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TematicheItalia ed EuropaVoglio vivere e amare a l’Aquila

Voglio vivere e amare a l’Aquila

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Devo essere sincero. Ho pensato a lungo se scrivere questo articolo, e provo un certo disagio ancora adesso, mentre digito sui tasti impolverati del portatile scampato con me al sisma.

Mi sono chiesto se fosse giusto aggiungere altre parole ai fiumi di inchiostro che sono stati versati per descrivere tutto quello che è successo: la morte, il dolore, la celerità e l’efficacia degli aiuti, ma anche le polemiche, la politica…

O meglio la demagogia di certi politici che inseguono un attimo di attenzione mediatica, dimentichi dell’insegnamento evangelico per cui, nel dono e nell’aiuto, la mano destra non dovrebbe sapere quello che fa la mano sinistra; o che comunque cercano un “ruolo” nel racconto della tragedia.

Ma alla fine mi sono convinto. La scrittura è anche catarsi. E senza scadere in un banale psicologismo è un modo per metabolizzare, per elaborare… E poi ci sono tante storie che non sono riuscite ad entrare nel cono di attenzione dei media… O se sono finite sotto i riflettori, sono state paradossalmente distorte da quella luce troppo intensa.

Sarebbe forse un atto di giustizia provare a raccontarle queste storie, forse semplicemente accennandole, difendendo il pudore di quei protagonisti che, a differenza di altri, non hanno cercato la “compensatoria” – per quanto effimera – notorietà che il dramma ha concesso a una terra, a una città, a un popolo che in qualche modo aveva condotto per secoli la sua dignitosa, antica e forse un po’ provinciale esistenza praticamente ignorata.

Gli aquilani erano irritati dal fatto che tante emittenti televisive, dando le previsioni atmosferiche, parlassero solo della rivale Pescara. Oggi persino le notizie del meteo sono focalizzate sulla nostra città, per rendere giustamente conto degli ulteriori disagi che un tempo inclemente sta arrecando ad una popolazione già tanto colpita.

Il terremoto è un evento traumatico. Traumatico certo per le abitazioni, per gli oggetti colpiti nella loro fisicità, ma lo è anche per le anime: ci si sente totalmente in balia del caso. La linea tra la vita e la morte è segnata da un tragico gioco di casualità.

Una statistica cieca e crudele: dove ti trovi, la conformazione del terreno che amplifica o attutisce la violenza delle scosse, i tuoi tempi di reazione o di non reazione, il modo il cui il sisma esprime la sua forza.

Abbiamo imparato che quasi trenta secondi in balia del tremore della terra sono un tempo impressionante. O meglio, è il tempo stesso che appare dilatato in modo strano. Adesso passa… Vedrai che passa: ma non passa…

Il 6 aprile. L’attesa dell’alba, e poi il chiarore della luce che rivela un impressionante scenario di distruzione. Immagini già viste nei reportage che raccontano di città bombardate nelle guerre degli uomini. Ma adesso siamo nel cuore della “guerra della natura”.

La stessa durata del giorno appare stranamente distorta. E poi di nuovo la notte, rischiarata dalle lampade dei soccorritori che come termiti, attorno a un termitaio distrutto, si muovono freneticamente per salvare il salvabile: una vita, un respiro, un battito di cuore. A volte ce la fanno. Altre volte, troppe volte, quella vita è stata già schiacciata, sepolta, travolta.

E allora si liberano occhi che non torneranno a guardare, mani che afferrano altre mani, o bocche, nasi, fermi a inseguire l’aria respirata tra le fessure. E appaiono bambole di pezza scomposte, o pietrificate nel momento del crollo…

Traballando si scende da un terzo piano con i vigili, su rampe di scale in equilibrio precario, gravati dal peso di un corpo senza vita. Che comunque va portato fuori. E là, fuori, i visi dei cari in attesa. Si esce e si uccide la speranza.

Oltre queste isole di azione, la città è desolata, la popolazione in gran parte defluita verso i primi punti di raccolta che la Protezione civile e la Croce rossa hanno tempestivamente allestito. Il centro è deserto, sfigurato, irriconoscibile. Una maschera distorta dal dolore ha preso il posto del suo viso abituale.

Il terremoto è un evento che spezza vite, distrugge opere d’arte, e che restringe l’orizzonte esistenziale. Che farò domani? Ha senso rimanere a vivere, a lavorare, a studiare, ad amare, in questa città? E la città è solo ferita, o questo dramma è l’epilogo del suo lento declino economico?

Ma il terremoto è anche un’incredibile esplosione di coraggio, di generosità e di solidarietà. Centinaia di ragazzi e ragazze, non solo con la divisa, sono accorsi per dare una mano, per far sentire agli aquilani che non erano soli…

Ora c’è la sfida della ricostruzione… una ricostruzione che dovrà coniugare nel rigore tradizione e innovazione, una ricostruzione identitaria per ridare vita a questa città e per rispondere a quelle domande:”Si! Vale la pena rimanere a vivere, a studiare, a lavorare, ad amare a L’Aquila…”

(Pubblicato il 12/05/2009 su Limes Online)

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