The New Authoritarianism. Trump, Populism and the Tyranny of Experts, è il titolo del libro di Salvatore Babones, pubblicato dalla casa editrice Polity Press, 2018
Salvatore Babones è un sociologo statunitense, insegna all’Università di Sydney dove è professore associato, ha conseguito il Ph.D. dalla John Hopkins University di Baltimora, ed è da anni uno dei membri più visibili e influenti dell’ approccio mondo-sistemico (World System Theory) propugnato tra gli altri da Giovanni Arrighi, Andre Gunder Frank e Immanuel Wallerstein.
Il professor Babones ha fatto nel corso degli anni contributi scientifici importanti sia nell’ambito della metodologia della ricerca sia nell’ambito della sociologia economica e non disdegna, da intellettuale pubblico, di intervenire in vari dibattiti che spaziano dall’importanza di studiare la cultura o la civilizzazione occidentale a come il Confucius Institute possa contribuire a promuovere la democrazia, o dalla democrazia in Polonia alla Brexit. Donald Trump, da qualche anno, da prima di essere eletto Presidente degli Stati Uniti d’America, è uno degli argomenti cari al professor Babones che, a differenza di tanti esperti, in Trump non vede un dittatore ma vede invece un leader politico che tutto sommato fa bene alla democrazia.
The New Authoritarianism è un tentativo di trattare questi temi in maniera esaustiva ma accessibile anche ad un pubblico di non specialisti. Il volume, oltre ad una prefazione molto godibile che inquadra e mette in prospettiva i vari temi trattati nel resto del libro, si articola in cinque capitoli dedicati rispettivamente a liberalismo, libertà e diritti; l’ascesa dei nuovi autoritari; l’autoritarismo liberale e planetario; Donald Trump e, alla fine, il populismo.
Benchè The New Authoritarianism sia ricco di riferimenti, citazioni, aneddoti, il messaggio fondamentale è molto chiaro. Il liberalismo, nel corso degli anni, si è trasformato passando dall’occuparsi di libertà negative, quali, ad esempio, la libertà dalla coercizione, all’occuparsi di libertà positive o, come dice giustamente il professor Babones, diritti positivi. La trasformazione del liberalismo – associata al fatto che il liberalismo sia diventato una filosofia politica egemonica quanto meno tra esperti e tecnocrati, e al fatto che siano appunto esperti e tecnocrati a definire quali diritti debbano essere protetti e promossi – ha creato le premesse per la comparsa di una nuova forma di autoritarismo: la tirannia degli esperti, che, in virtù del loro sapere, si arrogano il diritto di decidere quali politiche possano o debbano essere perseguite o come e quando debbano essere implementate. Così facendo, spiega Babones, si finisce con il rimpiazzare la democrazia con la tecnocrazia che, in questo modo, diviene ‘sovrana’ proprio nel senso in cui la intendeva Carl Schmitt, perché è proprio una tecnocrazia siffatta che, per citare lo Schmitt della Teologia Politica, ‘decide sullo stato di eccezione’. La tirannia degli esperti marginalizza la democrazia non solo perché sono gli esperti a decidere come e quando fare cosa, ma perché decidendo anche cosa sia dicibile o meno restringono quella libertà di parola senza la quale i gruppi sociali disagiati o danneggiati dalle politiche disegnate dai tecnocrati non sono più in grado di esprime le proprie ansie, esigenze e bisogni. Il populismo e Trump sono una reazione alla restrizione dello spazio democratico, sono un tentativo di dar voce a esigenze e bisogni altrimenti trascurati–per cui, paradossalmente, Trump fa bene alla democrazia, che, a detta dei tecnocrati, starebbe invece danneggiando.
The New Authoritarianism presenta un pregio fondamentale, che cerco di spiegare qui. Chi si occupa di partiti e democrazia non può aver fatto a meno di notare che la democrazia non è più considerata come il regime politico ideale: i liberali/libertari, in Italia ma non solo, vedono nella democrazia la causa del mal governo e del dissesto dei conti pubblici; gli adulatori del buon governo, traduco così good governance, dall’ Huntington di Political Order in Changing Societies (1968) al Francis Fukuyama di “What is Governance?” o al Daniel Kaufmann di “Governance Matters” ai giorni nostri credono nel dividendo del buon governo ma non sempre o quanto meno non necessariamente in quello della democrazia; e politologi come Daniel Bell, in The China Model (2015) arrivano addirittura a sostenere che la meritocrazia possa in taluni casi essere preferibile a forme di governance più democratiche.
Si tratta di una vera rivoluzione culturale. I liberali un tempo vedevano nella democrazia lo strumento per tutelare il diritto alla vita, alla libertà personale, e alla proprietà; gli scienziati della politica, Samuel Huntington incluso, nel corso della Terza Ondata di democratizzazione erano persuasi del fatto che la democrazia fosse rimasta come the only game in town mentre Fukuyama, prematuramente convinto del trionfo del modello liberal-democratico, discettava della fine della storia; e sempre i politologi discutevano di quale modello democratico fosse migliore senza mai mettere in discussione l’assunto che la democrazia fosse, nelle parole di Churchill, la peggior forma di governo, fatta eccezione per tutte le altre. Oggi ovviamente non è più così. The New Authoritarianism spiega come e perché vi sia stato un vero e proprio cambio di paradigma.
The New Authoritarianism argomenta, convincentemente, come gli argomenti anti-democratici (ed in taluni casi la prassi antidemocratica a cui questi argomenti finiscono col portare) dei liberali/libertari, dei fautori del buon governo e dei propugnatori della meritocrazia non siano che tre manifestazioni del nuovo autoritarismo liberal-tecnocratico a cui il professor Babones dedica una porzione significativa del suo pregevole volume. The New Authoritarianism è interessante, è godibile e merita di essere letto in inglese oggi, e, speriamo, anche in italiano in un futuro non troppo lontano.