Negli ultimi tempi un nuovo acronimo si è fatto prepotentemente largo nell’universo concettuale del dibattito che ruota intorno all’interpretazione del mondo in cui viviamo. Questo acronimo è VUCA, termine coniato in ambito militare intorno agli anni ’90, che sta ad indicare un mondo governato da quattro variabili: volatilità, incertezza, complessità e ambiguità (volatility, uncertainty, complexity and ambiguity). La situazione nel Levante Arabo è il perfetto caso di scuola per chi volesse confrontarsi con tale contesto.
Oggi di VUCA ne parlano gli analisti finanziari e geopolitici, uffici studi delle grandi corporation e ovviamente i risk manager. Per carità, nulla di nuovo rispetto al concetto di modernità liquida regalatoci da Z. Bauman o da quella “deriva anomica” cifra dell’Area Mondo, che L. Caracciolo chiama “caoslandia”. Eppure, al caos non vi è mai fine e, parafrasando un vecchio film di J. Nicholson, verrebbe da dire che “qualcosa è cambiato” in Medioriente.
Erdogan vs Mondo: e a Mosca si fanno affari
Un esempio sono gli equilibri, sempre più precari, in seno alla NATO che Putin, attraverso una serie di azioni diplomatiche, militari e propagandistiche sta contribuendo sensibilmente ad alterare. L’ultimo caso, quello forse più dirompente, è la promozione sul mercato del missile S-400 Triumf (nome NATO SA-21 Growler), sistema antiaereo terra-aria che secondo la grancassa di Sputniknews, portale di propaganda russa attivo in tutto il mondo, sarebbe in grado rilevare e abbattere anche i caccia di 5° generazione, F-22 Raptor, oltre a velivoli stealth (F-117 e B-2). Il missile sarebbe inoltre in grado di tracciare simultaneamente fino a 72 missili balistici e strategici.
Al di là della propaganda di Sputnik, il missile interessa realmente visto che le commesse arrivano copiose, tra cui quella della Turchia di Erdogan. Nulla di male, se non fosse che la Turchia è un paese Nato. Proprio in queste ore Reuters ha rilanciato un tweet del Sottosegretario alla Difesa turca Ismail Demir, che ha confermato addirittura un anticipo al luglio del 2019 della consegna delle prime due batterie, inizialmente prevista per il 2020. Un accordo da 2,5 Mld di U$D.
Vero è che i rapporti fra gli USA e la Turchia non sono mai stati così freddi, Ankara ha tirato in ballo gli americani per un presunto coinvolgimento nel golpe del luglio 2016 e d’altra parte gli USA si guardano bene dal consegnare ai turchi Fethullah Gülen, considerato da Erdoğan la mente del putsch. Ciò nonostante l’accordo firmato rappresenta una rottura forse esagerata nei confronti del sistema di alleanza in cui la Turchia è inserita. Aprire agli S-400, batterie con sistemi di ricerca e puntamento da integrare nei sistemi di difesa aerea della NATO, significa aprire una falla e permettere agli analisti russi di accedere ai sistemi dell’alleanza.
L’utilizzo del sistema S-400 come grimaldello per scardinare vecchi equilibri non si è limitato alla Turchia. La Russia starebbe trattando la vendita del sistema anche al Qatar, paese che ospita la principale base USA nel Golfo, in rottura con il vicino saudita e gli altri stati regionali (EAU, Kuwait Bahrain e Oman). La crisi tra Qatar e Arabia Saudita si è innescata lo scorso anno e, al di là di questioni religiose (i discendenti sauditi di Al-Wahhab, negano un legame di parentela fra il capostipite del wahhabismo e la famiglia reale qatariota, gli Al-Thani, e in ragione di ciò hanno veemente chiesto di cambiare nome alla più importante mosche del Qatar, oltretutto retta da un imam legato ai Fratelli Musulmani), è esplosa a seguito del tentativo del Qatar di giocare una propria partita autonoma nella giostra degli equilibri dell’area.
Riyadh vs Doha: e a Mosca si fanno affari
Riyadh accusa Doha di sostenere gruppi terroristi in Siria e Iraq, nonché la guerriglia Houthi in Yemen e, soprattutto di finanziare i Fratelli Musulmani, organizzazione salafita concorrente al modello wahhabita di cui Riyadh è sponsor in tutto il Medioriente. Non a caso nella frattura che si è consumata fra le due capitali arabe, uno dei principali oggetti del contendere è l’emittente satellitare Al-Jazeera, di cui i sauditi chiedono la chiusura poiché individuata come il vero motore delle primavere arabe che dal 2011 hanno alterato gli equilibri dell’area.
Risultato di ciò è che il Qatar, sempre più isolato all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo, ha finito per avvicinarsi all’Iran, riaprendo ufficialmente le relazioni diplomatiche e a Mosca, nei cui missili cerca la garanzia da un’azione aerea portata dai caccia di Riyadh e dell’alleato di Abu Dhabi. Notizia di queste ore è anche l’interessamento di Doha per il caccia russo di 4° generazione Sukhoi Su-35 (Flanker-E per la NATO). I colloqui tra russi e qatarioti per il caccia, sarebbero in corso dallo scorso marzo. A confermarlo è stata l’agenzia di stampa russa TASS.
I sauditi, appresa la notizia, hanno fatto prontamente trapelare minacce di attacco preventivo e, parallelamente hanno rincarato le accuse anche contro la Turchia, alleata di Doha nella regione, che da alcuni mesi è impegnata nel rifornire con un ponte aereo il piccolo stato del golfo, isolato dai potenti vicini. La Turchia sta anche alimentando e costruendo una base militare in territorio qatariota. All’inizio si trattava di qualche migliaio di istruttori, ora la cosa si fa più seria.
Ingerenza e hackeraggi nel cyberspazio
Al di là dei teatri di scontro tradizionali (tra le varie milizie sul campo e a colpi di dichiarazioni tra le cancellerie arabe), la partita come è di moda oggi è in atto anche nel cyberspazio. Infatti, ad incendiare la crisi sono intervenuti almeno due episodi di hackeraggio, uno accertato ed uno presunto. Testata ben informata su tutta la vicenda è il Washington Post che, da mesi, sta documentando in maniera puntuale i fatti. Il primo caso ha visto una serie di comunicazioni riservate scambiate ai vertici dell’amministrazione qatariota essere rilevate e forse artatamente alterate, il secondo ha riguardato una presunta presa di posizione dell’Emiro, lo sceicco Al-Thani in favore dell’Iran. I qatarioti hanno da subito parlato di fake news frutto di un’intrusione informatica.
Relativamente al primo evento, il giornale USA ha ricostruito una serie di scambi tra i vertici dell’emirato in cui si evince che il piccolo stato avrebbe versato centinaia di milioni di dollari a una serie di gruppi terroristici iracheni e non (tra cui l’Hizb’Allah libanese e addirittura la Forza Al-Qods, comandata da Qassem Soleimani, il più alto dirigente iraniano presente in Siria), per favorire il rilascio, poi effettivamente avvenuto, di alcune decine di alti dignitari e membri della famiglia reale qatariota, rapiti nel sud dell’Iraq nel 2015 da una milizia sciita. Il Qatar ha effettivamente ammesso di aver negoziato la liberazione dei propri ostaggi, ma ha affermato che i messaggi intercettati e pubblicati sarebbero stati alterati per far trasparire una realtà diversa, soprattutto per quanto concerne i rapporti con l’Iran e con il generale Soleimani.
L’altro caso si è verificato lo scorso 24 maggio quando la Qatar News Agency, ha pubblicato alcune dichiarazioni attribuite all’Emiro Al Thani che aprivano al ruolo dell’Iran nella regione. La frase incriminata, smentita dall’Emiro e hackerata secondo quanto affermato dall’agenzia di stampa statale, che se la sarebbe vista pubblicata sul proprio portale, affermava che “non può esservi saggezza nel nutrire ostilità nei confronti dell’Iran che rappresenta una potenza regionale e islamica”. Altra frase incriminata era quella intesa a riconoscere in Hamas il vero rappresentante del popolo palestinese. Hamas è emanazione diretta della fratellanza musulmana e a Riyadh tali parole non devono esser suonate piacevoli. Il Washington Post ha successivamente rivelato che dietro la notizia ci sarebbe stata l’intrusione informatica di hacker al soldo degli Emirati Arabi Uniti. Il giornale USA avrebbe avuto la notizia da fonti d’intelligence americane.
Concludendo: la giostra continua a girare
La realtà è che oramai nell’era Trump (ma anche dopo le politiche altalenanti di Obama), gli USA persi come sono in una spirale illogica di impegno-disimpegno, hanno perso il controllo dell’area. Non riescono più a gestire le conflittualità interne tra i diversi attori, ponendosi come in passato come arbitro. Di tale situazione stanno approfittando in maniera sapiente e per motivi diversi, non sempre coincidenti, ma al momento tatticamente collegati, Russia, Iran e Turchia. I primi per aprirsi uno sbocco stabile ai mari caldi, i secondi per assumere definitivamente il controllo di tutta la mezzaluna del crescente arabo, dal sud dell’Iraq fino al Libano, gli ultimi alla ricerca di un sogno neo sultanale. Inutile dire che l’intemerata decisione di Trump di portare l’ambasciata USA a Gerusalemme non ha certo aiutato. Andando a chiudere, prendendo nuovamente a prestito una frase dal film Qualcosa è cambiato, parafrasando il momento potremmo dire che mentre la gente vive e muore in Medioriente, “le ruote della giostra continuano a girare”.