Il 5% del terzo candidato alla presidenza sposta la campagna elettorale verso una retorica nazionalista.
All’indomani dalla tornata elettorale che si è tenuta domenica 14 maggio in Turchia, Sinan Oğan, il terzo classificato che ha inaspettatamente sconvolto ogni previsione di voto al primo turno, è diventato il politico più “corteggiato” del Paese, sebbene abbia ottenuto solo il 5,17% delle preferenze. Oğan guida la coalizione di partiti ultra-nazionalisti di estrema destra denominata “Alleanza Ata”, dove Ata sta sia per “ancestrale”, sia per l’abbreviativo con il quale spesso viene chiamato Mustafa Kemal Ataturk, fondatore e primo presidente della repubblica di Turchia. Poche ore dopo aver dichiarato di non voler negoziare con lui in un’intervista alla Cnn, venerdì scorso il presidente Recep Tayyip Erdoğan lo ha incontrato di persona presso il suo ufficio nel palazzo di Dolmabahce a Istanbul. Nelle stesse ore, Kemal Kılıçdaroğlu, principale candidato dell’opposizione alla guida della coalizione “Alleanza della nazione”, ha incontrato l’alleato di Oğan, Umit Ozdag, del Partito della vittoria (Zafer), che porta avanti da mesi battaglie xenofobe. Al momento l’Alleanza Ata non ha ancora fatto endorsement nei confronti di alcun candidato, ma in un’intervista alla Cnn International martedì scorso Oğan ha affermato che “una volta che la decisione verrà presa, chi sarà appoggiato da noi vincerà le elezioni”.
Il risultato di domenica, ufficializzato venerdì sera dal Consiglio Elettorale Supremo (Ysk) non ha sancito alcun vincitore al primo turno tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu. Sebbene Erdoğan si sia avvicinato molto alla vittoria, ottenendo il 49,52% dei consensi, ciò non è stato sufficiente a conquistare la presidenza, poiché in base al sistema presidenziale è necessario ottenere la maggioranza assoluta del 50% + 1. Kılıçdaroğlu, che era dato vincente da molti istituti di statistica al primo turno o perlomeno in vantaggio in caso di secondo turno, ha ottenuto il 44,88% dei voti. Il 5,17% di Oğan, dunque, si è rivelato cruciale per definire l’esito del primo turno, portando il Paese al ballottaggio, previsto domenica 28 maggio.
Fino a una settimana fa perlopiù sconosciuto, oggi Oğan è il politico turco più ricercato dalla stampa internazionale, che spesso lo definisce come il “kingmaker” delle elezioni turche. Dalla fine del voto ad oggi è stato intervistato da Der Spiegel, Cnn, Afp, Reuters e New York Times ed è al centro di vari dibattiti circa il peso che il suo elettorato potrebbe avere nel definire l’esito del ballottaggio. Il leader dell’alleanza ATA non è un neofita della politica, infatti prima di presentarsi come indipendente faceva parte del Partito nazionalista, Mhp, alleato di Erdoğan dal 2015. Il leader del partito, Devlet Bahceli, lo aveva fatto estromettere nel 2017 poiché Oğan guidava la corrente che si opponeva al referendum per la riforma presidenziale. Nato in una famiglia di origini azere a Igdir nell’est anatolico, praticamente al confine con l’Armenia, Oğan è un accademico nell’ambito delle relazioni tra Turchia, Russia e paesi ex sovietici. Parla correntemente russo e inglese e intrattiene rapporti molto stretti con l’Azerbaijan di Ilham Aliyev, che lo ha insignito di una medaglia per il suo lavoro come rappresentante dell’Agenzia turca per la cooperazione (Tika) della sede di Baku.
La sua campagna elettorale è ruotata soprattutto attorno al tema del rimpatrio dei rifugiati siriani, un argomento, questo, che sta molto a cuore agli elettori turchi. Attualmente in Turchia vivono almeno quattro milioni di rifugiati siriani e negli ultimi due anni, secondo il Washington Institute, sono aumentati gli episodi di violenza verso questa minoranza, incentivati anche dalla diffusione di un linguaggio d’odio diffusosi attraverso i social media.
In effetti il tema dei rifugiati aveva dominato anche l’agenda dei due principali candidati. Da un lato, il governo ha più volte affermato di aver già cominciato il rimpatrio volontario di migliaia di siriani a partire dallo scorso novembre. Dall’altro lato, anche Kılıçdaroğlu ha utilizzato una retorica anti-migranti affermando in diversi comizi e interviste di voler rimandare indietro “i nostri fratelli siriani”. E proprio da qui è ripartita la campagna elettorale del principale leader dell’opposizione in vista del secondo turno. Tenendo un discorso rivolto ai suoi elettori presso la sede del Chp ad Ankara lo scorso giovedì, Kılıçdaroğlu ha ribadito che i rimpatri, in caso di vittoria, saranno la priorità, e i rifugiati siriani sono stati definiti “macchine del crimine”, non più “fratelli”, come nei precedenti comizi. La svolta retorica aggressiva e anti-migranti è un chiaro messaggio a Oğan e ai suoi elettori.
Ma un altro dei temi più controversi sul quale Oğan è stato molto netto è il legame di partiti vicini a gruppi terroristi con le coalizioni che si sfideranno al secondo turno, con riferimento ai partiti filo-curdi. In particolare, la coalizione che sostiene Erdoğan, Alleanza del popolo, è stata appoggiata dallo Huda Par, un partito di curdi conservatori ultrareligiosi che avrebbe legami con Hezbollah, mentre l’Alleanza della nazione ha avuto il sostegno dal Partito democratico dei popoli (Hdp), filo-curdo e di sinistra, che è accusato dal governo di avere legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato da Ankara e da altri governi occidentali un’organizzazione terroristica. Mentre lo Huda Par è un piccolo partito di cui Erdoğan potrebbe fare a meno, per Kılıçdaroğlu il sostegno dell’Hdp è fondamentale, dal momento che ha avuto un netto vantaggio sul presidente al primo turno soprattutto nelle province dell’est a maggioranza curda.
Sarebbe conveniente per l’Alleanza della nazione alienarsi il voto dei curdi per ottenere quello dei nazionalisti, che varrebbe un 5% scarso? Ma soprattutto, non è certo che le preferenze date a Oğan fossero un blocco monolitico da poter spostare con una semplice dichiarazione di voto. Innanzitutto, vi è una discrasia tra la percentuale ottenuta dal candidato nazionalista alle presidenziali e quella raggiunta in parlamento dall’Alleanza Ata, che si è fermata ad appena il 2,5%. In secondo luogo, molti analisti si chiedono quanto il voto per Oğan sia dettato da ragioni ideologiche oppure semplicemente si sia trattato di un voto di protesta rafforzato dal fatto che il quarto candidato, Muharrem Ince del Partito della patria, si sia ritirato pochi giorni prima delle elezioni. Infine, non è chiaro quanta influenza potrebbe avere una dichiarazione di voto da parte di Oğan su coloro che lo hanno eletto al primo turno. Nonostante queste incognite, sia Erdoğan che Kılıçdaroğlu sembrano decisi a dare la caccia ai voti di Oğan, rendendo il nazionalismo il vero vincitore morale di queste elezioni. Nei prossimi giorni l’Alleanza Ata si pronuncerà rispetto alla preferenza del candidato per il secondo turno, anche se sembra più che altro che Oğan utilizzerà il potere di influenza che sta avendo in questi giorni su entrambe le alleanze per ottenere vantaggi politici nel caso di vittoria dell’uno o dell’altro, come ha dichiarato lui stesso in un’intervista al New York Times lo scorso mercoledì: “Perché dovrei essere un ministro quando posso essere vicepresidente?”.