Tra gli argomenti ed i concetti considerati tabù nel nostro paese a partire dal secondo dopoguerra, vi è senza dubbio quello dell’interesse nazionale. Pur riaffiorando con regolarità, il tema continua a suscitare ambiguità e sospetti in una parte del mondo culturale e dell’opinione pubblica che vi scorgono addirittura «un segno di grettezza morale, forse una manifestazione di fascismo».
L’ interesse nazionale in un mondo di supply chain
Definito chiaramente dall’insieme di interessi che sono alla base del nostro sistema politico, economico, militare, valoriale e culturale, tale concetto si è accompagnato nei diversi periodi storici alle reali possibilità di una Nazione che, pur ambendo al ruolo di grande potenza europea, mancava (e purtroppo ancora manca) degli elementi che invece contraddistinguono i profili di coloro che ambiscono ad un tale status: peso demografico, risorse naturali, spesa militare, sistema economico ed infrastrutture. Non per questo però l’Italia deve necessariamente abdicare al perseguimento dei propri interessi nazionali, seppur in ambito europeo, tenendo ben presente quella che Alessandro Aresu e Luca Gori hanno chiamato in maniera condivisibile “componente fissa” ovvero conoscendo i fattori costitutivi della nostra nazione ed in relazione agli aspetti materiali operare secondo le proprie possibilità in maniera stabile e duratura, con un corretto mix di hard power e di soft power. A quest’ultimo aspetto è doveroso far corrispondere una precisa e dinamica geopolitica delle infrastrutture per l’interesse nazionale, in particolare per la crescita di un Paese come il nostro che già sconta un annoso ritardo aggravato sia dalla scarsa lungimiranza politica che dalla crisi economica del 2008 oltre a quella più recente generata dalla pandemia da Covid-19.
Le infrastrutture materiali ed immateriali
Un evento drammatico come quello del crollo del viadotto Morandi a Genova nell’agosto del 2018 ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della sicurezza del nostro sistema infrastrutturale. Sicurezza che si divide sui tre fronti della realizzazione, della manutenzione e della gestione, in cui è necessario che lo Stato dispieghi tutte le proprie risorse e le capacità di programmazione strategica. Con l’avvento degli anni duemila in Italia si è altresì notato il progressivo disimpegno rispetto ad una visione d’insieme che tenesse presente non solo le ricadute economiche e ambientali delle singole opere, ma soprattutto quelle geopolitiche che oggi risultano dirimenti. Oggi è divenuto prioritario realizzare quelle connessioni tra il nostro Paese e il resto dell’Europa ambendo così ad un ruolo da protagonisti nel continente e nel mondo. Ad esempio attraverso i collegamenti ferroviari ad alta velocità, divenuti dei mezzi efficaci per l’affermazione di potere geopolitico equivalendo simbolicamente per uno Stato, al possesso di una compagnia aerea di bandiera con la visibilità che ne consegue dal punto di vista internazionale oltreché per il miglioramento della coesione territoriale all’interno dei propri confini, sfruttando in maniera efficace l’occasione offertaci dalla nostra posizione al centro del Mediterraneo come potenziale interfaccia tra flussi mediterranei ed Europa continentale. Su di un altro versante la rivoluzione digitale ha trasformato la geografia fino ad oggi conosciuta, aggiungendo nuovi ambiti come lo spazio digitale (costituito da web, piattaforme multimediali, aggregati di dati e nuove arene di confronto) e la digitalizzazione dello spazio (che modifica le modalità con cui le relazioni tra attori si realizzano negli spazi già esistenti) che inevitabilmente dovranno tradursi in nuove infrastrutture necessarie per competere ed eccellere in chiave politica e di business all’interno di un contesto fortemente digitalizzato. Reti fondamentali ad esempio nel Mezzogiorno, dove andrebbe potenziato il sistema digitale adottando su vasta scala la banda larga. Una prima infrastruttura cruciale quindi per le comunicazioni digitali a livello nazionale, tra Paesi della stessa regione e tra regioni diverse, sarà costituita dal network di cavi ed interconnettori che costituiscono la componente fisica del world wide web e che in questa prospettiva assumeranno una notevole rilevanza geopolitica.
I porti e la logistica
L’Italia del mare nonostante tutte le vicissitudini ed una scarsa attenzione per il settore continua a giocare un ruolo di primo piano nel contesto europeo e mondiale. Per la capacità di mettere in rete le economie dei mercati del mondo, lo shipping appare oggi ancor di più come il vero motore della globalizzazione. Basti pensare ad un dato: il 90% dei prodotti mondiali si sposta attraverso navi sempre più grandi e moderne. L’importanza strategica di porti ben funzionanti ed efficienti per la crescita e lo sviluppo non può quindi essere sottovalutato. Un’efficienza raggiungibile a patto che vengano migliorati i collegamenti tra porti, autostrade, ferrovie, aeroporti e parchi logistici. Per l’Italia, come è stato appurato, l’economia del mare (blue economy)riveste una particolare importanza contribuendo al PIL nazionale per 31,6 miliardi euro (dando occupazione a 471 mila persone fra addetti ed indotto ed in secondo luogo per il fatto che il 54% del commercio estero avviene via mare. Le infrastrutture marittime proprio perché essenziali per il nostro PIL devono essere tenute al passo con la continua evoluzione dei mezzi commerciali che diventano sempre più grandi e complessi, affinché possano scaricare e ricaricare rapidamente le merci minimizzando la loro permanenza in porto. Sul fondamentale apporto della logistica nell’affermazione degli interessi nazionali è opportuno rammentare che
«i trasporti marittimi hanno reso possibile, dagli anni Ottanta del secolo passato, la globalizzazione, riducendo fortemente i costi delle connessioni: il luogo comune in base al quale è stato il solo basso costo del lavoro che ha consentito le delocalizzazioni manifatturiere nei paesi di nuova industrializzazione deve essere letto con gli occhiali anche delle profonde innovazioni determinate dalla logistica marittima. Le economie di scala del gigantismo navale, unito alla rivoluzione dei containers ed alla unitizzazione dei carichi, ha spinto le economie internazionali ad una maggiore connettività, consentendo una dislocazione delle fabbriche meno concentrata in territori ristretti. Si sono sviluppate le catene globali del valore, che hanno generato flussi inter-stabilimento tra i diversi componenti della filiera manifatturiera. Per un televisore del valore di 1.000 dollari prodotto a Shangai e venduto ad Anversa, il costo del trasporto marittimo è pari a 10 dollari, contro i 70 dollari del trasporto aereo. Si tratta di frazioni comune accettabili sul totale complessivo del valore prodotto. Senza le economie di scala determinate dalla riorganizzazione dei servizi marittimi e senza la costruzione di un network efficiente di comunicazioni, a prezzi decrescenti, la globalizzazione sarebbe rimasta un’anatra zoppa».
Attrarre aziende per costruire filiere radicate sul territorio così da far crescere le medie e piccole imprese italiane, riuscendo altresì a reindirizzare il sistema produttivo verso vocazioni ad elevato contenuto tecnologico, rappresenteranno gli obiettivi verso cui indirizzare una politica industriale moderna.
Cogliere l’opportunità infrastrutturale per tornare ad essere protagonisti
Dal Secondo Dopoguerra agli inizi degli anni Novanta l’Italia ha puntato sull’ampliamento della propria rete infrastrutturale di terra, acqua e aria. Con l’avvento della Seconda Repubblica abbiamo tuttavia assistito ad una sostanziale inversione di rotta che è andata consolidandosi con l’ingresso nell’unione monetaria al punto che, paradossalmente, oggi l’Unione Europea rappresenta il principale garante del nostro ammodernamento. Gli investimenti in questo settore dovranno essere una parte indispensabile di ogni piano di stimolo fiscale che molti paesi adotteranno nelle settimane e mesi a venire per mitigare gli effetti avversi della paralisi economica, creando occupazione e migliorando al tempo stesso la competitività complessiva del sistema paese. Come sostengono giustamente Alberto Belladonna ed Alessandro Gili
«essi saranno un efficace strumento contro-ciclico quando i consumi, gli investimenti e i flussi commerciali sono ridotti a causa della contrazione dell’attività economica e costituiscono una componente fondamentale dello sviluppo futuro di un paese grazie al loro speciale ruolo a supporto degli altri fattori di produzione che determinano importanti effetti positivi e incrementano l’output potenziale e la produttività di tutti gli input. Basti considerare che essi rappresentano una piattaforma attraverso cui possono svilupparsi tecnologie incrementali e dirompenti, in una catena di effetti di spillover che si autoalimentano e che pongono le basi per la crescita futura».
Investimenti in infrastrutture, intermodalità e sviluppo del capitale umano puntando sul mare, sono tre principi ai quali il nostro Paese dovrà applicarsi per sfruttare appieno la sua posizione geografica e le sue capacità intellettuali. L’Italia ha la responsabilità di assumere un ruolo di regia attraverso la valorizzazione delle esperienze, delle conoscenze e degli investimenti degli anni passati, riscoprendo un naturale ruolo di guida e di riferimento in quello che era il Mare nostrum, rappresentandocosì anche l’Unione Europea nell’area, al fine della promozione di un’efficace azione strategica per il rilancio della nostra politica marittima.
L’articolo costituisce un estratto dal saggio pubblicato nel volume “L’Italia del Futuro” Eclettica edizioni 2020, a cura di Francesco Carlesi, pag.306