU, per affrontare l’attuale crisi alimentare e per migliorare infrastrutture e servizi.

A fronte della nuova negoziazione e dell’accordo, gli Stati Uniti hanno iniziato ad allentare le sanzioni. Lo stesso giorno della firma dell’accordo, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha accordato una licenza (Licenza Generale 41) a Chevron per operare in Venezuela, nonostante i divieti, che necessiterà un rinnovo semestrale. Questo permesso, che ha portato all’invio del primo carico di nafta per la diluizione del petrolio dopo 4 anni, ha però la condizione che nessun guadagno vada a PDVSA (la compagnia petrolifera statale) o a qualsiasi altro organo del regime. 

Sono state inoltre riattivate alcune partecipate PDVSA-Chevron come la Petropiar, al cui comando è stato posto un dirigente Chevron (è la prima volta nella storia che in Venezuela una partecipata di questo settore venga guidata da uno straniero). Queste collaborazioni sono state riavviate per cercare di sistemare un comparto petrolifero venezuelano segnato da anni di cattiva amministrazione, corruzione e nomine politiche di militari al posto di tecnici. Basti pensare che dai tempi di Hugo Chavez, quando si estraevano circa 3 milioni di barili al giorno, si è passati a 1,5 milioni nel 2018, per arrivare ai 650’000 barili al giorno del novembre scorso.

Altri segnali di cambiamento

Ma la nuova licenza per Chevron non è l’unico segnale di cambiamento. Come già riportato, le congiunture internazionali nel continente hanno permesso a Maduro di iniziare la normalizzazione dei rapporti con diversi suoi omologhi latinoamericani, nonché ottenere colloqui con alti rappresentanti di altri stati (come Macron e John Kerry, quest’ultimo però ha dichiarato che lo scambio con Maduro era non voluto). Ad esempio, nonostante alla fine il dittatore venezuelano non si sia recato a Brasilia, il Brasile ha revocato il divieto di entrata nel paese in tempo per l’insediamento di Lula.

Se poi ci si scosta dalla politica, ci sono altri campi in cui sembra che le cose siano ad un punto di svolta. Innanzitutto, una delle notizie principali di fine 2022 e inizio 2023 è la decisione della multinazionale Mondelez International Inc. (produttrice tra gli altri di Oreo, Philadelphia e Milka) di aumentare la produzione dei due impianti in Venezuela, reintrodurre nel Paese alcuni marchi tradizionali (come gli Oreo Fudge e la bevanda in polvere Tang), e di investire tra i $5 mln e gli $8 mln nel prossimo anno. Il fatto che una multinazionale statunitense torni a puntare sul mercato venezuelano non è sicuramente la prova che tutto si stia normalizzando, ma può essere un indicatore che qualcosa comunque stia cambiando.

Un altro, curioso segnale viene dallo sport più popolare del Venezuela, il Béisbol. Infatti, tutti gli stadi dello Stato bolivariano sono tornati a riempirsi di tifosi, non tanto (o non solo) per la fine della pandemia, come accaduto in Europa, ma per una serie di fattori derivanti dall’allentamento delle sanzioni USA. Dal 2018, il livello della Liga Venezolana de Béisbol Profesional (LVBP) si era notevolmente abbassato, perché non era più consentito ai giocatori della Major League Baseball (MLB), la famosa lega degli Stati Uniti, di partecipare al campionato venezuelano durante la lunga pausa tra una stagione e l’altra. Questo aveva fatto sì che gli stadi si svuotassero e che la LVBP perdesse molti sponsor, restando con la sola PDVSA. Con il ritorno dei giocatori della MLB, sono tornati anche i tifosi e gli sponsor e lo sport sta lentamente rifiorendo.

Davvero i problemi del Venezuela si stanno risolvendo?

Nonostante qualche spiraglio si inizi ad intravedere, non bisogna farsi ingannare da false speranze: Maduro già una volta ha mascherato il bisogno di prendere tempo con dei negoziati che poi non ha rispettato, e l’implementazione dell’accordo di novembre è ancora lungi dall’essere avviata. Inoltre, il regime venezuelano non ha abbandonato il suo stile repressivo: nell’ultimo anno sono state chiuse oltre un centinaio di radio (miglior fonte di informazione in un paese con una rete internet inefficiente e una televisione controllata dal regime); vi sono ancora 240 prigionieri politici; e nel parlamento del regime, è in corso (ad oggi) la discussione di una legge che va a limitare l’indipendenza delle ONG che operano in Venezuela e la loro operatività.

Passando poi al tema elezioni 2024, nonostante gli accordi di Città del Messico e le concessioni di Biden, Maduro non ha avviato alcun iter di riforme, come richiesto dall’UE, per garantire un processo elettorale libero e legittimo. Sembra anche che il PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) voglia anticipare le elezioni al 2023 per approfittare dell’attuale divisione interna all’opposizione, che si sta riorganizzando dopo la conclusione dell’esperienza del Governo ad interim di Juan Guaidò.

Ci sono quindi ancora molti passi avanti da compiere per sperare che davvero qualcosa possa cambiare in uno Stato martoriato dalla mala gestione economica, dalla carenza di manutenzione delle infrastrutture, dall’inflazione che sta iniziando a risalire e in preda ad una crisi migratoria e alimentare. Nonostante i segnali positivi facciano ben sperare, lo sforzo della comunità internazionale deve far sì che queste congiunture esterne ed interne siano un punto di svolta reale e non un appiglio che faciliti la permanenza al potere del regime di Maduro.

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