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La Turchia come media potenza: il caso siriano e le relazioni con Mosca

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Con la fine della Guerra fredda nel 1989 è venuto meno l’ordine bipolare che aveva retto le sorti del mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale, e sono emersi una serie di attori, prima schiacciati all’interno dei due schieramenti: le medie potenze. L’articolo analizza la Turchia alla luce della teoria delle medie potenze (Valigi 2017), soffermandosi sul caso siriano e le relazioni tra Russia e Turchia. L’obiettivo è spiegare le dinamiche sistemiche sottostanti l’intervento turco in Siria e i motivi delle relazioni instaurate tra Ankara e Mosca.

La teoria delle media potenze

La teoria delle medie potenze, proposta, tra gli altri, anche da Valigi (2017) consente di rappresentare il sistema internazionale, individuare e definire i tipi di media potenza e i loro comportamenti. Nel modello le potenze vengono classificate sulla base di tre fattori di potere strutturali – superficie, popolazione, PIL – e derivato, le spese militari. Per rappresentare il sistema internazionale il modello parte dalla constatazione che la guerra costituisce il vettore della stabilizzazione nelle strutture internazionali, quindi il ricorso alla guerra dipenderà dai rapporti di forza economico-militari e dalla distanza ideologica tra le parti, a cui corrisponderanno diversi gradi di incentivo al conflitto. Dall’incrocio tra queste variabili discende la struttura internazionale di ogni epoca storica, a cui è associato un certo grado di stabilità del sistema. Una volta definito il contesto internazionale il modello distingue le medie potenze sulla base delle risorse economico-militari e della capacità diplomatica. La prima è funzione delle spese per la difesa, mentre la seconda dipende dal grado di pragmatismo e polarizzazione ideologica rispetto alla controparte. L’incrocio di queste due variabili definisce cinque diversi tipi di medie potenze, ognuno caratterizzato da comportamenti specifici: alleato, stabilizzatore, aggressore, conciliatore e satellite. 

La Turchia come media potenza

In una classificazione delle potenze basata sulla superficie, la popolazione, il PIL e le spese militari la Turchia ricade a pieno titolo tra le medie potenze e presenta il profilo dell’aggressore. L’obiettivo dell’aggressore è il mantenimento del proprio status, sottraendosi al dominio della potenza conservatrice senza restare schiacciato dalla potenza revisionista. Ha un rapporto di contrapposizione ideologica con la potenza conservatrice, è dotato di elevate risorse economico-militari e limitati vincoli all’azione. A fronte di una minaccia revisionista tenderà in primo luogo ad avere una strategia di bandwagoning, unendosi con la potenza revisionista per proteggersi contro quella conservatrice a cui si contrappone ideologicamente, ma si troverà comunque presa tra due fuochi e minacciata da entrambe. 

A livello sistemico, la Russia si caratterizza come potenza revisionista, con l’ambizione di ritornare ad avere un ruolo globale di primo piano. Gli Stati Uniti, invece, sono la potenza conservatrice, rispetto alla quale la Turchia si pone ormai in un rapporto di contrapposizione ideologica, poiché la perdita del ruolo di bastione di difesa contro il comunismo ne ha fatto diminuire lo status. L’alleanza della Turchia con gli Stati Uniti, consolidata durante la Guerra Fredda, ha spesso vissuto momenti di tensione quando gli interessi di USA e NATO sono entrati in conflitto con quelli Turchi. Ne è un chiaro esempio l’irrisolta questione di Cipro, sulla quale già nel 1964 il presidente americano Johnson era intervenuto per fermare l’occupazione turca, che si era comunque concretizzata nel 1974. Con la rivoluzione islamica in Iran le relazioni sono migliorate, per poi affievolirsi con il crollo del Muro di Berlino e l’appoggio americano agli insediamenti autonomi curdi in Iraq dopo la Prima guerra del golfo. Da quel momento, e in particolare con l’ascesa al potere di Erdoğan, sono aumentati i momenti di tensione dei quali l’appoggio della Turchia agli interessi della Russia nel Baltico o l’acquisto del sistema d’arma S-400 nel 2017 sono solo alcuni esempi. La mancata ammissione di Ankara nell’Unione Europea ha contribuito a peggiorare i rapporti con l’occidente, con ripercussioni anche in sede NATO. 

Il caso siriano e le relazioni con Mosca

Dagli anni 2000 Ankara ha utilizzato sempre più la politica estera per affermare la propria autonomia e cercare di aumentare il proprio peso in medio oriente e nel mediterraneo, proiettandosi anche nel Nagorno Karabakh, Somalia e Afghanistan. A fronte dell’insoddisfazione della Turchia verso gli Stati Uniti si è avvicinata alla Russia, con il rischio di ritrovarsi in conflitto con entrambe le potenze, una possibilità che si è materializzata nel 2015 con l’intervento russo in Siria, storica alleata della Russia, a cui ha concesso l’utilizzo della base navale di Tartus. La guerra civile scoppiata nel 2011 ha visto la Turchia sostenere i ribelli siriani, finché nel 2015 la minaccia di perdere una posizione strategica nel Mediterraneo ha indotto la Russia a intervenire ribaltando le sorti del conflitto. La Turchia ha quindi dovuto rivedere la propria strategia dialogando con la Russia e l’Iran nella ricerca di una soluzione diplomatica e avvicinandosi progressivamente alla Russia. Il caso siriano dimostra però che tale avvicinamento non è stato privo di contrasti, infatti le relazioni tra Ankara e Mosca sono connotate da una continua esasperazione della tensione contemperata dalla capacità di “compartimentalizzare” i problemi per ricercare soluzioni di mutuo vantaggio derivanti dalla cooperazione, senza però rinunciare alla competizione. Nel corso del tempo i due paesi hanno migliorato la loro capacità di gestione dei conflitti sulla base di tre fattori: i cattivi rapporti di entrambi con l’occidente, la personalizzazione dei processi decisionali al livello di Presidenti e il reciproco “intreccio” tra le economie dei due paesi, che rende molto costosa la rottura. 

Conclusioni

Nella politica estera turca il caso siriano risulta paradigmatico in quanto riguarda un conflitto interno che si è internazionalizzato e ha messo in evidenza la capacità della Turchia di accordarsi con la Russia contrariando gli Stati Uniti. L’atteggiamento della Turchia si è caratterizzato per un progressivo distacco dal mondo occidentale con crescenti contrasti con gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO. Una posizione che va interpretata come consapevolezza della perdita d’importanza del proprio ruolo all’interno del sistema internazionale a seguito della fine della Guerra fredda e il venir meno della minaccia sovietica. In quest’ottica l’avvicinamento della Turchia alla Russia è funzionale al recupero delle ragioni di scambio con gli Stati Uniti per mantenere lo status di media potenza.

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