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NotizieUn nuovo inizio per la corsa all’Artico

Un nuovo inizio per la corsa all’Artico

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La storia indica chiaramente come la scoperta di nuove rotte commerciali determina veri e propri sconvolgimenti politici e culturali. L’impresa di Cristoforo Colombo che nel 1492, alla ricerca di una rotta navigabile a ovest per le Indie, segnò un vero e proprio punto di non ritorno per l’intera umanità. A soli sessantuno anni dalla spedizione di Colombo, gli esploratori inglesi Hugh Willoughby e Richard Chancello partirono alla ricerca di un passaggio a nord-est.

La spedizione ebbe un esito tragico, ma con cinquecento anni di anticipo indicò la strada che sarà successivamente chiamata “la rotta del XXI secolo”. Con il passare degli anni è cresciuto l’interesse per un’area remota del mondo, le cui insidie diminuiscono con i progressi tecnologici e con i cambiamenti dovuti al riscaldamento del globo terrestre. Lo studio “Sea ice decline and 21st century trans-Arctic shipping routes” pubblicato sul Geophysical Research Letter del dipartimento di meteorologia dell’università di Reading e del National Centre for Atmospheric Science avvalora la prospettiva di un Artico sempre più navigabile. Secondo lo studio «Entro la metà del secolo per le navi standard Open Water, la frequenza dei periodi navigabili raddoppierà, con rotte che diventeranno disponibili in tutto l’Artico centrale». Una tale condizione renderebbe possibile l’apertura della rotta e dei traffici commerciali a navi prive di sistemi rompighiaccio.

Al centro degli interessi della rotta marittima, che collega le coste della Norvegia e della Federazione Russa al Pacifico attraverso il Mar glaciale Artico, vi è innanzitutto il gas. Nel 2012 la prima nave adibita al trasporto di gas naturale liquido, partendo dal porto di Hammerfest in Norvegia, riuscì ad attraccare regolarmente lungo le coste giapponesi. La Ob River, solcando le acque artiche e pacifiche, ha di fatto aperto una nuova via di rifornimento d’energia per l’Asia.

L’altro aspetto cruciale della rotta solcata nel trasporto di gas naturale liquido attraverso l’Artico è di carattere logistico. Infatti, il cargo della Gazprom che ha compiuto la rotta artica riuscì a raggiungere la destinazione con un risparmio di tempo pari al 40%, aprendo rotte più sicure rispetto a quelle tradizionali, che vedono il rifornimento energetico da ovest verso est passare attraverso lo Stretto di Suez e Malacca. In questa novità risiede il vero dato geopolitico, dove all’instabilità dei paesi del Medio Oriente si contrappone una rotta sicura per russi, canadesi, statunitensi e per i paesi dell’Europa settentrionale. Il Cremlino, nell’ottica di espansione del ruolo Russo a est, ha deciso negli ultimi anni il potenziamento delle basi navali e aeree nel Mar Artico, a cominciare da quella di Rogacjovo.  La rotta artica lungo le coste russe, con lo scioglimento dei ghiacci è divenuta molto attraente per la Cina, poiché permetterebbe una circumnavigazione dell’Asia più corta rispetto alla rotta dello stretto di Malacca, evitando i rischi legati alla pirateria. Una rotta marittima del genere ridurrebbe i tempi di percorrenza dall’Asia all’Europa di circa il 40% e proprio questa motivazione ha spinto la Cina nella ricerca scientifica nell’Artico.

Il motivo che ha spinto la Russia ad investire grandi capitali nell’Artico, in maniera maggiore a tutte le altre potenze, è strettamente collegato alla geografia politica. La Russia è la grande “nazione artica”, già nel 2001 fu il primo Stato artico a presentare presso la Commissione per i Limiti della Piattaforma Continentale una domanda di ampliamento della Zona Economica Esclusiva. Qualora la richiesta russa fosse accettata, per l’Orso Bianco significherebbe ottenere il possesso di una gigantesca parte dell’Artide di circa 1,2 milioni di chilometri quadrati ma soprattutto di 594 giacimenti di petrolio, 159 di gas, due giacimenti di nickel e 350 di oro. La cosiddetta “corsa all’Artico” parte proprio da qui, dalla possibilità per la Federazione Russa e per il Canada di estendere unilateralmente da 200 a 350 miglia la piattaforma continentale sotto la propria sovranità.

In questo contesto, l’amministrazione Obama ha dato un nuovo impulso alla presenza statunitense nell’Artico a partire dal 2015.  Non a caso nello stesso anno la Casa Bianca ha diffuso la nota: President Obama Announces New Investments to Enhance Safety and Security in the Changing Arctic e ha contestualmente dato inizio a una rinnovata presenza militare nella regione. I sottomarini rappresentano il cuore dell’impegno militare di Washington nell’Artico. Negli ultimi mesi sono stati impiegati oltre quarantuno sottomarini nucleari appositamente equipaggiati per operare nei ghiacci artici. I sottomarini di classe Seawolf, progettati specificatamente per l’Artide, con sonar capaci di scansionare la superficie del ghiaccio sono, ad oggi, l’avanguardia tecnologica nel settore. Il potenziamento delle truppe di stanza in Alaska con oltre tremila soldati, il numero più numero più alto dai tempi della Guerra Fredda, completano il quadro dell’impegno statunitense nella regione.

Tutti questi elementi ben descrivono la centralità geopolitica dell’Artico e indicano come economia, rotte commerciali e strategie militari pongono la regione al centro degli interessi politici internazionali.

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