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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaTerrorismo e potere "liquido": stato e sovranità in Aqimstan

Terrorismo e potere “liquido”: stato e sovranità in Aqimstan

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In geopolitica è pacifico individuare tre caratteristiche esclusive per spiegare gli effetti del “potere” inteso come fascio di attribuzioni di un soggetto politico esercitabile su un altro: la presenza di uno “Stato sovrano”, che detiene il diritto di applicare esclusivamente le proprie leggi nei confronti di un “popolo” residente in un “territorio” da confini stabiliti.

Questo definizione rigida di potere si richiama alla declinazione westfaliana dello stesso ed ha avuto la sua ragion d’essere fino alla seconda guerra mondiale entrando definitivamente in crisi con la fine della guerra fredda, quando l’affermazione acquisita delle organizzazioni internazionali, della globalizzazione economica e della democrazia planetaria, ha reso più dinamici i tre fattori Stato, popolo e territorio e di conseguenza la concezione del potere ha perso i suoi contorni interpretativi definiti. Tale cambiamento ha portato alla nascita di forme politiche aggregate nuove, caratterizzate da una sovranità estesa sovranazionale esercitabile entro confini sempre più allargati e su una popolazione in continua espansione, portando alla crisi esistenziale dello “Stato nazione”. L’Unione Europea è di certo la più compiuta creazione di questo movimento dinamico delle tre componenti: all’interno dell’organizzazione regionale in questione la detenzione del potere non si struttura più in un senso verticistico assoluto chiuso, ma è atomizzata tra vari centri aperti e in continua relazione per il controllo e la gestione di territori e popolazioni sempre più interconnesse e non più sottoposti al controllo di un unico ente. Il potere è mutato, ha cambiato forma dislocandosi in sovranità plurali. È divenuto “liquido” per una propria evoluzione continua che impedisce la sua definizione in una forma statica, in una forma che sia dunque durevole e capace di allocarsi stabilmente nemmeno sul piano geografico.

L’evoluzione del potere dallo stato “solido” a quello “liquido” è riscontrabile non solo però in aggregati politici regionali formati da democrazie mature, ma anche nell’azione di soggetti parastatali e ultranazionali che possono sostituirsi a Stati sovrani deboli – dei quali occupano porzioni di ciascun territorio – condividendone il potere ed esercitando una sovranità transnazionale. È il caso del potere di matrice terroristica. E l’istituzione terroristica per eccellenza che ad oggi sia parastatale e ultranazionale è di certo Al Qaeda: non più un semplice soggetto politico passivo come ai primordi, ma un vero e proprio attore delle relazioni internazionali. La prova dell’utilizzo del suo potere sul territorio è il cosiddetto Paese di Al Qaeda nel Maghreb islamico, ovvero Aqimstan. La formazione di questo “Stato negli Stati” ha una gestazione che ha inizio negli anni ’90 con il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (Gspc) attivo nel sud dell’Algeria a partire dalla guerra civile del 1992. Sono ribelli islamici che operano su un determinato territorio, con confini operativi stabiliti all’interno dello Stato nazione che combattono; allora non hanno affiliazioni di tipo strategico con Al Qaeda finché – con l’inasprimento della lotta al terrorismo – quest’ultima è obbligata a rinunciare alla sua organizzazione verticistica e si allarga formando una rete di cellule autonome che hanno il potere di agire con la minima coordinazione della base.

L’esigenza di Al Qaeda di ampliare il fronte dello scontro scompaginando l’offensiva degli Stati occidentali con l’apertura di più fronti, la porta ad evadere i confini yemeniti prima, e afgani poi, per esportare il terrorismo sotto la propria bandiera oltre il Medio Oriente fino in Africa. I componenti di queste cellule sono autoctoni rappresentanti da Al Qaeda ma attuano in modo diretto i propri piani senza chiedere per ogni operazione un avallo preventivo della “Base”. Con la “brandizzazione” del marchio qaedista, il potere delle singole cellule si è fatto dinamico e fluido, diretto e non sempre mediato, a seconda delle contingenze: “liquido” appunto. Ed è così, conservando il grado di autonomia, che il Gspc si associa è diventa Al Qaeda nel Maghreb Islamico nel 2005. Incomincia la sua espansione territoriale – stanziandosi in buona parte dell’Africa Occidentale – per esportare il jihad oltre i confini algerini in uno spazio ideologicamente senza limiti, fin quando non viene interrotta dall’intervento dell’Ecowas e della Francia ad inizio 2013 con la guerra in Mali. In questi otto anni di presenza sul territorio, Aqim si è ulteriormente divisa, atomizzata, dando vita al Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (Mujao) e alleandosi con Ansar Al-Din, gruppo fondamentalista di tuareg impegnato nell’indipendenza dell’Azawad. La capacità dei gruppi salafiti di restare sul territorio nel quale operano non è stato dovuto – come agli esordi di Al Qaeda – alla complicità dei governanti, ma alla creazione di una rete economica salda e proficua alimentata dal traffico di droga e dai sequestri.

La stabilità economica dei gruppi e la conseguente espansione è stata poi resa possibile da fattori, geografici sociali e religiosi, determinanti. Il primo è il deserto. Se si tracciano i confini della presenza qaedista in Africa Occidentale al momento della guerra in Mali, si nota come dall’iniziale territorio meridionale dell’Algeria inquadrato nelle province di Adar, Tamanrasset e Illizi, i fondamentalisti si siano stanziati nella gran parte della fascia del Sahel occidentale stabilendo il raggio d’azione da ovest – dalla Mauritania orientale – proseguendo poi con l’Azawad in Mali, fino all’immensa catena montuosa dell’Adrar des Ifhogas che comprende il nord-est maliano e il nord-ovest del Niger, e spingendosi – ad oggi – fino ad est in corrispondenza del deserto libico che degrada nel Tibesti, il massiccio del nord-ovest del Ciad. Un’area sconfinata che traversa ben cinque confini condivisi tra sei Stati, lunghi migliaia di chilometri e praticamente incontrollabili: Aqimstan traccia nei fatti il limite di sovranità geografica dei rispettivi Stati nella macroregione. Altro fattore determinante per la propagazione di Aqim è stata la densità abitativa dei territori: circa 1 abitante per km², ossia una area spopolata, scarsamente urbanizzata – tranne per poche città. Zone dunque abitate da popolazioni non collegate con il centro politico-istituzionale, povere e dall’economia di sussistenza. L’impossibilità di agire indisturbati, incontrollati, ha permesso ad Aqim una fidelizzazione degli abitanti delle zone da loro attraversate, connivenza e la possibilità di reclutamento: questo è avvenuto grazie soprattutto al dinamico elemento religioso. Tutta l’Africa settentrionale è musulmana sunnita della scuola malichita: la radicalizzazione dei proseliti dei fondamentalisti dunque non ha trovato un’opposizione di carattere confessionale.

Ma il passepartout dell’Islam nell’Africa Occidentale è tutto politico. Le teorie della secolarizzazione affermano come ci sia un rapporto inversamente proporzionale tra tecnologia, avanzamento scientifico e religione nelle società post industriali. Un’idea che però non può essere applicata in quelle società che non sono ancora approdate alla fase industriale e che vedono nella religione un welfare alternativo. Per questi popoli, indigenti e abitanti in Stati poveri, la religione diventa fonte attrattiva poiché legata ai nessi dell’insicurezza e della disuguaglianza. Diventa così un’istituzione votata all’assistenzialismo sul territorio (come Hezbollah in Libano per esempio). Questa caratteristica funzionale della religione all’interno di uno Stato nazione viene affiancata in Aqimstan, in uno Stato “fluido”, dal rinnovamento dell’Islam nell’era della globalizzazione. La dottrina islamica è difatti, tra i culti monoteisti, quello che più si adatta alla deterritorializzazione poiché priva di una forte gerarchizzazione universale e per l’incapacità di accettare l’autorità del Paese nel quale i fondamentalisti si trovano. Per ragioni storiche e di genesi della stessa dottrina, l’Islam tende a riempire un vuoto di potere – e dunque di leggi – con i propri dettami, indistinguibili tra sfera pubblica e privata, espressi dalla Shari’ah. Nell’Aqimstan i fondamentalisti hanno trovato immensi spazi vuoti della sovranità, e hanno così iniziato a riempirli con la legge coranica. Se non fossero stati respinti, il Mali – o buona parte di esso – sarebbe divenuto una rinnovata edizione, aggiornata in Africa, del potere quaedista in Yemen.

Lo Stato che affaccia sul Golfo di Aden è diviso in due con l’est tribale sotto il controllo di amministratori politici affiliati ad Al Qaeda che gestiscono le risorse sul territorio sostituendosi all’autorità legale. In Yemen il vuoto di potere è stato riempito da Al Qaeda – nonostante la base legale sia quella di natura tribale, o legata a vincoli clanici, con consuetudini diverse dalla legge coranica, -poiché rappresenta una alternativa istituzionale. 

Un parallelo che si sarebbe potuto fare con Aqimstan se contro i salafiti non si fosse alzato l’argine al loro avanzamento, ormai indirizzato alla conquista di un intero Stato nazionale per sostituirsi interamente al governo legittimo. Dopo la conquista di Timbuctu e delle principali città del centro-nord, Aqim era diretto a Bamako, capitale maliana, e solo l’intervento esterno li ha ricacciati nel cuore del proprio territorio dove sono ora rifugiati: l’altopiano dell’Ifhogas. Il territorio di Aqimstan quindi si è notevolmente ridotto oggi, ma i suoi confini “liquidi” sono in continuo movimento per ridefinirsi spostando così l’area operativa in una zona del proprio territorio lontana dall’autorità formale. I nuovi attentati in Niger raccontano lo spostamento graduale del fronte e gli spazi frammentati che circondano Aqim sono strumentali ad un suo rinvigorimento: la crisi libica a seguito della caduta di Gheddafi ha portato l’autorità centrale a doversi rapportare costantemente con forze politiche centrifughe che controllano direttamente il territorio in Cirenaica; in Nigeria Boko Haram infiamma il nord; i tuareg in Mauritania e infine la presenza di Al Shabaab in Somalia. Tutti potenziali alleati di uno Stato in movimento in continua lotta asimmetrica.

Con l’esplosione del fenomeno terroristico religione e potere vivono così nella loro rispettiva globalizzazione una relazione nuova che si sviluppa e si amplifica in ambito regionale. Il fondamentalismo religioso diviene politica attiva e trova spazi inoccupati infiltrandosi come alternativa credibile in Stati dal potere frammentato: se Aqimstan ne è la sua declinazione criminale e combattuta, l’avanzare dei partiti islamisti in tutti i paesi percorsi dalla “primavera araba” – legittimati dalle elezioni – garantisce invece un confronto continuo all’interno delle relazioni internazionali con Stati dalle società ampiamente secolarizzate.

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