Se i giornali turchi di maggiore diffusione e neutralità politica parlano genericamente dei fatti (un’esplosione che uccide 6 persone e ne ferisce oltre 50), senza sbilanciarsi su ricostruzioni od ipotesi, e limitandosi ad ospitare i messaggi di condoglianze inviati dai Leader stranieri (Hürriyet pubblica quelli di Ucraina e Pakistan) sono quotidiani come Aydınlık, espressione del “maoismo kemalista” del partito Vatan e sempre interessantissimo, a riportare le parole del Presidente Erdoğan secondo il quale dietro l’attentato c’è “puzza di terrorismo” (terör kokusu) e “l’ombra di una donna”. Potrebbe non essere un caso – se di attentato si tratta – che l’esplosione sia avvenuta giusto prima della partenza del Presidente per il G20.
La Turchia è al centro dell’attenzione globale per i famosi accordi sul grano, ed è grazie all’intermediazione turca che la Russia è rientrata nell’accordo (già perfezionato ad Istanbul) dopo averlo abbandonato in quanto suppostamente attaccata dall’Ucraina in violazione degli accordi stessi. La questione degli accordi sul grano, la distribuzione dei generi alimentari attraverso il Bosforo ed il ruolo che questi potrebbero avere nello scongiurare la tanto minacciata crisi alimentare globale sono argomenti di importanza capitale, non inferiori rispetto allo svolgersi del conflitto o alla crisi energetica.
Nello giungere alla firma degli accordi ad Istanbul, Ankara ha preso una posizione decisa e molto coraggiosa, oltre che di assoluto successo sul piano internazionale. Nel suo famoso “balletto” fra le diverse posizioni, l’ormai famosissimo “giocare fra piú tavoli” è riuscita a mantenersi equidistante fra la Russia e la NATO alla quale pur appartiene. E questo attentato potrebbe essere un modo per destabilizzare la sua posizione di forza, mandarle un segnale di “pazienza esaurita” o colpire le personalità più in vista dell’establishment turco, che certamente non necessitano di problemi in vista delle elezioni previste nel 2023, di importanza quasi millenaristica in Turchia. In primis, ed oltre al Presidente, ad essere colpito potrebbe essere quel potentissimo Ministro dell’interno, Süleyman Soylu, che tanto credito e tanto potere sta raccogliendo in diversi contesti della sicurezza del Paese.
E’ evidente come, a livello internazionale, questa posizione di equidistanza di Ankara possa essere letta in modo particolarmente negativo. La necessità tutta anatolica di giostrarsi con Mosca pur senza mai abbandonare le importantissime relazioni bilaterali aveva già trasformato Istanbul in un luogo ideale per esecuzioni informali, in particolare in relazione al conflitto siriano: fra queste, oltre a quelle di diversi esponenti di spicco del terrorismo internazionale di matrice sunnita, oggetto dell’azione dei Russi, si ricorda la morte di James Le Mesurier, ex funzionario dell’intelligence britannica ed appartenente all’organizzazione dei White Helmets, volato dalla finestra del suo appartamento.
Si speculerá quasi certamente di un “auto attentato”. E se è vero, come è vero, che nella storia della Turchia eventi del genere sono accaduti, è anche vero che colpire Istiklal Caddesi e ció che comporta (l’enorme impatto psicologico e le ripercussioni sul turismo e sulla stabilità del Paese) rendono l’ipotesi assurda. Impossibile sarebbe trovare il movente: pensare che la mossa sia quella di suscitare gli animi dell’ elettorato nazionalista in vista delle elezioni, infatti, significherebbe non considerare che la Turchia di oggi non ha nemici al quale sia comodo nello specifico attribuire il gesto, né tantomeno il bisogno di dimostrarsi debole: gli auspici del Governo turco sono quelli di consolidare il potere del Paese a livello internazionale, permettere un ordinato ed efficiente processo di distribuzione del grano e degli altri materiali previsti dagli accordi di Istanbul e presentarsi come il campione di quel mondo – islamico e no – che va dalla fascia equatoriale al Mediterraneo sul quale consolidare un’ importantissima leva di influenza geopolitica che si basi proprio sull’aver scongiurato la crisi alimentare.
Ha molto piú senso inquadrare i fatti nel contesto del conflitto in Ucraina, della sicurezza del Mar Nero e negli Accordi di Istanbul per la distribuzione dei generi alimentari prodotti in Ucraina: la Turchia, è bene sottolinearlo, in questo processo “contro la fame” è la protagonista assoluta, e desidera imporsi quale hub per la trasmissione dell’energia, con delusione (e a danno) di molti. Impedire al Governo in carica di consolidarsi sulla scena del Paese nel 2023 e doltre e di compiere il secolo della trasformazione verso la “Nuova Turchia” nel centenario della Repubblica potrebbe essere un obiettivo di molti. Se così fosse, potrebbero aprirsi i seguenti scenari:
- Ulteriori attentati o provocazioni sulla linea di confine con l’Armenia, o con la Siria
- Attacchi speculativi contro la Lira turca
- Rinascita degli scontri con la Grecia nelle isole dell’Egeo, a Cipro o verso il fiume Ebros, in Tracia, oltre naturalmente alla riproposizione di incidenti come quelli che avevano comportato il ritiro della Russia dagli accordi.
Non va, naturalmente, sottolineato l’altro ingombrantissimo dossier del sollecitato ingresso della Turchia nei BRICS, specificamente per i danni che questo potrebbe arrecare al mercato dell’energia se si addivenisse alla formazione di una moneta alternativa per le transazioni internazionali. I BRICS troverebbero in Ankara un perfetto snodo verso i mercati occidentali, Ankara quella disponibilità di energia a condizioni migliori che la spinge a mantenere aperta la questione di Cipro (il referendum del 2006 per la riunificazione, appoggiato da Ankara, è ormai archeologia). Il messaggio sarebbe quindi il seguente: alla Turchia si può fare del male, e dove si vuole, e questo potrebbe portare ad un risultato elettorale (già in verità messo in dubbio da molti) che potrebbe comportare l’uscita di scena dell’AKP e guastare tutto il discorso del centenario. Soprattutto in caso di ulteriori e maggiori danni. Il Partito di governo ha a che fare con un elettorato stanco dell’inflazione alle stelle, della presenza dei rifugiati siriani, e di tante altre cose, e sa di dover gestire l’appuntamento elettorale forse di maggiore importanza dal 1980 con l’imperativo di una vittoria netta. Insomma, è possibile che ad Ankara non voglia permettersi di ballare in mezzo alla sala quando a tutti i ballerini è richiesto di prendere posizioni chiare e mantenere fedeltà: ne sa qualcosa la Germania, altro soggetto che ama sussurrare e che si é trovato un danno immenso da riparare nelle acque del Baltico