Nei cieli di Kyiv, nella notte del 16 maggio, si è svolta la più grande battaglia tra missili mai combattuta finora. I russi hanno lanciato sulla capitale ucraina i missili balistici Kinzhal e sciami di droni, mentre gli ucraini si sono affidati al sistema MIM-104 Patriot, missili utilizzati per la difesa tattica antiaerea di fabbricazione statunitense. Dai rispettivi rapporti sembra che diciotto missili russi siano stati abbattuti dalla contraerea di Kyiv, mentre da Mosca è stato dichiarato che un sistema Patriot è stato colpito e distrutto (dagli USA fanno sapere che il sistema è stato solo danneggiato ma che è rimasto operativo).
La notte di fuoco a Kyiv lascia aperto più di un interrogativo non solo sotto il profilo strettamente militare ma anche politico. Questo perché, ai tempi del dibattito negli USA sulla possibilità di fornire o meno i MIM-104 Patriot all’Ucraina, si era parlato di questi missili come di armi risolutive e che avrebbero consentito alle forze di Kyiv di ottenere un vantaggio strategico importante sul nemico.
Di fatto, come la battaglia missilistica di Kyiv ha dimostrato, nessun sistema d’arma – financo uno particolarmente avanzato come il Patriot – convenzionale può avere una funzione superiore a quella tattica. L’Ucraina deve affrontare potenzialmente l’intero parco dell’arsenale di missili e droni a disposizione della Russia, tra cui, oltre ai già citati Kinzhal, i missili Kalibr ed i droni kamikaze iraniani Shahed-136/131. I Patriot possono intercettare diverse classi di droni, ma i velivoli senza pilota possono utilizzare schemi di volo che abbracciano l’intero terreno di scontro per non essere rilevati dai radar dei Patriot. Senza contare che resta militarmente discutibile ed economicamente insostenibile utilizzare intercettori da 3 milioni di dollari per eliminare droni che costano decisamente meno.
Il problema di fondo sta tutto nella riluttanza statunitense a fornire gli Stinger a Kyiv e nell’ormai prossimo esaurimento delle scorte d’epoca sovietica nei magazzini ucraini. Che è poi la trasposizione al di là dell’Atlantico, della ritrosia europea a fornire in tempi rapidi quanto gli ucraini chiedono per continuare a combattere. Poiché la superiorità aerea dei russi è stata finora contrastata a costo di un dispendio importante di risorse, il rischio concreto è che i Patriot divengano l’unica arma adatta a fronteggiare missili e droni lanciati dai russi sulle città ucraine (il che è parte integrante della strategia del Cremlino) e che da sistema “eccezionale” diventino, per necessità logistiche e politiche, la contraerea “ordinaria” delle forze armate ucraine, con i costi che tale scelta comporta. Questo perché i Patriot sono pochi anche nelle Forze Armate USA, visto che Washington per il 2023 ha acquistato solo 252 missili intercettori PAC-3 MSE, la gran parte dei quali atta a sostituire missili per la difesa antiaerea più antiquati.
I Patriot da soli – al netto della tanta propaganda che attorno a queste armi si sta facendo – non possono garantire la sicurezza aerea totale dell’Ucraina, anche perché essi possono essere utilizzati al massimo della loro capacità ed efficacia solo se integrati in un sistema di difesa aerea; come del resto è concepito l’utilizzo dei Patriot dalla dottrina militare statunitense. Qualora il sistema Patriot si trovasse ad operare come unica “arma di difesa” in un contesto come quello ucraino, vista la capacità di dispiegamento di missili e droni da parte russa, vi sarebbe il rischio di avere una copertura antiaerea porosa e con capacità ridotte pari alla diminuzione (rapidissima in battaglia, come a Kyiv la notte del 16 maggio è stato dimostrato) degli intercettori disponibili, senza contare che il funzionamento del sistema radar del Patriot ne rivela la posizione al nemico, trasformando il sistema d’arma in un facile bersaglio e questo spiega anche perché un missile russo, con danni ancora da accertare, sia comunque riuscito a danneggiarne uno in battaglia.
L’unicità di una battaglia combattuta interamente da missili e droni ha fatto perdere di vista un dato incontrovertibile e cioè che le guerre non si vincono nei cieli ma a terra e che le operazioni aeree sono uno strumento d’appoggio alla massa di manovra che può essere solo ed esclusivamente terrestre. La guerra tra Ucraina e Russia, assieme alle tante innovazioni tecnologiche apportate, sta confermando anche molti vecchi ed immutabili principi dell’arte militare.
Se i soli attacchi aereo-missilistici condotti in profondità dalla Russia, considerati parte integrante del piano di guerra dal generale Aleksandr Dvornikov, già comandante delle forze russe in Ucraina fino allo scorso giugno, fossero risolutivi, così come se i soli sistemi antiaerei forniti dall’Occidente all’Ucraina avessero una funzione strategica e non meramente tattica, allora né la carneficina urbana di Bakhmut, né le trincee lungo tutta la linea del fronte avrebbero motivo di esistere.