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RubricheFaro AtlanticoUna banca nel futuro della NATO?

Una banca nel futuro della NATO?

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Un recente report pubblicato dal Center for American Progress, uno dei think tank più in vista di Washington, propone al neoeletto presidente degli Stati Uniti Joe Biden l’istituzione di un istituto di credito al servizio della NATO tramite il quale ridare slancio agli investimenti militari degli stati membri e colmare i gap capacitivi dell’Alleanza. 

L’esigenza di un cambiamento

In occasione del summit NATO tenutosi in Galles nel 2014, qualche mese dopo l’annessione russa della Crimea, i leader degli stati membri si impegnarono a raggiungere la soglia del 2% del PIL per le spese militari entro il 2024. In effetti, rispetto a quando fu preso l’impegno, le spese militari dell’Alleanza sono aumentate. Oggi nove Stati membri su 30 hanno raggiunto e superato quella soglia, mentre altri, tra cui la Francia, si apprestano a farlo – nel 2014 solo USA, Regno Unito e Grecia raggiungevano quel parametro. Sono pochi quelli che hanno già dichiarato che non riusciranno a tenere fede all’impegno nel tempo stabilito (come la Germania). 

Quanto stabilito nel 2014 non ha però portato a grandi risultati. Oltre ad aver contribuito a esacerbare le tensioni diplomatiche tra alcuni stati – in primis tra Germania e Stati Uniti – il raggiungimento della soglia del 2% non ha consentito di colmare tutti i gap capacitivi dell’Alleanza. Inoltre, benché molti stati abbiano da allora intrapreso un trend positivo negli investimenti per la difesa, l’attuale pandemia da Covid-19 rischia di far crollare nuovamente le spese militari.

Per scongiurare una probabile riduzione delle quote dei budget degli stati membri riservate alla difesa e permettere una crescita degli investimenti militari, l’amministrazione Biden dovrebbe sfruttare quello che il prestigioso think tank americano definisce “uno degli asset più potenti dell’Alleanza”, ovvero il potere economico finanziario dei suoi membri. Piuttosto che imporre agli alleati un aumento delle spese militari fino al 2% del pil, dice il report, sarebbe più efficace rendere più fruibili le risorse che rendono possibili questi investimenti. 

I gap da colmare

Il Centro offre un’analisi delle criticità che la NATO potrebbe riuscire a superare con questo strumento. L’aver combattuto per anni contro gruppi armati irregolari in Africa e in Medio Oriente ha inevitabilmente comportato per le forze della NATO la messa in secondo piano dello sviluppo di capacità militari convenzionali, oggi considerate fondamentali per esercitare deterrenza nei confronti degli avversari peer dell’Alleanza, primi tra i quali Russia e CinaLa presenza ai confini con l’Europa di un avversario come la Russia, dotato di capacità militari convenzionali all’avanguardia, impone alla Nato di disporre di una grande capacità di movimento di truppe da ovest a est, da effettuare in un breve periodo di tempo. L’espressione di tale capacità richiede la presenza in Europa di infrastrutture e vie di comunicazione in grado di permettere la transitabilità di grandi quantità di forze corazzate pesanti, dunque di investimenti ingenti, specialmente in materia di grandi opere viarie. 

Sempre in relazione alla Russia, l’Alleanza deve ancora risolvere un annoso problema connesso al parco mezzi e materiali degli stati dell’est Europa parti del blocco atlantico. Questi stati sono infatti dotati di strumenti militari ancora caratterizzati dalla massiccia presenza nei loro ranghi di vecchi armamenti sovietici, che rendono queste forze armate fortemente dipendenti dalla Russia per la fornitura di pezzi di ricambio e per gli aggiornamenti necessari alla loro efficienza operativa. Tali stati, benché consci di questa loro vulnerabilità, spesso non hanno le risorse finanziarie per approvvigionare le loro forze armate con i moderni ma costosi sistemi d’arma prodotti da stati occidentali. 

Uno strumento, più utilizzi

In un periodo caratterizzato dal rapido sviluppo di tecnologie emergenti, potenzialmente in grado di cambiare radicalmente il modo di condurre le operazioni militari, un istituto di credito come quello immaginato dal think tank americano risulterebbe utile per assicurare all’Alleanza la disponibilità di risorse economiche sufficienti per procedere con investimenti rapidi ed efficaci nel settore delle tecnologie emergenti. 

La banca della NATO sarebbe utile a scongiurare il rischio che stati non in grado di reperire le risorse necessarie a procedere con gli investimenti militari di cui hanno bisogno si rivolgano a stati rivali dell’Alleanza, come la Cina e la Russia. Questi ultimi, infatti, hanno provveduto alla creazione di una serie di istituzioni – la Asian Infrastructure Investment Bank, la Black Sea Trade and Development Bank, la New Development Bank, la International Investment Bank, tra le altre – in grado di fornire finanziamenti considerevoli agli stati che ne facciano richiesta. Tale dinamica rappresenta una minaccia per la NATO, che vede l’influenza dei suoi rivali assumere maggiore rilevanza all’interno della schiera di alleati di cui si compone.

Gli attuali sistemi di finanziamento previsti dagli stati membri, compresi i recenti strumenti creati in seno all’Unione Europea, non risultano adatti alle attuali esigenze dell’Alleanza, essendo questi o troppo legati a logiche nazionali, o non accessibili agli stati dotati di budget più ristretti o ancora mirati a sviluppare capacità non individuate come critiche dalla NATO.

La banca opererebbe come un ente messo a disposizione dell’Alleanza, ma anche degli stati partner, come la Svezia, per ottenere prestiti a lungo termine con interessi minimi per l’investimento nel settore della difesa. L’istituzione, oltre a erogare prestiti per favorire l’investimento militare, sarebbe ispirata al criterio di massima flessibilità: il sostegno finanziario sarebbe assicurato anche nel caso in cui uno o più membri dell’Alleanza si trovasse di fronte a una crisi di dimensioni rilevanti o fosse in difficoltà nel reperire i fondi per finanziare delle operazioni fuori area o nel caso in cui l’Alleanza volesse contribuire al processo di ricostruzione successivo ad un intervento in un paese estero. 

Matteo Mazziotti di Celso,
Geopolitica.info

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