Negli Stati Uniti vince un presidente che pur appartenendo al partito Repubblicano sembra voler ricucire lo strappo con Mosca.
La lunga telefonata intercorsa nella serata del 14 novembre con il presidente Putin ha avuto come punto focale il riavvicinamento diplomatico tra le due potenze, dopo la spaccatura avvenuta durante il post euro-Maidan; ben prima che fossero palesate evidenti divergenze sulle azioni da intraprendere in Siria.
Lo stesso giorno vengono sferrati altri due colpi all’establishment euro-statunitense, pro-Ue ed anti-russo. I risultati delle urne bulgare e moldave infatti, non lasciano adito a dubbi, il sentimento antieuropeista è molto forte. In Bulgaria vince Rumen Radev, uomo che viene dalle fila dell’esercito dove ha servito come generale, da semprevicino a Mosca e avverso alle politiche dell’Unione Europea. Al contrario degli Usa,qui la vittoria non ha lasciato strascichi di malcontento tra i cittadini, dato che l’ex capo dell’aeronautica militare Radev ha ottenuto poco più del 59% dei consensi.
Anche in Moldavia il neopresidente Igor Dodon ha fatto del sentimento antieuropeista il suo cavallo di battaglia durantela campagna elettorale. Ha dichiarato spesso di essere deluso dell’accordo firmato tra il suo governo e l’Unione Europea nel 2014 e che, in risposta a questo, la Russia è stata costretta ad imporre dei limiti alle importazioni di prodotti agricoli moldavi,nuocendo notevolmente ad un ramo storicamente rilevante dell’economia moldava. Difatti diversi portavoce del Partito Socialista di Dodon, immediatamente dopol’elezione del proprio candidato, avrebbero ribadito di voler eliminare l’accordo con l’Unione Europea ritenuto poco vantaggioso per l’economia moldava, per poter entrare nella più conveniente Unione Doganale Eurasiatica, di cui già fanno parte Kazakistan, Russia e Bielorussia. Tale decisione secondo le dichiarazioni di Igor Dodon verrà sottoposta tramite referendum ai cittadini,in modo da poter decidere democraticamente«l’orientamento geopolitico» della Moldavia. Dodon considera Vladimir Putin un modello e ha detto di voler «riportare l’ordine nel suo paese e difendere i valori tradizionali»
Il forte senso di sfiducia nutrito dagli elettori nei confronti dell’Unione Europea, che i due candidati hanno cavalcato, tanto in Moldavia come in Bulgaria,va ricercato nelle sanzioni che hanno colpito Mosca a partire dal 6 agosto 2014. Proprio il governo di Sofia ha sofferto maggiormente ed indirettamente per le sanzioni: la Bulgaria infatti, pur non essendo un paese dall’export rilevante nei confronti di Mosca, è uno dei paesi della regione dove vi è una maggior presenza economica russa. Si estende principalmente dalle banche all’energia, arrivando a toccare il 5% del Pil. Il paese è inoltre uno snodo chiave di South Stream, l’arteria russa progettata allo scopo di rifornire di gas gran parte dei paesi europei, una gasdotto che si estende dal Mar Nero fino alle porte di Vienna.
Per quanto concerne la Moldavia, la scelta di avvicinarsi in politica estera alle posizioni sostenute dal Cremlino,andrebbe interpretata sia alla luce del sentimento antieuropeista del neo Presidente Dodonsia di fattori storico-culturale e di fascino verso la figura carismatica del Presidente Federale Russo, dato che le origini dello stato moldavo vanno ricercate nella Bessarabia, territorio appartenente all’impero zarista già nel 1812.
Il riconsiderare la politica estera statunitense nei confronti della Russia da parte di Trump e l’avvicinamentodi Bulgaria e Moldavia nell’orbita russa non deve considerarsi, come più volte sottolineano erroneamente da molti osservatori, come il ritorno di un clima da “guerra fredda europea” favorevole a Mosca; ma nel fatto che l’Unione Europea, soprattutto dopo la pessima gestione comunitaria della crisi finanziaria del 2007, non riesce ad esercitare più lo stesso appeal nei confronti dell’area orientale del continente.