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TematicheAfrica SubsaharianaMinacce alla pace e alla sicurezza globali

Minacce alla pace e alla sicurezza globali

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Tra le minacce alla pace e alla sicurezza globali si identificano qui alcune realtà nel breve-medio periodo. Il terrorismo è tra le maggiori sfide per la pace e per le sicurezze nazionali e internazionali, anche se minore rispetto alle conseguenze dei conflitti sulla malnutrizione nel mondo le cui vittime sono ormai milioni.

Nel 2020 la violenza terroristica è aumentata del 49% rispetto al 2019. Dal 2018 in Burkina Faso – paese al centro oggi (ottobre 2022) di colpi di stato guidati da giunte militari – da 86 morti si è saliti a 593 persone uccise, nel 2019, da parte diun gruppo affiliato ad Al Qaida denominato Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin, nel Maghreb e nel Sahara. Le vittime del terrorismo sono aumentate anche nel Sahel, in Nigeria, nell’area del lago Ciad, in Egitto, in RDC (Repubblica Democratica del Congo) e in Mali. In quest’ultimo Paese africano, la regione di Kayes, con il 77% della produzione di oro mondiale potrebbe facilmente diventare uno scenario per nuovi attacchi.

Recentemente, il gruppo terroristico Ansar al-Sunna ha compiuto attacchi lungo la costa del Mozambico ad Afungi, Cabo Delgado. Tali violenze si sono verificate anche a causa delle recenti scoperte di ingenti riserve di gas naturale, dalla presenza di miniere d’oro e di rubini di Niassa e Montepuez, e da 40 tonnellate di eroina trafficate dal Pakistan-Afghanistan annualmente – una tonnellata vale circa 20 milioni di dollari – che potrebbero modificare i percorsi tradizionali dei traffici transnazionali e coinvolgere anche il Madagascar e le isole Comore nell’oceano Indiano. Il 6 settembre 2022 è stata attaccata la missione di suor Maria De Coppi, missonaria comboniana dagli anni Sessanta attiva in Mozambico uccisa durante un agguato nella sua missione di Chipene, nella provincia di Nampula, nella parte settentrionale del paese.

Il Mozambico è il risultato di flussi migratori continui nella sua storia multiculturale e multietnica e due terzi della popolazione, 31 milioni e seicentomila nel 2022, vive in aree rurali. In seguito alla difficile e sanguinosa indipendenza dal Portogallo, conseguita il 25 giugno 1975, il Paese si è trovato al centro delle “guerre per procura” che hanno caratterizzato l’Africa negli anni Settanta-Ottanta del ventesimo secolo. Le ferite profonde lasciate dal colonialismo hanno ostacolato percorsi di sviluppo anche a causa delle divisioni che lacerano ancora oggi la società mozambicana. Tali divisioni politico-sociali si sono sovrapposte ad altre divergenze religiose preesistenti. Spaccature ideologiche e religiose entro la comunità musulmana da sempre presente nel Paese hanno condotto a fenomeni di estremizzazione favoriti da lunghi anni di marginalizzazione economica e politica.

A partire dal 2017 dalla provincia di Cabo Delgado il terrorismo si è diffuso anche in altre aree. Il gruppo Ahlu Sunnah Wa-Jama (Isis Mozambico) d’ispirazione salafita-jihadista, separato dagli Al Shabaab di provenienza somala, è fervente sostenitore dell’applicazione rigorosa della sharia, ed è responsabile di numerosi attacchi. I militanti del Ahlu Sunnah Wa-Jama tendono imboscate lungo le strade che connettono le varie cittadine del nord. Questo gruppo si ritiene sia nato dalle predicazioni del leader estremista Sheikh Aboud Rogo Mohammed, di origine kenyota; Sheikh Aboud Rogo Mohammed si è fatto promotore dalla fine degli anni Novanta sino al 2012, quando è stato ucciso in un confitto a fuoco a Mombasa, di un messaggio islamico-radicale, imperniato sulla condanna senza appello della ricchezza delle élites e delle multinazionali, considerata come il frutto insanguinato del vergognoso sfruttamento delle popolazioni locali. Inoltre, Sheikh Aboud Rogo Mohammed ha basato la sua propaganda, in lingua swahili, fondata sui precetti dell’Islam più radicale. L’intensità degli attacchi, accomunati da un alto livello di brutalità, mostra la volontà degli estremisti di ritagliarsi una parte di paese per dare vita a un “califfato” da cui colpire il Paese e la regione. Durante gli ultimi tre anni il fenomeno non è stato risolto dal governo mozambicano, e si ritiene che nessuna soluzione sia possibile se non in una sinergia con i paesi confinanti. La situazione umanitaria è grave nel Nord dove si registrano dal 2017 a oggi oltre 4000 morti e 900.000 sfollati a seguito dell’incertezza e delle problematiche derivanti dagli attacchi. Il governo, guidato dal 2015 da Felipe Jacinto Nyusi (1959-), ha resistito a lungo a ogni tipo di supporto esterno, a interventi multilaterali, a soluzioni regionali, in accordo con i paesi contigui.

A questo riguardo vi sono altre drammatiche realtà africane come il Sahel, l’Africa occidentale, il Nord Africa e l’Africa orientale dove il terrorismo minaccia quotidianamente le popolazioni indifese. Uno dei maggiori problemi incontrati in Mali e in Nigeria include l’assenza di strategie nazionali e regionali, le risorse limitate per affrontare il fenomeno, e un’attenzione esclusiva alle azioni militari trascurando soluzioni volte alla difesa dei diritti umani e per favorire lo sviluppo. Il Mozambico ha a lungo sottovalutato il fenomeno definendolo di ordinaria violenza e non di matrice terroristica internazionale davanti al quale uno stato non può ergersi da solo. Sono stati coinvolti anche gruppi mercenari russi e sudafricani per combattere questi gruppi invece di negoziare un supporto collettivo con i paesi confinanti. Il privilegiare le operazioni militari a discapito delle azioni umanitarie ha indebolito ulteriormente le realtà locali, totalmente esposte agli attacchi. L’attenzione alla sicurezza ha escluso le iniziative da parte delle comunità anche religiose come le missioni comboniane; sono stati inoltre esclusi gli aiuti da parte di gruppi di sicurezza locali che si sono rivelati molto utili nel contrastare gli attacchi del feroce gruppo terroristico denominato Boko Haram in alcune regioni settentrionali della Nigeria.

Dall’inizio del 2022 la SADC (Southern Africa Development Community), forze militari ruandesi, aiuti militari americani ed europei, con un totale di 3.100 truppe presenti sul territorio, tentano di affrontare la crisi per evitare il pericolo della diffusione del terrorismo nell’intera regione. Proprio le comunità religiose potranno aiutare a “decostruire le ideologie estremiste” con aperture diplomatiche e dialoghi oggi più che mai urgenti e necessari. Una strategia regionale per la difesa delle coste marittime è essenziale per la protezione dei commerci e per la sicurezza dei litorali non solo mozambicani ma dell’intera costa dell’Africa orientale a partire da Capo Guardafui in Somalia. Le organizzazioni internazionali devono avere accesso ai villaggi dove si trovano gli IDP (Internal Displaced Persons) e poter portare aiuti. I porti strategici come Mocìmboa da Praia, già in mano ai terroristi, dovrebbero venir ulteriormente difesi per impedire loro futuri rifornimenti. I confini settentrionali con il Malawi e la Tanzania andrebbero ancora più rafforzati e le terre agricole riorganizzate senza il veleno della corruzione. L’intera sicurezza dell’Africa australe, e la sicurezza globale, dipendono da tutte queste azioni sinergiche condivise.

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