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Un nuovo capitolo del contenimento statunitense sullo sfondo del blocco geopolitico russo-cinese

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Le recenti tensioni generate dalle manovre militari condotte da Russia e Ucraina lungo i confini del Donbass si presentano come l’ennesima violazione del cessate il fuoco raggiunto nel 2014, a seguito del quale le tensioni si sono tuttavia protratte fino ad oggi. L’equilibrio instabile originato da quella fragile tregua rischia però di saltare, dato che il presidente ucraino Zelensky sembra intenzionato ad imprimere un’accelerazione al processo di integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, confidando nel cambio di passo dell’amministrazione Biden in merito al contenimento della Russia. Sullo sfondo di tale scenario, Pechino cerca da anni di costruire un fronte comune con Mosca al fine di contrastare il duplice contenimento messo in atto contro i due Paesi.

L’elezione di Zelensky e la speranza di una pace duratura

Il mese di marzo 2020 ha visto una progressiva escalation delle tensioni tra Mosca e Kiev, coinvolte dal 2014 in un conflitto a bassa intensità che interessa le aree orientali dell’Ucraina, dove i distretti di Donetsk e Lugansk si sono autoproclamati indipendenti in concomitanza con le tensioni politiche che hanno portato all’annessione russa della Crimea. Tali eventi hanno aperto un fronte di guerra, che, sebbene sia a bassa intensità, ha fortemente rallentato quel processo di avvicinamento all’Occidente che sembrava quantomeno avviato. In un simile scenario, nel 2019 si è assistito all’elezione a presidente della repubblica di una persona fino a quel momento estranea alla politica come Volodymyr Zelensky, che aveva imperniato la campagna elettorale sull’apertura di una trattativa con il Cremlino per mettere fine al conflitto con l’ingombrante vicino russo. L’auspicio di giungere ad una riconciliazione quanto più possibile pacifica tra i due Paesi è stato però disatteso sin da subito, poiché dopo i primi passi in avanti il dialogo tra le parti si è interrotto. Tra le cause che hanno generato tale situazione di stallo nei negoziati vi è stato il disaccordo sulla questione relativa allo status delle regioni separatiste, per le quali Kiev e Mosca continuano ad intravedere due prospettive di futuro tra loro incompatibili. 

Le speranze deluse

La Russia, dal canto suo, ha sempre sostenuto una linea intransigente nei confronti del governo ucraino, ponendo una chiara richiesta di autonomia per le regioni separatiste in cambio della definitiva risoluzione delle controversie. Il punto in questione, ritenuto essenziale dal Cremlino, non è stato tuttavia accettato da Kiev, che ha richiesto il ritorno dei distretti separatisti sotto il proprio effettivo controllo senza dover prima assicurare garanzie di autonomia locale, ritenuta deleteria per la sovranità ucraina. Visto il calo dei consensi dovuto sia all’insuccesso della strategia conciliatoria inizialmente adottata nei confronti della Russia sia alla concomitante crisi economica degli ultimi anni, il governo ucraino ha posto in essere una decisiva svolta politica, per approdare verso una strategia di contrasto mirato nei confronti di tutti gli enti e le persone fisiche considerati troppo vicini alle posizioni del Cremlino. In conseguenza di ciò, si è assistito a campagne mediatiche delegittimanti nei confronti di elementi considerati come filorussi, puntualmente seguite da sanzioni economiche nei confronti di personalità di spicco ritenute troppo vicine alla Russia e a Putin. La virata in senso nazionalista di Zelensky, punta a capitalizzare i consensi di una popolazione provata dalla guerra e da una crisi finanziaria che ha costretto il Paese a richiedere l’intervento del Fondo Monetario Internazionale. 

Prove di integrazione nell’area euro-atlantica?

Il cambio di passo sul piano interno non ha tuttavia prodotto dei risultati concreti sul piano internazionale, almeno fino all’insediamento dell’attuale presidente americano, dal momento che la precedente amministrazione statunitense guidata da Donald Trump non ha mai voluto creare nuovi attriti con la Russia, né aggravare le situazioni di tensione già esistenti nell’Europa orientale. La politica estera condotta dall’attuale presidente Joe Biden sembra voler riportare all’attenzione dell’opinione pubblica i dossier lasciati parzialmente in sospeso con la Russia, che è stata fatta oggetto di sanzioni economiche dirette non solo contro persone e compagnie strategicamente legate al Cremlino, ma anche contro i titoli di stato russi. A partire da giugno 2021, infatti, le istituzioni finanziarie statunitensi non potranno effettuare transazioni sul mercato primario dei bond emessi dalle istituzioni finanziarie russe. Il 78enne democratico, sebbene non consideri la Russia un rivale pericoloso quanto la Cina, pare comunque voler mettere in campo una strategia di esplicito contrasto alle velleità egemoniche di Mosca sullo spazio ex sovietico. In quest’ottica, i recenti movimenti di truppe ucraine lungo il confine delle regioni contese, così come i segnali di avvicinamento all’Occidente e il rilancio dell’integrazione del Paese nell’area euro atlantica, possono essere letti come un tentativo di capitalizzare la posizione dell’Ucraina quale futuro “avamposto” del blocco euro-atlantico. Le recenti tensioni al confine russo-ucraino appaiono quindi come una sorta di “rischio pianificato” da entrambe le parti, intenzionate a difendere fermamente le loro rispettive posizioni. 

L’impatto sugli equilibri dell’Europa orientale

Infatti, se dal canto suo la Russia intende scongiurare che Kiev si avvicini troppo al “blocco occidentale”, memore di quanto la perdita di egemonia su alcuni Stati ex satellite abbia danneggiato la sua capacità di proiezione strategica, il governo ucraino d’altro canto ha finora compiuto solo dei passi informali per avvicinarsi al blocco euro-atlantico. L’impressione di fondo è che Kiev cerchi “l’ombrello protettivo” dell’Alleanza Atlantica solo per trattare da una posizione di forza la risoluzione delle proprie questioni interne, mentre Washington, capofila dei Paesi NATO, vede nelle tensioni russo-ucraine un’occasione chiave per incunearsi al confine russo compromettendo più o meno direttamente le capacità di proiezione strategica del Cremlino. In quest’ottica, i movimenti navali americani nel mar Nero sembrano dunque indice di una politica di “rischio pianificato”, che rischia però di avere risvolti imprevisti per la Casa Bianca, impegnata da alcuni anni in un aperto contenimento anche nei confronti dell’altro rivale strategico fondamentale, la Cina. Quest’ultima, a causa della politica di contenimento messa in atto dagli Stati Uniti, potrebbe essere incentivata a rafforzare ulteriormente i legami strategici già avviati con Mosca, la quale si trova a fare i conti con un crescendo di pressioni internazionali da parte di Washington e dei suoi alleati europei.

Conclusioni

La politica di contenimento simultaneo messa in atto dalla Casa Bianca nei confronti di Cina e Russia rende problematico ipotizzare i futuri sviluppi di tale strategia, che a fronte di qualche vantaggio potrebbe tuttavia generare effetti negativi per gli Stati Uniti qualora i due rivali strategici più importanti decidessero di consolidare i loro legami per mettere al sicuro le rispettive sfere di influenza. Dinanzi a tale scenario, il dispendio di risorse tecniche, economiche e militari cui Washington dovrebbe far fronte per contenere simultaneamente la proiezione internazionale dei due rivali potrebbe rivelarsi deleterio per gli Stati Uniti, i quali rischierebbero di andare incontro a un fenomeno di “overstretching” delle proprie risorse, con una probabile compromissione delle proprie capacità di proiezione internazionale. 

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