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Terrorismo in Asia Centrale: la Russia mette tutti in allerta

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Il 24 novembre, in occasione della Conferenza internazionale di Ginevra sull’Afghanistan, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha espresso tramite videomessaggio la sua forte preoccupazione per la presenza di svariati raggruppamenti di militanti affiliati allo Stato Islamico (IS) nel nord del paese. Oltre alla costante instabilità politica del governo di Kabul, ancora più a repentaglio dopo la decisione degli Stati Uniti di ritirare migliaia di soldati entro il prossimo 15 gennaio, ad agitare il Cremlino è la permeabilità del confine afghano con Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan.

Ad oggi il terrorismo islamico negli stati dell’Asia centrale, per quanto preoccupante, non ha ancora attecchito come in altre aree del mondo. Secondo i dati del Wilson Center di Washington, la regione ha subito 19 attacchi classificabili come atti terroristici tra il 2008 e il 2018. Di questi, la maggior parte è stata rivendicata dall’IS e dai suoi gruppi affiliati, come ad esempio il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU).

Il caso dell’IMU

Il 12 novembre, il governo afghano ha affermato di aver ucciso Aziz Yuldash, leader dell’IMU, nella provincia settentrionale di Faryab. Questa organizzazione è nata nel 1998 e consta di circa 500 membri, provenienti prevalentemente dall’Uzbekistan, dal Tagikistan e dal Pakistan. Inizialmente alleata di Al-Qaeda e dei talebani, i quali hanno contribuito al sostentamento del movimento a livello finanziario e di addestramento militare, ha poi giurato fedeltà all’ISIS nel 2015. L’IMU si è reso responsabile di numerose esplosioni a Tashkent (febbraio 1999), Bishkek (dicembre 2002) e Osh (maggio 2003 e novembre 2004), diversi rapimenti e attacchi contro le truppe della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) in Afghanistan. Sebbene oggi appaia inattivo, molti suoi membri rimangono nel nord del territorio afgano rappresentando una delle tante mine vaganti per la sicurezza dell’Asia Centrale.

La sicurezza della regione passa dal Tagikistan

Tra tutti i paesi dell’Asia Centrale, è il Tagikistan, il quale condivide 1.357 chilometri di confine con l’Afghanistan, a dare i segnali più preoccupanti per una possibile espansione dello Stato Islamico nella regione. Senza contare che, secondo le stime, tra i 1.300 e i 2.000 cittadini tagichi si sono recati in Siria e Iraq per unirsi allo Stato Islamico e ad altri gruppi jihadisti. Tra questi non si può non menzionare Gulmurod Salimovich Khalimov; ex combattente delle forze speciali del Tagikistan che, dopo aver fatto perdere le sue tracce nell’aprile del 2015, è ricomparso un mese dopo in Siria tra le file dell’IS. Da quel momento, Khalimov ha intrapreso una breve ma brillante carriera, tanto da essere insignito del titolo di ministro della guerra del califfato. Un raid russo lo ha ucciso nel 2017 a Deir ez-Zor, nel nord-est della Siria. Il ritorno dei diversi foreign fighters tagichi e centroasiatici nel paese d’origine potrebbe dare impulso alle cellule terroristiche già presenti sul territorio.

In un quadro così complicato come quello della permeabilità dei confini in Asia Centrale, le relazioni tra Mosca e Dušanbe in ambito di sicurezza e lotta al terrorismo trovano espressione in due organizzazioni regionali: l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), che comprende anche Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan, e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), nella quale rientrano anche Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, India e Pakistan.

La Russia fornisce continua assistenza al Tagikistan sotto forma di equipaggiamento militare, addestramento delle forze armate e rafforzamento dei confini mediante esercitazioni antiterrorismo congiunte alle forze locali (nel 2017 sono stati impiegati quasi 2.000 militari russi e 50.000 truppe tagiche). Come se non bastasse, il Cremlino ha un contratto per la gestione fino al 2042 della 201° base militare, che con i suoi circa 7.000 soldati, 96 carri armati, 8 elicotteri, 5 aerei da attacco al suolo, è considerata il più grande avamposto delle forze armate russe in un paese straniero.

Pericolo esterno, pericolo interno

Mosca continua a monitorare con estrema attenzione le possibili minacce terroristiche attorno ai propri confini e teme ripercussioni sulla sua sicurezza interna. Non a caso, in concomitanza con l’intervento del Ministro Lavrov alla conferenza Ginevra, i servizi di sicurezza russi hanno dichiarato di aver sventato diversi attentati nella regione di Mosca e di aver arrestato un cittadino di un paese dell’Asia centrale nella regione di Vladimir. Gli attacchi terroristici progettati nelle principali città russe da cittadini provenienti dalle regioni del Caucaso Settentrionale e dell’Asia Centrale non rappresentano una novità per il Cremlino. In un contesto sociale come quello della Federazione Russa, nel quale sono presenti forti sentimenti di intolleranza verso le etnie non-slave, incluse discriminazioni sul piano lavorativo, quello della radicalizzazione costituisce più di un semplice pericolo.

La minaccia dell’IS in Asia Centrale è il cuore del dibattito odierno sulla sicurezza della regione. Il ritorno dei foreign fighters nei rispettivi paesi di origine e la permeabilità dei confini tra l’Afghanistan e le ex repubbliche sovietiche preoccupano la Russia. L’intervento di Lavrov a Ginevra lascia intendere che le risposte date finora tramite l’SCO non siano sufficienti.

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