Il 27 luglio di quest’anno le delegazioni di Russia e Cina, tra cui il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e il membro del Politburo del Partito comunista cinese Li Hongzhong, si sono incontrate a Pyongyang, in Corea del Nord, per unirsi a Kim Jong Un per le celebrazioni del 70° anniversario del cosiddetto “Giorno della Vittoria”, giorno in cui venne firmato l’armistizio che pose fine ai combattimenti nella guerra di Corea del 1950-53. L’incontro arriva in un periodo di accresciute tensioni nella regione, segnata dalle numerose esercitazioni militari statunitensi con i partner regionali e dai reiterati test missilistici della Corea del Nord.
Verso un asse Mosca-Pechino-Pyongyang?
La visita dei due alti funzionari segna la prima occasione in cui delegazioni di rappresentanza estera fanno ritorno in Corea del Nord, dopo che il regime nordcoreano aveva chiuso le sue frontiere nel 2020 a seguito dello scoppio della pandemia. Il tempismo con cui Pyongyang ha deciso di uscire dall’isolamento diplomatico degli ultimi tre anni non è affatto casuale.
Da una parte, il conflitto ucraino ha permesso a Kim Jong Un di mostrarsi come un fedele alleato della Russia, indispensabile strumento contro il tentativo guidato dagli Stati Uniti di piegare Pyongyang sotto l’effetto delle sanzioni. Schierandosi con la causa russa, Kim ha sostenuto come “la politica egemonica” degli Stati Uniti avesse obbligato Mosca a intraprendere un’azione militare per proteggersi dall’avanzata dell’Occidente. Secondo Kim, dunque, l’accusa di Washington riguardo il presunto invio di armamenti da parte di Pyongyang a Mosca, sarebbe solo un tentativo “volto a offuscare l’immagine della RPDC”.
Dall’altra parte, le condizioni economiche della Corea del Nord, ampiamente peggiorate dall’inizio della pandemia hanno imposto a Kim Jong Un la necessità di avvicinarsi nuovamente, al suo tradizionale alleato economico, Pechino, il quale mantiene in vita il regime nordcoreano da tre generazioni. Garantire la sopravvivenza del regime ha come obiettivo quello di evitare che il suo crollo porti a l’unificazione delle due Coree sotto un governo alleato militare degli Stati Uniti.
Nonostante le relazioni due paesi abbiano conosciuto fasi di tensione, lo scenario internazionale attuale offre a Kim la possibilità di riavvicinarsi a Pechino. Già nel 2021, in occasione del 60° anniversario del Trattato di mutua difesa tra Cina e Corea del Nord, il presidente cinese Xi Jinping affermava di voler “portare le relazioni bilaterali a salire incessantemente a nuovi livelli”, tanto che a seguito di ciò, l’apporto cinese in termini militari, economici e politici è cresciuto. Nell’attuale contesto di competizione strategica tra il Dragone cinese e l’Aquila statunitense, unita alla crescente percezione, da parte di Pechino, del declino dell’influenza americana nell’area dell’Indo-Pacifico, la Cina ha avvertito la necessità di assicurarsi alleati ideologici nella propria corsa verso l’egemonia globale.
In sostanza, la configurazione di un nuovo panorama geopolitico tra Europa e Asia ha offerto a Pyongyang un’opportunità per approfondire i suoi legami con Pechino e Mosca, già migliori amici – amicizia suggellata da Xi Jinping e Vladimir Putin con la dichiarazione congiunta del “partenariato senza limiti” del febbraio dello scorso anno. In questa convergenza di interessi tra le due superpotenze, Kim Jong Un non sembra avere intenzione di rimanere in disparte e, trovando un terreno comune nella loro rivalità con il fronte occidentale guidato da Washington, punta a rafforzare “l’amicizia e la cooperazione militante” tra le tre potenze nucleari.
Se è vero che è la Corea del Nord a corteggiare il fronte sino-russo, è anche vero che Russia e Cina si sono mostrate fedeli partner di Pyongyang ostacolando gli sforzi degli Stati Uniti per rafforzare le sanzioni al regime di Kim. L’approfondimento dell’alleanza trilaterale tra Washington, Tokyo e Seoul emerge chiaramente come la principale forza trainante che spinge Cina e Russia a cercare una sempre maggiore cooperazione con il regime nordcoreano. Con Mosca che tenta di rafforzare la propria posizione in Asia attraverso alleanze politiche e le esportazioni di energia ai suoi partner, con Washington alla ricerca del rafforzamento dei suoi legami con le potenze asiatiche in chiave anti-cinese, non sorprende che entrambi i paesi cerchino di coinvolgere Pyongyang sempre più attivamente per sfidare la posizione americana nel Pacifico.
Sebbene la possibilità di quello che, dalla prospettiva statunitense, sembra configurarsi come un “nuovo asse del male” non sia ancora concreta, il rafforzamento dei legami militari e politici tra i tre remigi autoritari comporta sicuramente implicazioni significative per la sicurezza della regione – un’area del globo caratterizzata da continue esercitazioni militari dei due fronti, da contese territoriali e dallo scontro tra le due principali potenze del mondo per l’influenza della regione.
Il ruolo degli Stati Uniti
In questo intricato scenario, la posizione di Washington emerge con chiarezza. All’interno di un contesto in cui il grado di tensione nella regione asiatica è in continuo aumento, l’attuale strategia statunitense indirizzata alla deterrenza della Corea del Nord e del suo programma nucleare, ha l’indesiderato effetto di generare un senso d’insicurezza per Pyongyang. Ogni mossa degli Stati Uniti in questo senso è percepita da Kim Jong Un come una provocazione, con il potenziale di innescare un’escalation di tensioni da parte della stessa Corea del Nord. In altre parole, la politica di “massima pressione” portata avanti da Washington nei confronti di Pyongyang mon sembra produrre l’effetto auspicato di abbassare il livello di tensione e ciò solleva interrogativi sulla sua reale efficacia. Alla luce dei recenti avvenimenti e del potenziale ruolo che questa politica potrebbe giocare nell’armonizzazione degli interessi tra Cina, Corea del Nord e Russia, è possibile formulare alcune considerazioni.
In primo luogo, l’approfondimento della cooperazione militare tra Washington, Seoul e Tokyo rappresenta un pilastro cruciale della posizione americana nell’Asia-Pacifico, caratterizzata da un sempre più attivo sostegno ai partner regionali. Tale inclinazione, riscontrabile anche in altre questioni regionali quali quella taiwanese, ha la conseguenza di contribuire ad aumentare il livello di tensione nell’area, in una dinamica tipica dei dilemmi della sicurezza. Un esempio eclatante è costituito dalle due visite di sottomarini nucleari in Corea del Sud, formalizzate durante il vertice tra il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol e il presidente americano Joe Biden tenutosi a Washington nell’aprile di quest’anno. Tale mossa ha sollecitato una netta condanna da parte della Corea del Nord, accompagnata dalla minaccia di adottare la sua dottrina sull’uso nucleare, la quale contempla la possibilità di attacchi nucleari preventivi a fini di autodifesa.
In secondo luogo, la strategia statunitense di far crollare il regime a suon di sanzioni non fa che spingere la Corea del Nord verso la sfera d’influenza di Russia e Cina. Le sanzioni, oltre a non aver innescato il collasso del regime, né a indicare una prospettiva più chiara in tal senso, hanno avuto l’effetto di aumentare l’ostilità di Pyongyang nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi partner. Ciò, di conseguenza, ha stimolato la ricerca dell’appoggio dei suoi due partner privilegiati, Mosca e Pechino, gli unici capaci di contrastare l’agenda statunitense e allo stesso tempo di fornirgli il supporto e la deterrenza di cui ha bisogno.
Inoltre, Pyongyang non ha mai realmente riconosciuto la possibilità di rinunciare alle sue armi nucleari, tanto che a settembre dello scorso anno Kim affermava che il suo paese non avrebbe mai rinunciato alle armi nucleari e che non ci sarebbe stato assolutamente nessun processo di denuclearizzazione e nessuna negoziazione in tal senso. In particolare, conscia dell’esempio dell’Ucraina, dove il processo di denuclearizzazione ha reso il paese vulnerabile agli attacchi di nazioni ostili, è chiaro che la Repubblica Popolare Democratica di Corea non abbandonerà mai il suo programma nucleare. In questa prospettiva, persistere con minacce, sanzioni e atteggiamenti ostili non sembra produrre l’effetto desiderato.
Nel contesto attuale, contraddistinto da un sempre più chiara convergenza di interessi tra Pechino, Mosca e Pyongyang, l’incontro di luglio assume un ruolo centrale per la sicurezza e l’equilibrio della regione. Qualora dovesse concretizzarsi un’eventuale alleanza sino-russo-coreana, godendo dell’appoggio di Russia e Cina, Kim potrebbe sentirsi abbastanza audace da intraprendere azioni di maggiore intensità. Tuttavia, ad oggi, lo scenario più plausibile rimane quello di un allineamento tra le tre potenze in chiave difensiva, piuttosto che offensiva.