Dopo il fallimento della proposta di imporre un price cap sul gas proveniente dalla Russia, la Commissione Europea tenta una strada alternativa per limitare i danni della crisi energetica ed economica alle porte, ed in particolare per limitare i costi sempre più alti delle bollette per consumatori e aziende.
Il discorso sullo stato dell’Unione
Nel discorso sullo stato dell’Unione tenutosi mercoledì 14 settembre a Bruxelles la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha indirizzato il corso della politica comunitaria per i prossimi mesi. Oltre a riaffermare la condanna all’invasione russa dell’Ucraina, von der Leyen ha parlato di sanzioni, transizione energetica e questioni economiche. Le novità più importanti riguardano però la crisi energetica in corso e le soluzioni per affrontarla.
Spinta dalla necessità di rendersi indipendente dalla Russia sul piano energetico e di distanziarsi dal punto di vista politico, l’Unione Europea è passata dal contare sulle forniture di gas russe per il 40% del suo fabbisogno all’attuale 9% (European Commission, 14/9/2022). Un successo straordinario, se non fosse che le entrate del Cremlino non solo sono rimaste stabili, ma sono anzi aumentate a causa dell’incredibile impennata nei prezzi del gas naturale, 10 volte più alti rispetto a prima della pandemia (European Commission, 14/9/2022).
A profittare di questa congiuntura però non sono solamente le casse moscovite, ma anche le compagnie energetiche europee che hanno ottenuto, nelle parole della Commissaria “profitti incredibilmente alti”.
La Commissione ha quindi messo a punto una serie di proposte volte a ridurre la domanda di energia – e quindi anche il costo della stessa – e redistribuire il surplus del settore energetico verso i consumatori finali.
I punti principali del piano
Dal lato della domanda, la Commissione propone l’obbligo per gli Stati membri di tagliare i consumi di almeno il 5% durante le ore in cui il prezzo dell’energia è maggiore, accanto ad una riduzione della domanda di elettricità per almeno il 10% entro il 31 marzo 2023. Secondo quanto auspicato dal Commissario europeo per il clima Frans Timmermans, “la riduzione della domanda aiuta a riequilibrare il mercato energetico, abbassare le bollette dell’energia, ridurre le emissioni e renderci immuni dai giochi della Russia” (European Commission, 14/9/22).
Inoltre, verrebbe imposto ai cosiddetti produttori di energia “inframarginali” – coloro che producono energia a bassi costi, ma che vendono comunque a prezzo di mercato – un prezzo massimo di vendita a 180€ per megawatt/ora, meno della metà dei prezzi correnti. Tale misura colpirebbe principalmente il settore nucleare e delle rinnovabili, consentendo però di mantenere ricavi abbastanza alti da coprire i costi e gli investimenti, e conservando un margine adeguato per investire in nuove capacità in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Unione Europea al 2030 e al 2050.
L’ultimo punto è quello che ha destato più scalpore, soprattutto perché apparentemente in contrasto con la storica avversione dell’Unione Europea verso le distorsioni del mercato. È stato infatti proposto agli Stati membri di introdurre una tassa sugli extra profitti generati dalle attività del settore oil&gas, del carbone e delle raffinerie; una “windfall tax” che, assieme agli altri due punti, porterebbe nelle casse dei paesi UE fino a 140 miliardi di € – di cui 25 dalla windfall tax e 117 dal tetto sulle entrate dei produttori inframarginali (The Guardian, 14/9/22) – da redistribuire poi sotto forma di sussidi a famiglie e aziende per affrontare il caro energia.
La nuova postura dell’Unione può sembrare incoerente con la strenua difesa dell’economia di mercato e della concorrenza sancita nei trattati, e infatti la parola “windfall tax” non viene mai nominata da von der Leyen – preferendo la dicitura “solidarity contribution” – anche se in effetti è ciò di cui si tratta. La Presidente giustifica così la manovra: “Nella nostra economia di mercato sociale i profitti sono buoni. Ma in questi tempi è sbagliato ricevere profitti record beneficiando della guerra e sulle spalle dei consumatori. In questi tempi i profitti vanno condivisi”.
Fallito l’accordo per il price cap sul gas
Le nuove misure proposte dalla Commissione arrivano dopo il fallimento nelle trattative per imporre un price cap al gas importato dalla Russia. Per varare tale misura sarebbe stato necessario ottenere l’approvazione di tutti i 27, ma i paesi membri che dipendono ancora in larga parte dal gas russo, tra cui, Ungheria, Slovacchia e Austria, si sono opposti, temendo che il Cremlino avrebbe potuto interrompere il flusso e lasciarli al freddo, oltre che condannarli alla recessione. E infatti lo stesso Putin ha minacciato di interrompere l’export verso l’intero continente se tale piano dovesse essere varato, mentre l’incidente del Nord Stream – da molti attribuito ad un sabotaggio russo – ricorda a tutti la condizione di vulnerabilità che ancora affligge molti paesi europei – anche se il transito attraverso il gasdotto era già stato sospeso, ufficialmente per motivi tecnici.
Una soluzione alternativa, e ancora più radicale, sarebbe quella di imporre un price cap non solo al gas russo, ma a tutto il gas che giunge in Europa. Proposta che incontra il favore di molti, tra cui Francia e Polonia, ma che al contrario non convince quei paesi, come Paesi Bassi e Danimarca, che non vedono di buon occhio qualsiasi misura restrittiva delle dinamiche di mercato. La misura potrà essere portata avanti a livello nazionale – come sta accadendo in Germania e in Italia – anche se non si tratta di un vero e proprio price cap, quanto piuttosto di un tetto massimo garantito ai consumatori finali, con lo stato che si fa carico di pagare la differenza con il prezzo di mercato.
Al contrario, è stato raggiunto un accordo di massima per l’introduzione di un tetto massimo al prezzo del petrolio proveniente da Mosca nell’ultimo pacchetto di sanzioni europee.
Insomma, l’Unione Europea rimane ancora troppo frammentata al suo interno per prendere una posizione coesa e radicale nei confronti della Russia e della crisi energetica in corso, amplificata dalla guerra in Ucraina. Coesione pregiudicata dalla difficoltà nel raggiungere un consenso unanime su qualsiasi proposta. Nonostante ciò, l’accordo raggiunto tra i Ministri dell’energia dei 27 per implementare a livello nazionale le proposte della Commissione rappresenta un notevole passo avanti.