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TematicheCina e Indo-PacificoUS-ASEAN Special Summit: una “Nuova Era” di relazioni?

US-ASEAN Special Summit: una “Nuova Era” di relazioni?

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Lo scorso 12 e 13 maggio si è tenuto a Washington D.C. lo US-ASEAN Special Summit, in occasione dei 45 anni di dialogo diplomatico tra l’Association of South-East Asian Nations (ASEAN) e gli Stati Uniti. Il Summit è stato presenziato dal Presidente Joe Biden e da otto presidenti dei dieci Paesi membri dell’Associazione, assenti le Filippine (causa cambio di presidenza) e il Myanmar, per i noti problemi politici interni al Paese. In questo articolo si prenderà questa occasione per illustrare le principali tematiche e criticità del rapporto tra Stati Uniti e ASEAN, nell’attesa di ulteriori sviluppi futuri. 

Il Summit è un’attesa occasione per gli Stati Uniti nel quadro della definizione delle relazioni statunitensi con i Paesi dell’Indo-Pacifico. In tale contesto, i Paesi dell’ASEAN costituiscono un’importante interlocutore al fine di stabilire una presenza statunitense nella regione, sia in ambito economico che securitario. In generale, l’area ASEAN potrebbe diventare nei prossimi anni il centro della produzione e dello scambio di merci a livello globale. I Paesi del Sud-Est Asiatico, infatti, vivono in diverse misure una fase di robusta crescita economica: la necessità di assicurare tale crescita (che va ovviamente a beneficio della stabilità interna dei Paesi membri) rende sempre più necessario lo sviluppo di un’efficace politica estera di ciascuno Stato, volta da un lato al mantenimento dell’equilibrio nei rapporti economici tra i Paesi membri e l’esterno, dall’altro al contenimento della Cina e delle sue potenziali mire espansionistiche, specie nel Mar Cinese Meridionale, che andrebbero a detrimento della libertà di navigazione e dei traffici marittimi. 

Seppur si registrano in ambito economico importantissimi sviluppi, primo fra tutti la stipula dell’accordo RCEP che creerà la zona di libero scambio più grande del pianeta, nonché progressive misure di liberalizzazione dell’accesso a tali Paesi di capitali esteri, sul piano della sicurezza e difesa l’ASEAN non è stato in grado di imporre delle politiche comuni all’interno della regione. In questa prospettiva, l’ASEAN si trova spesso a disagio nel rinunciare ad importanti prospettive di investimenti cinesi in favore di una postura ferma e coesa riguardante le pretese cinesi del Mar Cinese Meridionale. Quanto tale ambivalenza potrà resistere all’espansionismo cinese è ancora da vedersi, posto che l’eccessivo appeasement nei confronti dell’assertività cinese sarà in ultimo a danno della libertà di navigazione nell’area, principio cardine dell’esistenza stessa dell’Associazione. 

Per il momento, tuttavia, parrebbe conveniente ai paesi dell’ASEAN (in diverse misure) farsi “corteggiare” dalle grandi potenze della regione, specie nelle promesse di investimenti per lo sviluppo, integrazione economica ed assistenza. È stato osservato come l’ASEAN spesso ingaggi i propri interlocutori con un approccio olistico, privilegiando le dichiarazioni di intenti e principi rispetto al concreto impegno su certe tematiche, che spesso viene deciso in dialoghi bilaterali e meno solenni. 

Nel tentativo di ingaggiare l’ASEAN secondo tale grammatica, poco prima del Summit l’Amministrazione Biden ha annunciato che l’ASEAN dovrà essere parte integrante della strategia statunitense nell’Indo-Pacifico, lanciando l’idea di una “Nuova Era” di relazioni tra le parti. In uno con tali dichiarazioni, è stata annunciata l’intenzione di investire circa 150 milioni di dollari in progetti per lo sviluppo della regione. In quest’ottica, la Dichiarazione Congiunta rilasciata in esito al summit tocca otto tematiche considerate strategiche: lotta al COVID (gli USA hanno già donato a diversi Paesi del blocco milioni di vaccini), integrazione economica, mantenimento della pace, movimento di persone, innovazione tecnologica, lotta al cambiamento climatico, sostegno allo sviluppo regionale e sicurezza marittima. 

Sul piano diplomatico, tali dichiarazioni di intenti spesso faticano a trovare diretta traduzione in effettivi impegni comuni, e ciò sembra essere confermato da alcuni fattori. Innanzitutto, la summenzionata somma di 150 milioni di dollari in sviluppo regionale è di limitata rilevanza se comparata alla mole di investimenti cinesi per lo sviluppo nell’area, che supera il miliardo e mezzo di dollari: l’ASEAN può definirsi una “piazza costosa” in tal senso. Inoltre, gli Stati Uniti mancano nel dialogo ASEAN da diverso tempo, specialmente dopo l’interruzione del dialogo in materia di cooperazione economica dell’Amministrazione Trump nel 2017: la strada per la costruzione di relazioni “omnicomprensive” con i Paesi dell’Associazione sembra dunque in salita. 

Nonostante queste criticità, se si colloca tale summit in una prospettiva regionale di più lungo periodo, vi sembra comunque spazio per ulteriori sviluppi sia economici che securitari. 

Per quanto riguarda la cooperazione economica, il Summit non è sembrata l’occasione opportuna all’Amministrazione Biden per lanciare l’Indo-Pacific Economic Framework, ossia la strategia economica per affermare la presenza statunitense nell’area, che invece sarà annunciata durante la visita di stato di Biden in Giappone a fine maggio. Si può osservare come gli Stati Uniti abbiano mantenuto una visione prudente anche in ambito di integrazione economica, inserendola nella strategia statunitense ad ampio raggio nella regione. A suffragio di ciò, è noto come l’ASEAN non sia l’interlocutore più adatto a ricevere forti impegni dalle controparti: la natura stessa delle relazioni ASEAN (informali e non maggioritarie) renderebbero per il blocco difficile elaborare una risposta congiunta, se non dopo lunghi periodi di negoziazioni. Infine, occorre sottolineare come i paesi dell’Associazione siano spesso luogo di delocalizzazione per le società americane, e un’apertura troppo brusca all’integrazione economica avrebbe destato malcontento interno agli USA, a seguito delle promesse del Presidente circa la creazione di nuove opportunità di lavoro. 

Per quanto riguarda la cooperazione in materia di sicurezza, è chiaro come anche l’ASEAN si stia avvicinando ad una concezione dell’Indo-Pacifico simile a quella elaborata da Giappone e Stati Uniti, anche se con tinte di regionalismo. Nel 2019 infatti i Paesi dell’Associazione hanno adottato congiuntamente la loro visione di un Indo-Pacifico libero e aperto, l’Asean Outlook on the Indo-Pacific. È chiaro come tale iniziativa vuole dare centralità all’ASEAN nella creazione di un sistema che assicuri la sicurezza marittima, ma mai in un’ottica oppositiva, bensì inclusiva e di dialogo. Va osservato come anche la dichiarazione congiunta del Summit contenga diciture analoghe, e ciò suggerirebbe una maggiore consapevolezza da parte dell’Associazione circa il mutato assetto geopolitico, e pertanto della necessità di una maggiore cooperazione con USA e alleati in tale ambito. Ciò tuttavia va inserito in un contesto in cui gli Stati Uniti intrattengono già una rete di alleanze con paesi membri dell’ASEAN (Filippine e Tailandia, nonché una stretta cooperazione militare con Singapore) e dialoghi strategici (i celebri QUAD e AUKUS) con potenze regionali, rendendo il dialogo in materia di sicurezza con l’ASEAN solo un tassello (eventuale peraltro) della rete di accordi e alleanze che va intessendosi. 

In conclusione, è chiaro come questo Summit abbia riaperto un dialogo tra ASEAN e Stati Uniti sulla base del comune interesse alla crescita economica e alla sicurezza nella regione, seppur in entrambi i casi con finalità differenti. In tale prospettiva, appare come gli Stati Uniti stiano iniziando a promettere ai Paesi ASEAN più del solito, ma con le dovute cautele, e con la consapevolezza delle contingenze che tali Paesi vivono. Sarà da vedere quanto ancora i paesi dell’Associazione potranno farsi corteggiare dalle promesse dell’una o dell’altra superpotenza, o se la necessità di proteggere i propri interessi e la propria sicurezza possano far convergere l’ASEAN verso un dialogo più costruttivo e fattuale con gli Stati Uniti.

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