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Taiwan 2020: i sondaggi e la partita per la presidenza dell’isola

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Sabato 11 gennaio si svolgeranno le elezioni presidenziali e legislative di Taiwan. Sondaggi alla mano, la riconferma dell’attuale Presidente Tsai Ing-wen del DPP appare lo scenario più probabile. Inoltre, il KMT potrebbe non solo essere sconfitto, ma ottenere il peggior risultato della sua storia elettorale. Quali potrebbero essere le conseguenze di una sconfitta di tale portata  per il partito che fu di Chiang Kai-shek? Quali le conseguenze per la Presidente, data per perdente un anno fa e oggi pronta ad un altro mandato di quattro anni? Questo primo articolo verrà dedicato all’analisi dei sondaggi presidenziali e le prospettive che si potrebbero aprire con la vittoria o la sconfitta dei principali competitor, Tsai Ing-wen e Han Kuo-yu. Il prossimo articolo, invece, si occuperà degli scenari che si potrebbero creare con i possibili risultati delle concomitanti elezioni parlamentari. Perché la partita per la Presidenza della Repubblica di Cina (Taiwan) sembra segnata, ma le elezioni per lo Yuan Legislativo potrebbero riservare qualche sorpresa. Per una analisi dei sondaggi pre-elettorali per le elezioni legislative clicca qui.

Le elezioni: tre candidati e una poltrona
Fra poco meno di una settimana i cittadini taiwanesi saranno chiamati ad eleggere il loro nuovo Presidente e i loro prossimi rappresentanti parlamentari. In Italia si è parlato poco e male delle prossime elezioni taiwanesi (da non perdere sull’argomento l’articolo di Stefano Pelaggi). Tuttavia, queste consultazioni potrebbero segnare in maniera decisiva non solo le dinamiche politiche dell’isola, ma anche gli equilibri geopolitici della regione estremo-orientale. Capendo gli scenari elettorali di Taiwan e le sue dinamiche politiche si potranno quindi capire meglio anche le mosse degli altri attori sullo scacchiere asiatico, a partire dai “vicini di casa” dell’isola, ossia la Repubblica Popolare Cinese (RPC).

Com’è noto a chi ha un minimo di dimestichezza con la storia politica taiwanese,  la principale contrapposizione politica del Paese, a livello di partiti ed elettori, è quella tra i fautori di una maggior cooperazione (se non una vera e propria unificazione politica) tra Taiwan e Cina popolare, e coloro che vorrebbero una maggiore distanza politica (se non una vera e propria indipendenza formale) tra il governo di Taipei e quello di Pechino, con tutte le possibili sfumature in mezzo – chiunque volesse approfondire velocemente può trovare un breve articolo cliccando su questo link. Ciò nonostante, come per qualsiasi elettore in un sistema democratico, svariati fattori contribuiscono a determinare gli orientamenti politici dei taiwanesi, e quindi la scelta per un candidato o una delle parti politiche in campo può variare a seconda del contesto o altre questioni. La valutazione dei candidati, specialmente per le elezioni presidenziali, rappresenta una di queste.

I tre candidati alla Presidenza di Taiwan sono stati presentati in vari articoli di questa rubrica, ma per chiarezza e comprendere meglio i dati di sondaggio presentati più in basso, possiamo dedicare alcune righe ai loro profili. Da una parte abbiamo il Presidente uscente, Tsai Ing-wen, del partito democratico progressista (DPP), mentre dall’altra abbiamo il sindaco di Kaohsiung Han Kuo-yu, del partito nazionalista cinese (KMT), e infine James Soong, del People’s First Party (PFP).
Primo presidente donna e primo presidente del DPP con una maggioranza parlamentare a proprio sostegno, Tsai ha governato negli ultimi quattro anni con indici di gradimento piuttosto bassi – un andamento, va sottolineato, che ha caratterizzato praticamente tutte le amministrazioni taiwanesi. Dopo la sconfitta alle elezioni amministrative del 2018 e le dimissioni da segretario del DPP, la carriera politica di Tsai sembrava segnata. Tuttavia, come è possibile vedere nel grafico interattivo qui in basso, l’attuale Presidente è stata protagonista nell’ultimo anno di una rimonta nei sondaggi tale da proiettarla con un certo margine di sicurezza verso un secondo mandato.
Il principale competitor del Presidente uscente, è invece un volto (relativamente) nuovo del KMT, ossia il sindaco di Kaohsiung, Han Kuo-yu. Ex parlamentare tra il 1993 e il 2002, Han è arrivato alle luci della ribalta strappando la seconda città più importante dell’isola al DPP,  ed è stato considerato uno dei leader che hanno consentito al KMT la vittoria elettorale alle amministrative del 2018. Nel luglio scorso, poi, ha sbaragliato gli altri potenziali candidati del Kuomintang nelle primarie per la corsa alle presidenziali, ma ciò nonostante i sondaggi sono piuttosto unanimi nel considerarlo destinato ad una rovinosa sconfitta alle prossime elezioni.
Soong Chu-yu, il terzo candidato, è invece un volto noto della politica taiwanese. Segretario del premier Chiang Ching-kuo (figlio di Chiang Kai-shek, divenuto poi presidente della repubblica), Soong è un ex leader del KMT, alla quarta candidatura alla presidenza – e una vittoria sfiorata nel 2000. Rappresenta la candidatura più esplicitamente pro-cinese e anti-indipendentista tra quelle in campo, ma rimane un politico relativamente moderato. Non avendo alcuna chance di vittoria, l’arrivo di Soong sulla scena a compagna elettorale già inoltrata potrebbe essere visto sia come una semplice corsa a sostegno dei candidati del suo partito alle concomitanti elezioni legislative, che come il tentativo di recuperare parte dei voti persi da Han e decretarne così la definitiva uscita di scena, aprendo nuovi scenari per le prossime elezioni presidenziali del 2024.

I dati
Passando ai dati, e stimando l’intervallo nel quale potrebbero cadere le percentuali dei tre candidati sulla base dei sondaggi a disposizione, i voti di Tsai dovrebbero attestarsi al 50% (oscillando tra il 55.7% e il 45%), mentre quelli di Han al 18.6% (oscillando tra il 23.2% e il 14%) e infine quelli di Soong intorno al 7.6% dei voti. Fatti salvi possibili stravolgimenti delle ultime ore, quello che impressiona guardando i dati è, primo, il distacco tra Tsai e Han e, secondo, l’andamento e la precisione delle stime di voto.
Per quanto riguarda il primo punto, nello scenario più competitivo il candidato del KMT si troverebbe a poco più di 20 punti percentuali dal candidato del DPP, mentre nello scenario meno competitivo la distanza sarebbe di 40 punti. Un distacco comparabile solo a quello dalle elezioni del 1996, quando il candidato del KMT, Lee Teng-hui, prese il 54% contro il 21.1% dello sfidante del DPP,  Peng ming-min. Ma a parti invertite.
Per quanto riguarda il secondo punto, ossia l’andamento dei sondaggi e la precisione delle stime, senza andare troppo nei dettagli dell’analisi statistica, le curve del grafico sintetizzano in maniera piuttosto efficace i punti legati ai primi due candidati (ossia, i risultati dei sondaggi). Tuttavia, isolando sul grafico interattivo i dati relativi ai singoli candidati, è possibile notare come la curva di regressione di Han segua un andamento pressoché lineare a partire da marzo 2019 e come le bande colorate intorno ad essa (ossia, il margine di errore della stima) siano meno spesse di quelle di Tsai o Soong.

La rimonta di Tsai
I sondaggi a disposizione non offrono altre variabili per tentare di spiegare questi risultati con ipotesi più precise, ma è comunque possibile abbozzare alcune interpretazioni. 
Tsai ha guidato negli ultimi quattro anni un paese sempre più boicottato dalla Cina comunista – come sottolineato in svariati articoli pubblicati su Taiwan Spotlight o in altre rubriche del nostro sito. Questo ha portato all’esclusione di Taiwan da vari consessi internazionali ai quali aveva partecipato durante la precedente amministrazione, e ha determinato la perdita di alcuni dei già esigui alleati diplomatici dell’isola. Inoltre, è probabile nel passato recente alcune riforme portate dall’amministrazione Tsai avessero alienato parte dei suoi elettori. Si pensi alla riforma delle pensioni, che solitamente equivale a toccare i cavi dell’alta tensione politicamente parlando (specialmente in paesi con un’età media piuttosto elevata come Taiwan), o alla legalizzazione dei matrimoni per le coppie omosessuali che ha portato a una forte polarizzazione dell’opinione pubblica taiwanese, soprattutto dopo la sua approvazione nonostante una sconfitta referendaria. Come ha fatto, quindi, Tsai a ri-mobilitare il suo elettorato?
Per partire dall’ultimo punto, si può intanto immaginare che la legalizzazione dei matrimoni gay sia stata comunque una riforma dall’alto valore simbolico. Taiwan, grazie ad essa, è divenuto l’unico paese estremo-orientale a riconoscere ad oggi i diritti delle coppie LGBT, e questo ha portato un forte appoggio da parte dell’opinione pubblica internazionale, riverberatosi anche nel dibattito pubblico taiwanese. È probabile, poi, che questo abbia garantito e garantisca a Tsai l’appoggio di buona parte dell’elettorato più giovane del paese e della minoranza gay del paese, ma, visti i numeri della rimonta, è comunque difficile sostenere che questa riforma abbia mobilitato un numero così elevato di elettori del DPP. Forse la risposta, allora, va cercata in vari fattori concomitanti, che hanno reso la figura di Tsai progressivamente meno sgradita ai propri elettori. Intanto, nonostante l’ostracismo cinese, la proiezione internazionale de facto dell’isola è rimasta intatta e Tsai ha potuto godere di un continuo appoggio politico (implicito) e militare (molto più esplicito) da parte degli Stati Uniti di Trump. Inoltre, il candidato del DPP ha difeso l’economica del paese che, seppur con risultati relativamente tiepidi, ha comunque continuato a crescere, sia guardando a variabili come il PIL o ad altre come l’arrivo di investimenti economici dall’estero. Tutti fattori che hanno consentito a Tsai la possibilità di portare avanti svariate riforme economiche, come il  taglio delle tasse per i ceti meno abbienti. In altre parole, è possibile che alcuni elettori DPP abbiano semplicemente rivalutato l’operato di Tsai. Ma è ancora più probabile che il grosso dei voti sia ritornato da tutti quegli elettori che, confrontandosi con l’ipotesi di ritrovarsi come presidente il candidato del KMT, Han kuo-yu, hanno deciso di appoggiare nuovamente il presidente in carica. 

Il fattore Han
Han è un personaggio che plausibilmente è riuscito a lasciare interdetti anche gli stessi elettori del KMT. Han infatti ha stravolto la retorica politica del partito, ma anche il profilo tipico dei candidati del KMT – il più delle persone abbienti, dell’alta società taiwanese, altamente istruite. Presentandosi come il candidato del popolo e concentrandosi su una retorica che potremmo definire populista o qualunquista, Han ha impostato la sua campagna elettorale sull’attacco alle élite politiche del paese (comprese quelle del suo stesso partito), considerate non in grado di capire i bisogni delle persone comuni, e sulla promessa di una maggior ricchezza e sicurezza per i taiwanesi. Questa strategia è sembrata vincente per buona parte del 2018. Tuttavia, il fatto che Han abbia perso inesorabilmente terreno non appena la sua candidatura alla presidenza è diventata qualcosa di più di una semplice ipotesi, rende plausibile l’ipotesi che forse alcuni commentatori si erano sbilanciati troppo nel ritenere Han una minaccia per Tsai o comunque un leader in grado di trascinare tutto il KMT e il suo elettorato. Alcuni commentatori hanno, per esempio, sostenuto che la vittoria del KMT alle amministrative 2018 fosse stata in buona parte merito di Han. Tuttavia, si trattava probabilmente di una visione piuttosto parziale, poiché attribuire a delle dinamiche locali un valore nazionale è un salto logico che piace molto  a commentatori e opinionisti, ma che spesso si rivela erroneo o, nella migliore delle ipotesi, una semplificazione eccessiva. È poi probabile che la retorica dell’uomo qualunque contro le élite abbia esaurito il suo potenziale quando Han è stato messo di fronte alla necessità di formulare delle proposte che andassero oltre a delle banali metafore.
In sintesi, è possibile che queste elezioni siano state segnate dal “fattore Han”. Un fattore in grado, da una parte, di ri-mobilitare gli elettori del DPP e, dall’altro, di smobilitare una parte consistente degli elettori del Kuomintang. 

L’impatto delle vicende di Hong Kong
Un’ultima variabile da considerare sono le vicende di Hong Kong degli ultimi mesi. Il collegamento tra queste e la principale contrapposizione politica del paese è, a livello concettuale, evidente. Tanto è evidente che, per esempio, sempre Han, durante la campagna elettorale, ha dovuto chiarire pubblicamente la sua posizione sulla questione, sottolineando come la formula “
one country, two systems”, che caratterizza ufficialmente il rapporto tra Hong Kong e Pechino e che Pechino ritiene possa essere applicata anche alla prospettiva di una riunificazione tra Taiwan e Cina popolare, non fosse una strada accettabile – posizione, va sottolineato, condivisa anche da Soong e, chiaramente, da Tsai.
Ciò nonostante, quanto queste vicende abbiano influenzato le scelte di voto dei taiwanesi rimane una questione aperta che senza dati più raffinati rimane piuttosto difficile da analizzare. Facendo affidamento solo ai dati di sondaggio, l’ipotesi che le vicende di Hong Kong abbiano influenzato le preferenze di voto degli intervistati appare plausibile, ma come effetto di rinforzo di dinamiche pre-esistenti. L’andamento delle stime è rimasto piuttosto costante lungo tutto il periodo considerato; se nel grafico si tirasse una linea per ogni candidato, di modo da sintetizzare al meglio i risultati dei sondaggi disponibili, queste linee sarebbero in grado di sintetizzare in maniera efficace i punti sul grafico. Tuttavia, nel grafico interattivo sono state inserite delle rette verticali tratteggiate, che corrispondono ad alcuni degli eventi più importanti delle vicende hongkongesi e, come si può vedere, le curve si trovano ad una altezza decisamente maggiore rispetto ai dati antecedenti.
In sintesi: è possibile ipotizzare che se queste elezioni hanno subito l’effetto delle vicende di Hong Kong, questo sia stato più un elemento di rinforzo di dinamiche già visibili (ossia la crescita di Tsai e la decrescita di Han) che non un elemento in grado di capovolgere i fronti. Per avere stime piu’ precise del possibile effetto delle vicende hongkongesi, a parte altre variabili, ci sarebbe stato bisogno di piu’ dati durante gli eventi di Hong Kong, non solo prima e dopo, ma purtroppo i dati a disposizione sono quel che sono.

L’incognita delle elezioni legislative
In conclusione, la partita per la presidenza di Taiwan appare segnata. È molto verosimile che il presidente uscente venga riconfermato ed appare altrettanto verosimile che questo avvenga con un margine piuttosto importante sugli altri candidati.
Ciò detto, sabato prossimo i taiwanesi saranno chiamati a votare non solo per la presidenza della repubblica, ma anche per i propri rappresentanti parlamentari. Qui la partita potrebbe essere più aperta. I sondaggi pre-elettorali dedicati al voto legislativo verranno affrontati in un secondo articolo, ma in estrema sintesi, il rischio maggiore per Tsai ing-wen potrebbe essere quello di ritrovarsi senza una maggioranza parlamentare a proprio sostegno. Il distacco tra DPP e KMT a livello nazionale appare meno incolmabile di quello per il voto presidenziale e questo potrebbe avere già di per sé delle conseguenze sui risultati del voto legislativo. Inoltre, il sistema elettorale taiwanese è un sistema misto, la cui componente più importante (in altre parole, il meccanismo che assegna più seggi) consiste in un sistema maggioritario “secco” (plurality) basato su collegi uninominali, ossia un sistema nel quale ogni seggio viene attribuito al candidato che ha ottenuto più voti nel proprio collegio elettorale. Un fattore che aggiunge ulteriore incertezza alle già difficili previsioni per il voto parlamentare di sabato prossimo.

 

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