Nel 1983 gli Stati Uniti iniziarono lo sviluppo di un sistema di difesa anti-missile nello spazio fortemente voluto dall’allora Presidente Reagan. Il sistema difensivo aveva l’obiettivo di rendere gli USA e gli alleati pressoché invulnerabili ad un eventuale attacco missilistico nucleare. Sebbene il sistema non venne mai reso operativo, nel mondo bipolare la ricerca dell’invulnerabilità strategica si rivelò un azzardo vincente. Nell’agosto 2018 il Congresso statunitense ha ordinato la creazione di un sistema di intercettori anti-missile nello spazio e di una nuova costellazione di satelliti-sensori in grado di garantire capacità difensive fino ad ora mai acquisite. Quali scenari si aprono per gli Stati Uniti dinanzi alla rinnovata scommessa della ricerca dell’invulnerabilità strategica?
In materia di politica internazionale, la nozione di invulnerabilità attiene maggiormente alla percezione con cui gli organi di uno Stato valutano le capacità difensive di un altro attore internazionale piuttosto che ad un elemento materiale inteso come “difesa assoluta”. Per esempio, come notato da Fischer, uno Stato potrebbe “costruire” l’invulnerabilità attraverso la creazione di capacità difensive e l’adozione di una postura strategica tale da convincere i propri avversari di potere respingere ed assorbire eventuali attacchi in modo significativo. In effetti, la “difesa assoluta” di uno Stato viene spesso classificata da diversi autori come un obiettivo quasi irrealizzabile.
Alla luce di quanto affermato, l’invulnerabilità strategica di uno Stato si può definire come la capacità di uno Stato di resistere e respingere potenzialmente qualsiasi aggressione militare ai propri domini strategici. Attualmente, per gli Stati Uniti e le altre maggiori potenze, secondo un’opinione diffusa, i domini strategici sono rappresentati dal dominio nucleare, dal dominio spaziale e dal dominio cibernetico. I tre domini strategici sono in larga parte interdipendenti, perciò agire su uno degli stessi potrebbe portare a potenziali vantaggi (o svantaggi) sugli altri due.
Il 13 agosto 2018 è entrato in vigore il John S. McCain National Defense Act 2019 con cui il Congresso statunitense ha ordinato alla Missile Defense Agency la creazione di un sistema di intercettori anti-missile nello spazio da affiancare ad una nuova costellazione di satelliti-sensori in grado, quest’ultimi, di individuare e di tenere sotto controllo tutte le fasi del volo di eventuali missili ostili.
Un tale sistema difensivo si inserisce nella prospettiva della ricerca dell’invulnerabilità da attacchi missilistici di corto, medio e lungo raggio sia nucleari sia convenzionali. Da una parte, il vantaggio assicurato da una difesa anti-missile nello spazio è di natura strategica e militare. La difesa anti-missile nello spazio, a differenza degli esistenti sistemi di difesa missilistica, garantisce la capacità di intercettare il missile ostile nella porzione di volo denominata boost-phase, ossia subito dopo il lancio (tra 1 e 5 minuti dopo l’accensione dei motori a seconda del tipo di missile), quando il vettore è nella fase di accelerazione verso l’alto e la testata nucleare/convenzionale si trova ancora insieme alle eventuali false testate. Inoltre, un adeguato numero di satelliti anti-missile assicura la possibilità di difendere un’intera regione del globo ininterrottamente.
Dall’altra parte, lo svantaggio è in primo luogo di tipo politico e, in secondo luogo, potrebbe derivare dal valore destabilizzante del futuro sistema difensivo. La difesa spaziale anti-missile costituirà il primo posizionamento permanente di armamenti nello spazio. I satelliti militari, infatti, sono da sempre utilizzati esclusivamente in ruolo di supporto alle forze armate, svolgendo compiti fondamentali, ad esempio, nel campo dell’osservazione, del posizionamento e delle comunicazioni. La circostanza per cui lo spazio è tuttora un ambiente libero da qualsivoglia tipo di arma è riconducibile ad un self-restraint di natura politica osservato nel tempo dalle potenze spaziali. Nonostante il diritto internazionale non proibisca la presenza di armi convenzionali nelle orbite terrestri, la disposizione degli intercettori anti-missile nello spazio danneggerà l’immagine degli Stati Uniti come superpotenza spaziale “responsabile”.
Il valore destabilizzante della difesa anti-missile nello spazio è legato alle reazioni dei principali avversari degli Stati Uniti in questo ambito, ossia Cina e Russia. Alcuni analisti evidenziano i pericoli determinati sia da una repentina corsa alle armi nelle orbite terrestri, sia dal probabile ampliamento degli arsenali di armamenti offensivi di Cina e Russia al fine di sorpassare numericamente le capacità del sistema difensivo statunitense. Altri autori, invece, ritengono che gli Stati Uniti dovrebbero sviluppare il prima possibile tale sistema difensivo con lo scopo di non perdere l’attuale vantaggio militare rispetto alla Cina e alla Russia e per consolidare la supremazia statunitense nel dominio spaziale e nucleare. Quest’ultimi autori argomentano sulla base del fatto che la difesa anti-missile nello spazio non avrà alcun valore destabilizzante in quanto, anche in assenza di tale sistema difensivo, Cina e Russia non hanno mai smesso di costruire sofisticati armamenti offensivi e di sfruttare le vulnerabilità militari statunitensi.
A questo proposito, Michael Griffin, vicesegretario alla Difesa per la Ricerca e l’Ingegneria, ha dichiarato che lo sviluppo degli intercettori anti-missile nello spazio si inserisce nella logica di “great power competition” tra Stati Uniti, Cina e Russia, escludendo un rischio di destabilizzazione dello status quo attuale. Coerentemente con quest’ultima dichiarazione, John Rood, vicesegretario alla Difesa per le Politiche, ha affermato: “We don’t want to be in a situation where we are dependent only on offenses in order to provide deterrence”.
Alla luce dell’attuale contesto, è possibile concludere che un fattore importante del futuro sistema difensivo spaziale è determinato dal carattere fortemente innovativo di tale tecnologia. In effetti, l’incertezza per il futuro della sicurezza internazionale è correlata al fatto che la difesa anti-missile nello spazio rappresenta un’infrastruttura militare del tutto nuova: non costituisce un’evoluzione o una modifica di un sistema d’arma esistente e, inoltre, sarà posizionata in un ambiente fino ad ora libero da armamenti.
Vi sono alcune ragioni, però, che potrebbero avere un ruolo notevole nel valutare le ripercussioni geopolitiche del sistema difensivo nello spazio. Quest’ultime si rifanno a quando la difesa missilistica nello spazio venne per la prima volta considerata. Infatti, nel 1983, l’allora Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan annunciò lo sviluppo della Strategic Defense Initiative (SDI). La SDI era un piano di ricerca per la creazione di diversi sistemi anti-missile, la cui prima fase prevedeva il posizionamento di intercettori anti-missile nello spazio. La SDI si poneva in radicale contrasto con la stabilità strategica allora vigente tra USA e URSS fondata sulla reciproca consapevolezza che ad un eventuale attacco nucleare sarebbe seguito un contro-attacco massivo dello stesso tipo. In questo contesto lo sviluppo di un’efficace difesa anti-missile avrebbe privato di ragion d’essere l’equilibrio strategico così concepito. La SDI costituiva un elemento che mirava a sovvertire la stabilità nucleare. Seppure gli intercettori anti-missile nello spazio non vennero mai posizionati, la SDI fu una scommessa vincente, infatti, secondo alcuni analisti, fu uno dei molteplici fattori che contribuirono a porre fine alla Guerra Fredda.
Il contesto internazionale e gli equilibri strategici attuali appaiono molto mutati rispetto a quelli in essere negli anni ’80. Nonostante ciò, la rinnovata scommessa statunitense per la ricerca dell’invulnerabilità nel dominio nucleare e missilistico rappresenta, oggi come ai tempi della SDI, un atto politico-militare fortemente competitivo verso i propri avversari e, perciò, causa di una possibile destabilizzazione della sicurezza internazionale.
Alla luce di queste considerazioni, per valutare gli scenari strategici che riguarderanno gli Stati Uniti nel prossimo futuro, sembra indispensabile trovare una risposta univoca alla seguente domanda: gli Stati Uniti ricoprono tuttora una posizione internazionale tale da potersi assumere tutte le conseguenze negative collegate all’ottenimento di un vantaggio strategico unilaterale?