Nel mezzo della guerra fredda fra Stati Uniti e Cina, l’accordo Vaticano per la nomina dei vescovi nella Repubblica Popolare è finito sui giornali americani, diventando un caso. Il principale oppositore all’accordo è stato il capo della diplomazia americana Mike Pompeo, che con una serie di post su Twitter ha invitato la Santa Sede a non rinnovare le nomine e ad unirsi agli Stati Uniti nel denunciare gli abusi commessi da Pechino.
Le pressioni del Segretario di Stato americano Pompeo sono culminate in una visita a Roma, dove però il Papa ha rifiutato un incontro ufficiale per evitare, secondo le parole di Monsignor Gallagher “una strumentalizzazione politica del Vaticano”. Francesco ha anche rifiutato di incontrare il Cardinale emerito di Hong Kong, Joseph Zen, guardandosi dal sottoporre l’operato della Santa Sede ad una mediatizzazione inappropriata e prendendo dunque le distanze da qualunque tentativo di interferenza esterna. Come ha ricordato Lorenzo Prezzi, esperto di relazioni internazionali del Vaticano: il testo invia “il messaggio che la religione può esistere sotto l’autorità dello Stato cinese, dando un’indicazione alle altre fedi”. La diplomazia vaticana infatti persegue altri scopi, che sono principalmente quelli del dialogo religioso.
Sebbene riguardi esclusivamente una questione pastorale, la scelta di rinnovare l’accordo tra il Vaticano e la Repubblica Popolare cinese è finita al centro dei riflettori a causa delle tensioni crescenti fra Stati Uniti e Cina. Siamo infatti alla vigilia delle elezioni americane, in una fase molto delicata per l’Amministrazione Trump che cerca una rielezione cavalcando il clima di crescente sfiducia e di condanna, anche da parte europea, verso la Cina accusata di pesanti violazioni dei diritti umani.
La Repubblica Popolare si trova oggi al centro di un’ondata di sdegno globale per la repressione perpetuata verso le minoranze etniche nella regione autonoma dello Xinjiang oltre che per le violenze subite dai cittadini di Hong Kong da parte della polizia dopo mesi di proteste seguite dall’adozione della dibattuta Legge sulla Sicurezza Nazionale.
All’indomani della crisi sanitaria del Covid-19 che ha visto Pechino perdere progressivamente la sua credibilità a causa di un nuovo autoritarismo, specialmente in sede diplomatica, anche l’Unione europea ha riconsiderato le relazioni con la Cina anteponendo il rispetto dei diritti umani e della trasparenza nelle trattative di natura politica e commerciale con il Paese.
In questa nuova fase della politica trans-atlantica gli Stati Uniti hanno fatto da cassa di risonanza denunciando gli abusi compiuti dal Governo centrale cinese ad Hong Kong e le repressioni sistematiche delle minoranze cinesi promulgando due leggi speciali, lo “Human Rights and Democracy Act” e lo “Uyghur Human Rights Policy Act”.
Intanto che l’attenzione mediatica si è ormai alzata attorno all’Accordo tra Cina e Vaticano,
le parole pronunciate da Pompeo su Twitter hanno alimentato il coro delle critiche invocando a gran voce una presa di posizione pubblica del Papa nei confronti di Pechino.
Secondo il Segretario di Stato Pietro Parolin, l’intenzione del Vaticano è quella di procedere con una proroga di ulteriori due anni, utili a “verificare l’utilità dell’accordo”, specificando quanto sia necessario mantenere aperto un canale per superare le attuali incomprensioni fra la Chiesa e la Repubblica Popolare, e costruire la via del dialogo.
Non è chiaro ad oggi in quale ottica la diplomazia americana intenda cercare la cooperazione e il sostegno del Papa, se con un approccio comune alla difesa dei diritti dei più deboli attraverso il dialogo, o imponendo la sua linea di comportamento. Come sottolinea il sinologo Francesco Sisci: il Vaticano ha “maggiore appeal internazionale”, laddove l’Amministrazione Trump vive un momento di debolezza. “Entrambi potrebbero quindi avere interesse a collaborare sulla Cina, nonostante le tante differenze, o forse proprio a causa delle differenze” .
Quanto sarà percorribile, cioè, una terza via, quella di una cooperazione tra Stati Uniti e Vaticano sulla Cina, dipenderà dalla capacità di allineare i reciproci interessi, pur riconoscendosi partner nella difesa dei diritti umani. Secondo Sisci “i vantaggi a lungo termine di abbracciare piuttosto che escludere la Cina pesano a favore dell’accordo, (..) che potrebbe a portare a condizioni migliori per i cattolici” in Cina.
A definire tuttavia, il viaggio di Pompeo piuttosto un pellegrinaggio politico, ci sono l’incontro con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la visita al Ministro degli Esteri Di Maio. Ad entrambi il Segretario di Stato americano ha “suggerito” cautela nei rapporti con Pechino, affrontando, fra le altre, questioni di sicurezza come la salvaguardia dell’infrastruttura tecnologica di quinta generazione (5G).
Dopo l’incrinarsi dei rapporti diplomatici con l’Italia in seguito alla firma del Memorandum d’intesa sulla Via della Seta, atto da più parti riconosciuto come un trappola geopolitica per i porti italiani, la visita di Pompeo, che non a caso è stato anche in Grecia e andrà a breve in Croazia, sembra aver avuto un duplice scopo: quello di verificare la solidità dell’alleanza con l’Italia in un momento delicato e decisivo del mandato di Trump, e creare consenso accendendo con un pretesto una luce sul Vaticano, a sostegno della politica estera americana sul tema dei diritti umani.