Gli inizi del mese di agosto 2022 hanno visto negli Stati Uniti la firma del CHIPS and Science Act, un pacchetto di incentivi per la realizzazione di impianti manifatturieri e per riportare la percentuale di R&D ai tempi della corsa allo spazio. Gli Stati Uniti rappresentano un importante attore nella catena produttiva dei semiconduttori, soprattutto per quel che riguarda, appunto, la ricerca e lo sviluppo. Il settore rappresenta un’area di interesse strategico in materia di economia e manifattura di prim’ordine, sia per quel che concerne la digitalizzazione in corso dell’economia globale, che per questioni geopolitiche. Sicuramente, gli effetti di questi incentivi saranno fortemente eterogenei.
Una competizione marcata e serrata
Le voci di spesa più consistenti del CHIPS and Science Act riguardano 39 miliardi di dollari come incentivi alla manifattura e 13,2 miliardi per R&D e lo sviluppo di forza lavoro adeguata agli obiettivi. In totale, il compunto delle risorse finanziarie introdotte dalla Casa Bianca ammonta a 52,7 miliardi di dollari; cifre simili, se sommiamo le singole voci, sono già state annunciate da Micron, Qualcomm e GlobalFoundries, alcune tra le maggiori compagnie americane nel settore. Tra gli obiettivi previsti dall’iniziativa del governo statunitense, vi è quello di far sì che il “futuro” sia realizzato in America.
Tuttavia, occorre prestare attenzione alla portata degli effetti di questi incentivi e a come si integreranno con gli obiettivi strategici americani nell’Indo-Pacifico. L’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) prevede infatti la creazione di catene produttive high-tech “sicure”, descrizione che potrebbe indicare sia la necessità di non dover più far fronte a carenze di microchip, come quella sperimentata durante la pandemia, che quella di costruirle al di fuori della sfera di influenza del Dragone. Quest’ultima ipotesi è tutto fuorché remota: nel febbraio 2021, il presidente americano Biden firmava infatti un ordine esecutivo mirato proprio a quell’obiettivo.
Gli alleati statunitensi nella regione
Il settore ricopre una rilevanza notevole all’interno delle dinamiche economiche della regione: Cina, Corea del Sud, Giappone e Taiwan rappresentano i principali attori coinvolti nella sua catena produttiva. Esclusa Pechino, le altre rappresentano degli alleati, partner nel caso di Taipei, che potremmo definire quasi essenziali per la sicurezza dell’area. Il Paese del Sol Levante ha infatti assunto un ruolo di primo piano nelle dinamiche relazionali grazie all’ambiziosa strategia per un Free and Open Indo-Pacific ad opera del defunto premier Shinzo Abe.
Se Seul e Taipei negli ultimi due anni hanno introdotto delle misure finanziarie analoghe a quella statunitense, forti del ruolo che la Taiwanese Semiconductor Manufacturing Co (TSMC) e Samsung ricoprono all’interno del settore, la leadership di Tokyo è ben conscia di non poter competere con le due multinazionali a causa dell’eccessiva frammentazione del tessuto produttivo nipponico (nel settore). Non a caso il fu Shinzo Abe prese parte alla task force governativa per la realizzazione di politiche economiche ed industriali nel settore in qualità di senior advisor, insieme all’attuale Ministro delle Finanze.
Sebbene sia impossibile attribuire una relazione di causa-effetto tra la partecipazione dello storico premier nipponico alla task force e il numero di investimenti ed accordi internazionali firmati a seguito della sua inclusione, certo è che la coincidenza non aiuta ad evitare speculazioni in merito e alimenta la narrativa secondo la quale Shinzo Abe fosse ancora la figura di primo piano del governo nipponico. Un esempio di questi accordi è quello firmato tra TSMC e la giapponese Sony per la costruzione di impianti di ricerca su suolo nipponico. Tuttavia, un articolo di Nikkei Asia sottolinea come il rischio di una tale iniziativa sia quello che TSMC intaschi i soldi dei contribuenti giapponesi per sviluppare brevetti che rimarranno nelle loro tasche.
Un fronte non poi così compatto
La critica mossa dal Nikkei è esemplificativo dello stato attuale della situazione nell’Indo-Pacifico: la competizione economica sino-americana non crea due blocchi separati e distinti, bensì assume contorni sfocati e colorati con varie sfumature di grigio. Un altro esempio eclatante è quello dei rapporti tra Tokyo e Seul. Nel 2019, una corte sudcoreana emanò una sentenza di condanna nei confronti di alcune compagnie nipponiche per le questioni relative ai lavoratori forzati durante il periodo coloniale. La risposta giapponese fu quella di rendere l’importazione di materiali chimici più complessa per le industrie coreane. Non a caso, questi prodotti erano necessari alla realizzazione di microchip.
Il CHIPS and Science Act si inserisce in un contesto nel quale ogni Stato coinvolto nel settore sta attuando misure volte all’autotutela; in un quadro così frastagliato rimane difficile pensare quindi che gli obiettivi previsti all’interno dell’IPEF possano trovare riscontri positivi nel breve-medio periodo. Creare una catena produttiva “sicura” diventa incrementalmente più difficile se le imprese degli Stati dell’Indo-Pacifico si trovano nella condizione di dover competere tra di loro. Inoltre, diventa incrementalmente più difficile rinunciare ad un mercato di un miliardo e trecento milioni di persone come quello cinese.