La guerra dei dazi USA-Cina iniziata due anni fa il 22 marzo 2018, ha visto una sua nuova evoluzione tre giorni fa, il 15 gennaio appunto, con la firma di una pace, giunta dopo mesi di negoziazioni.
Il trattato di 86 pagine, o meglio “accordo fase uno”, è stato firmato a Washington e prevede: che gli Stati Uniti rinuncino a imporre gli annunciati dazi del 15% su circa 160 miliardi di dollari di prodotti cinesi; che Pechino si impegni nei prossimi due anni ad aumentare gli acquisti di una serie di servizi e prodotti americani per un valore di 200 miliardi di dollari; che Pechino si impegni a proteggere la proprietà intellettuale “made in USA” e a non svalutare la propria moneta.
Tutto il resto è rimasto invariato, compresi i dazi già in vigore. L’accordo è stato firmato dal Presidente Donald Trump per la parte americana, e dal Vice-Primo Ministro Liu He per la parte cinese. A questo punto una domanda sorge spontanea: perché Xi Jinping non c’era? Per spiegarlo bisogna tornare a ottobre 2019, mese in cui sono iniziate le negoziazioni sui termini dell’accordo di pace. Le trattative sono state condotte da Liu He e Robert Lighthizer, Rappresentante del Commercio Americano. Nel novembre 2019 si sarebbe dovuto tenere a Santiago del Cile il summit dell’Apec (Asia-Pacificc Economic Cooperation) durante il quale si sarebbero dovuti incontrare Donald Trump e Xi Jinping per dialogare circa i termini dell’accordo. A causa delle proteste cominciate in Cile, il convegno è stato cancellato. Da qui le delegazioni dei due Paesi hanno cercato di trovare una possibile nuova location in cui far avvenire l’incontro tra i due presidenti, ma senza successo. Il problema risiedeva probabilmente nel fatto che Xi Jinping volesse incontrare Trump in un contesto che si potrebbe ritenere “laterale”. Così come era accaduto al G20 di Osaka nel giugno 2019, dove il Presidente cinese si era recato per partecipare principalmente al summit e poi, secondariamente, si è intrattenuto in un colloquio privato, vis a vis, con Donald Trump, Xi avrebbe voluto riproporre la stessa dinamica all’Apec. Nel momento in cui questa occasione è venuta a mancare è stato molto difficile, e alla fine impossibile, riuscire a cercare e di conseguenza trovare, una nuova location per l’incontro. Intanto, nel mese di novembre, si sono susseguite una serie ci circostanze che hanno evidentemente condotto il presidente cinese ad essere sempre più restio: dalla fuoriuscita di informazioni delicate come quelle dei “Xinjiang Papers”, alla firma da parte di Trump dell’“Hong Kong Human Rights and Democracy Act”. Nonostante tutto comunque, verso dicembre 2019, le due delegazioni avevano comunicato il raggiungimento di un’intesa sulla pace delle trade war e che il documento che ne avrebbe suggellato l’ufficializzazione sarebbe stato siglato agli inizi di gennaio 2020. I due firmatari dell’accordo sarebbero dovuti essere Liu He e Robert Lighthizer, essendo loro i portavoce delle rispettive delegazioni. Poco prima della firma però, Trump ha deciso di firmare in prima persona l’accordo andando così a creare uno sbilanciamento: da un lato si trovava un vice-primo ministro, dall’atro un presidente. Con le elezioni americane che si avvicinano sempre più e il processo di impeachment che si fa sempre più pressante, evidentemente Trump ha deciso di ricorrere a questo escamotage per motivi elettorali.
Se comunque la “fase uno” dovesse dare risultati positivi, prossimamente si potrà giungere ad una “fase due”, ma molti sono gli scettici al riguardo.