Il 24 febbraio 2022, la Russia ha avviato un’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina. L’immediata accoglienza dei profughi ucraini da parte dei Paesi confinanti con l’Ucraina, ovvero Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania, e Moldavia, ha definito il tono della risposta dell’Unione Europea (UE), che ha aperto le proprie frontiere e attivato per la prima volta la Direttiva per la protezione temporanea: secondo quanto riportato dal Consiglio Europeo sulla base dei dati raccolti dall’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), aggiornati al 6 dicembre 2022, sono circa 4,8 milioni le persone fuggite dalla guerra a beneficiarne.
La disponibilità dei Paesi dell’Europa Centrale, soprattutto Polonia e Ungheria, ad accogliere rifugiati ucraini si pone in netto contrasto con le politiche restrittive in materia di asilo perseguite da questi Stati negli ultimi anni. Nonostante la vicinanza geografica della guerra e gli stretti legami culturali ed etnici aiutino a spiegare il diverso trattamento dei profughi ucraini, l’attuale risposta emergenziale alla guerra in Ucraina spinge a chiedersi se l’UE si trovi ad affrontare un cambiamento strutturale delle proprie politiche migratorie.
Short term: l’UE solidale (solo) con i profughi ucraini
Il 3 marzo 2022, durante il Consiglio europeo Affari Interni, gli Stati membri dell’Unione hanno deciso all’unanimità di adottare la direttiva per la protezione temporanea (direttiva 55/2001) in relazione alla guerra in Ucraina: si tratta della prima volta in cui i Paesi comunitari si sono accordati per utilizzare questo strumento legislativo. Introdotta nel 2001 sulla scia dei conflitti nell’ex-Jugoslavia e in Kosovo, la direttiva è progettata per regolare l’afflusso massiccio di sfollati, fornire loro protezione e gestire la loro distribuzione tra gli Stati membri. Per anni e anni, in occasione delle crisi dei rifugiati legate alla Tunisia, alla Siria e all’Afghanistan, l’adozione della direttiva era stata invocata dalla società civile senza alcun successo: in quelle circostanze, l’attivazione della direttiva era stata considerata politicamente svantaggiosa, in quanto avrebbe creato un pull effect – un effetto di attrazione – per i rifugiati in fuga.
La durata della protezione temporanea è inizialmente di un anno, ovvero fino al 4 marzo 2023. Qualora il motivo dello sfollamento dovesse persistere, la protezione può poi essere prorogata di sei mesi in sei mesi per il periodo massimo di un anno. Dopo il 4 marzo 2024, il Consiglio Europeo può estenderla per un ulteriore anno, in seguito al quale i profughi ucraini dovrebbero fare richiesta di asilo secondo le regolari procedure.
La protezione temporanea è garantita a tutti i cittadini ucraini residenti in Ucraina, ai cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina che sono stati sfollati dall’Ucraina o che in Ucraina beneficiavano dello status di rifugiato, agli apolidi e ai cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina con residenza permanente in Ucraina e che non possono rientrare nel loro Paese di origine. A tutte le persone che rientrano in queste quattro categorie è inoltre garantita la riunificazione famigliare di coniugi, figli minori e parenti stretti conviventi che rientrano nel nucleo famigliare. La protezione non riguarda invece i cittadini di Paesi terzi con permessi di soggiorno brevi.
Le persone che rientrano nel campo di applicazione della direttiva godono di diritti armonizzati in tutta l’Unione: “permesso di soggiorno, accesso al mercato del lavoro e agli alloggi, assistenza medica e accesso all’istruzione per i minori” (Consiglio Europeo). I profughi ucraini sono inoltre risparmiati dall’obbligo di sottoporsi alle procedure per la determinazione dello status di rifugiato, e devono semplicemente registrarsi presso le autorità nazionali competenti per ottenere la protezione temporanea. In questo modo, la Direttiva non solo consente ai suoi beneficiari di evitare l’incertezza e il limitato accesso ai diritti che derivano da una normale procedura di asilo, ma riesce anche ad allentare la pressione sui sistemi di asilo degli Stati membri. Inoltre, una volta beneficiari, gli sfollati ucraini possono circolare liberalmente (senza visto) all’interno dell’Unione per un periodo di 90 giorni, e scegliere lo stato membro in cui intendono godere dei diritti connessi alla protezione temporanea. Questa libertà garantita ai profughi ucraini dalla protezione temporanea consiste in un cambiamento enorme rispetto alle tradizionali politiche migratorie comunitarie, che, facendo riferimento al regolamento di Dublino, obbligano tutti i richiedenti asilo a fare domanda di protezione internazionale nello Stato comunitario di ingresso.
Nonostante l’attivazione della direttiva per la protezione temporanea sia stato un avvenimento storico per l’UE, l’attuale disponibilità dell’Unione ad accogliere le persone in fuga dall’Ucraina è meno un’eccezione di quanto potrebbe sembrare. In primo luogo, e come già accennato, la protezione temporanea non si applica a tutte le persone in fuga dalla guerra in Ucraina come proposto inizialmente dalla Commissione Europea. Infatti, a causa dell’opposizione di alcuni Stati durante le discussioni in sede di Consiglio Europeo, i cittadini di Paesi terzi residenti in Ucraina possono godere di protezione temporanea solo se godevano di protezione internazionale in Ucraina o se possono provare di non poter tornare nel loro Paese di origine in maniera sicura. In altre parole, le stesse modalità di applicazione della protezione temporanea esemplificano il doppio standard con cui l’UE tratta i richiedenti asilo, ovvero a seconda del contesto politico dal quale arrivano. Per anni, infatti, la politica comunitaria in materia di migrazione e asilo ha avuto come principale obiettivo lo scoraggiamento degli arrivi e il respingimento dei richiedenti asilo alle frontiere esterne dell’Unione, basti pensare a quando l’UE ha chiuso le frontiere con la Bielorussia durante l’inverno del 2021, negando asilo ai profughi mediorientali vittime dell’“attacco ibrido” di Lukashenko. Il respingimento all’ingresso, tuttavia, non si è fermato con l’arrivo dei profughi ucraini: in Polonia, questi ultimi vengono accolti, mentre tutti coloro che tentano di entrare dalla Bielorussia vengono sistematicamente respinti. Nel corso dell’estate 2022, la profonda politicizzazione della protezione internazionale è continuata ad essere esemplificata anche dalla Grecia e dalla Spagna: la prima ha continuato negare accoglienza i richiedenti asilo in arrivo dalla Turchia, la seconda a respingere con la forza quelli che provavano ad entrare a Melilla (enclave spagnola in Nordafrica al confine con il Marocco).
Long term: ancora nessun cambio di paradigma
L’ingente esodo di profughi ucraini ha colpito disproporzionatamene i Paesi geograficamente più vicini all’Ucraina: Polonia (1,563,386), Repubblica Ceca (481,047), Bulgaria (150,404) Slovacchia (107,277), Romania (107,299), e Moldavia (102,283) (dati UNHCR aggiornati al gennaio 2023). Discussioni su una sostenibile responsibility sharing nel lungo periodo non hanno tardato, e Paesi come Grecia, Italia, Lussemburgo, Francia e Germania hanno richiesto un migliore coordinamento a livello comunitario circa il ricollocamento dei rifugiati dai Paesi di prima accoglienza verso gli altri Paesi membri. Un primo passo in questa direzione è stato fatto il 10 giugno 2022, quando il Consiglio europeo Affari Interni, sotto la Presidenza francese, ha forgiato un accordo di maggioranza tra gli Stati membri che stabilisce un nuovo Meccanismo Volontario di Solidarietà, che prevede contributi di solidarietà sotto forma di ricollocamento dei richiedenti asilo e altri tipi di contributi finanziari.
L’accordo su questo meccanismo è stato definito di importanza storica, tuttavia, un’analisi più accurata rivela come questo progresso non dovrebbe essere sopravvalutato. In primo luogo, il valore operativo del meccanismo rimane limitato: oltre a non essere legislativo e a funzionare esclusivamente sulla base di contributi volontari, la sua durata è stata inizialmente stabilita ad un anno. Tutti questi elementi ne ostacolano quindi la prevedibilità, l’applicabilità e, più in generale, la capacità di fornire soluzioni strutturali. Inoltre, eccetto la Repubblica Ceca, tutti i Paesi tradizionalmente contrari ai meccanismi di solidarietà (gli altri Paesi del gruppo di Visegrad e l’Austria), hanno negato il loro supporto e continuato a sostenere che le persone in fuga dalla guerra in Ucraina si auto-disperderanno tra i Paesi dell’Unione. Questa loro opposizione dimostra la determinazione di questo gruppo di Paesi, nonostante i benefici che potrebbero trarre dal ricollocamento dei rifugiati ucraini, ad evitare a tutti i costi la possibilità di creare un precedente politico in grado di minare la loro opposizione ai programmi di ricollocazione. Sotto quest’ottica appare evidente che il loro consenso alla possibilità data ai potenziali beneficiari della protezione temporanea di scegliere liberamente il Paese in cui farne domanda, non costituisce un potenziale punto di partenza verso un cambio di paradigma nelle politiche d’asilo comunitarie, ma piuttosto un modo, almeno temporaneo, di evitare discussioni in materia.