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Dialogare sì ma come? La Tunisia di Saïed alla prova del dialogo nazionale e della crisi alimentare

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Nell’ultimo anno la Tunisia è entrata in una fase nuova, che l’Italia deve seguire. Le ultime mosse di Saïed hanno liquidato quel che rimaneva del sistema politico post-Primavera, senza particolari rimostranze o nostalgie nel popolo tunisino. Il percorso verso quel nuovo sistema politico immaginato dal Presidente è ancora complesso e deve tener conto di alcuni attori sociali decisivi, come il sindacato UGTT. Nel frattempo, il governo è riuscito a tenere sotto controllo una possibile crisi alimentare, anche se, soprattutto a livello locale si cercano soluzioni alla carenza di grano.

Se c’è una costante nell’operato di Kaïs Saïed è il profondo discredito verso i partiti – in linea con i sentimenti del popolo – e la ferma volontà di edificare un nuovo sistema politico senza più concrezioni, senza più la palude parlamentare. È il progetto della “piramide rovesciata”: una democrazia diretta con al vertice il Presidente. Al congelamento dell’assemblea, per la prima volta il 25 luglio e rinnovato più volte, è seguita di recente la sua dissoluzione. Dopo mesi di stasi, l’assemblea, pur ancora congelata, ha tentato un colpo di coda in una seduta online nella quale ha invalidato le decisioni presidenziali dal 25 luglio in poi, cosicché Saïed ha fatto ciò che molti già gli chiedevano: lo scioglimento. Saïed è un profondo conoscitore della Costituzione del 2014, che ha contribuito a scrivere, entrando allora in contatto con molti attivisti per la riforma, si è mosso sempre in punta di diritto, ha avuto uno stabile consenso popolare e da parte degli attori sociali, come il sindacato UGTT, che tra l’altro ha stigmatizzato la decisione del Parlamento di riunirsi pur dopo essere stato congelato.

Come detto in precedenza, l’UGTT (Union générale tunisienne du travail) ha un peso specifico notevole, da sempre, fin dagli anni nella lotta per l’indipendenza (quando ha pagato anche un tributo di sangue), e ancora oggi può spostare gli equilibri. Fino ad oggi non si è mai opposto apertamente alle azioni di Saïed, ma per l’UGTT il “dialogo nazionale” non può svolgersi sulle basi di quanto emerso dalle consultazioni elettroniche, come vorrebbe Saïed, dovrebbe invece svolgersi “senza precondizioni” – ha puntualizzato il Segretario Generale Noureddine Taboubi – rimarcando la necessità di allargare a tutti gli attori, anche ai partiti. Il sindacato ha posto le sue condizioni, minacciando di non partecipare al dialogo nazionale, che in tal caso perderebbe di senso. Il Presidente vuole escludere dal dialogo soprattutto il partito islamico Ennahda mentre il sindacato sembra intenzionato ad allargare la partecipazione anche ai partiti politici purché questi “rendano conto della gestione del paese negli anni passati”. Positivo il confronto tra governo Bouden e UGTT del 15 aprile, indispensabile per definire le basi del programma di riforme atteso dal FMI. Anche nella Tunisia del futuro l’UGTT deve continuare a mantenere un ruolo.

Oltre alla sfiducia verso la classe politica, nel popolo tunisino serpeggia ostilità contro le interferenze estere, che ci sono sempre state in Tunisia, data la sua particolarissima posizione geografica; un sentimento che lo stesso Saïed ha vellicato, anche facendo spesso ricorso alla simbologia repubblicana e alle ricorrenze della lotta per l’Indipendenza. Per questo, hanno destato notevole scalpore le dichiarazioni di Erdoğan che, dopo la dissoluzione dell’assemblea, ha parlato di “attacco alla volontà del popolo tunisino” – dichiarazioni che hanno il sapore di un sostegno a Ghannouchi, lo speaker dell’Assemblea e leader di Ennahada, storicamente legato alla Turchia – e che hanno provocato un incidente diplomatico tra i due paesi. Il Movimento 25 luglio, sostenitore del Presidente, ha chiesto di espellere l’ambasciatore turco. Questo incrinamento nei rapporti tra i due paesi testimonia che c’è molto di più di quello che appare e che gli equilibri in Tunisia riflettono quelli più ampi del mondo arabo. 

Una risposta locale alla crisi globale? Il Covid prima e la guerra ora hanno mostrato le lacune dei sistemi alimentari globali, dipendenti, come per il gas, dalle forniture estere, in special modo di Russia e Ucraina. La Tunisia non fa eccezione. Dopo essere stata per secoli un grande esportatore, si ritrova a dipendere, ricorda Le Monde, per il 50% del suo fabbisogno di cereali dall’estero: nello specifico, 84% di grano tenero, utilizzato per la panificazione, e quasi il 50% di grano duro, usato per il cuscus. Per questo, anche in Tunisia, la crisi impone un ripensamento dei sistemi agricoli e alimentari. I coltivatori riscoprono le varietà di grano locali per sopperire alla scarsità. “In Tunisia, il 40% del grano importato viene dall’Ucraina”, ha ricordato il presidente dell’Associazione tunisina di permacultura Rim Mathlouthi a France Culture. “Per questo, stiamo lavorando sui semi in uso tra i contadini. Abbiamo a disposizione delle varietà di grani antichi già completamente adattati al suolo tunisino”. I prezzi sono al rialzo ma il governo riesce ancora a mantenere attivi i sussidi per gli alimenti di base sebbene la situazione finanziaria, in attesa di uno sblocco della trattativa con il FMI, sia sempre più critica, e metta a rischio la tenuta di questo particolare e utile stato sociale.

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