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TematicheMedio Oriente e Nord AfricaL’Accordo Sykes-Picot compie 100 anni, nonostante il Daesh

L’Accordo Sykes-Picot compie 100 anni, nonostante il Daesh

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Il 23 maggio 1916, attraverso uno scambio di note diplomatiche, Gran Bretagna e Francia, con l’avvallo della Russia zarista, siglavano un accordo destinato a diventare la pietra angolare dell’assetto geopolitico del Medio Oriente contemporaneo. Discusso e concluso a guerra mondiale ancora in corso, esso delimitava le sfere d’influenza delle tre grandi Potenze alleate nei territori mediorientali dell’Impero Ottomano, oramai avviato al suo tramonto, sancendo, al contempo, la fine della “Questione d’Oriente” e la nascita della questione mediorientale. A distanza di un secolo, l’irruzione del Daesh sulla scena regionale sembra però avere posto le premesse per il mutamento della geografia politica mediorientale.

1916: nasce il Medio Oriente

Stipulato segretamente al culmine del Primo conflitto mondiale tra Gran Bretagna e Francia (poi allargato alla Russia zarista), l’Accordo Sykes-Picot (1916) già nella dicitura ufficiale britannica, Tripartite (Sykes-Picot) Agreement for the Partition of the Ottoman Empire: Britain, France and Russia, rivelava gli scopi per il quale era stato concepito: la spartizione dei territori ad est di Suez, allora inclusi nell’Impero Ottomano. Esso ebbe un’influenza decisiva sugli sviluppi della fase finale della cosiddetta “Questione d’Oriente” (le vicissitudini legate ai destini ottomani) e quindi sul sorgere di quella che allora fu una nuova realtà geo-politica: il Medio Oriente attuale. L’Accordo, conosciuto più semplicemente attraverso i nomi dei due diplomatici che ne furono i principali artefici, l’inglese Sir Mark Sykes e il francese Francois-Georges Picot, può essere letto come uno spartiacque nella storia del mondo arabo moderno, e più in generale islamico. I suoi effetti, (geo)politici, economici e religiosi, condizionano tutt’ora il Medio Oriente e per riflesso i rapporti di questo con la realtà geopolitica che viene sommariamente definita “Occidente”. Come ha infatti scritto lo storico inglese Christopher Catherwood, nel suo saggio La follia di Churchill. L’invenzione dell’Iraq (ed. it., 2005), l’Accordo: << acquisì una pessima fama: nell’immaginario arabo prese a rappresentare il feroce e malvagio disegno occidentale di imporre i mali del colonialismo ai liberi popoli del mondo arabo […] >> .

Le radici del presente

Nella pubblicistica europea ottocentesca l’Impero Ottomano aveva cominciato ad essere soprannominato “il grande malato” (espressione coniata nel 1853 dallo Zar Nicola I). L’agonia di un impero secolare, che aveva riunito l’ecumene islamica sunnita in un’unica compagine (il Califfato ottomano di Costantinopoli [Istanbul]), fu assai lunga e dolorosa per i popoli che ne furono interessati, a cominciare dai turchi, traumaticamente spogliati dell’antica grandezza imperiale. Quella che, fino a quel momento, dalla diplomazia, era stata chiamata “Questione d’Oriente” divenne ben presto, per effetto di una translatio geopolitica indotta dalle grandi Potenze europee, la (nuova) questione mediorientale. Dopo l’Accordo Sykes-Picot, essa fu discussa più nei dettagli, ovvero nei suoi aspetti politici, dagli inglesi, oramai padroni pressoché incontrastati dei territori da Suez all’India, alla Conferenza del Cairo del 1921. A Losanna, durante i negoziati per il Trattato di pace con l’erede diretta dello Stato ottomano, la Turchia (1923), Londra, insieme alle altre Potenze, affrontò anche quelli economici (petrolio compreso). Alla Conferenza internazionale di Sanremo (1920), gli Stati vincitori del Primo conflitto mondiale avevano già provveduto a creare uno strumento giuridico su misura, il Mandato internazionale (della Società delle Nazioni), che sancì, secondo il “diritto internazionale”, il dominio occidentale su quella parte di ex Impero Ottomano: alla Francia fu affidata la neonata Siria (che all’epoca includeva il Libano), mentre la Gran Bretagna ottenne l’Iraq, la Transgiordania (attuale Giordania) e la Palestina (compreso l’odierno Stato di Israele). Venivano così poste radici da cui sarebbero scaturiti avvenimenti che nei decenni seguenti avrebbero sconvolto l’intera regione. Fu infatti a partire dall’Accordo Sykes-Picot che fecero il loro ingresso nell’agone diplomatico internazionale la questione araba  e sionista (“Dichiarazione Balfour” del 1917, con la quale la Gran Bretagna si impegnava a sostenere la creazione di un focolaio nazionale ebraico nel Mandato di Palestina, nucleo del futuro Stato di Israele), i cui sviluppi, successivamente intrecciatisi, hanno dato origine alle attuali questioni arabo-israeliana e israelo-palestinese, alle quali si lega la non meno importante questione dei Luoghi Santi (di Gersualemme) che ha interessato, e continua a interessare, le cosiddette tre grandi religioni monoteiste: Islam, Ebraismo e Cristianesimo.

Fine del Sykes-Picot?

All’Accordo Sykes-Picot vanno inoltre ricondotte due tematiche non secondarie: quella petrolifera e quella concernente l’unità del mondo islamico (arabo)sunnita dopo la fine del Califfato ottomano (1924/1342 H). Temi di strettissima attualità, soprattutto a seguito dei recenti interventi militari occidentali in Afghanistan (2001) e Iraq (2003), dei sommovimenti politici che hanno interessato il mondo arabo sunnita noti alla cronaca come “primavere arabe” e, da ultimo, l’insorgere (2014) del movimento islamista rappresentato dal cosiddetto “Stato Islamico”, o ISIL (Islamic State in Iraq and the Levant), oppure ISIS  (Islamic State in Iraq and Syria), conosciuto anche come Daesh (Da ‘ish), il quale ha fatto della restaurazione del “Califfato” islamico il suo primo obiettivo politico-ideologico. Lungo questa falsariga, quella che si sta consumando oggi in Siria e in Iraq potrebbe rappresentare la prima grande guerra regionale (almeno fino ad oggi, combattuta “per procura”) tra le principali “Potenze” locali: Arabia Saudita, Iran, Turchia e Qatar (quest’ultima più una Potenza di natura finanziaria che militare). La posta in palio sarebbe rappresentata dalla ridefinizione degli equilibri geopolitici (relativi in parte anche alla contrapposizione religiosa tra sunniti e sciiti) e geo-economici (controllo del prezzo del greggio al barile) mediorientali, ruotanti, principalmente, intorno a due Stati nati dal Sykes-Picot: Siria (governata dagli Alawiti, ramo eterodosso, generalmente, incluso nella grande famiglia sciita) e Iraq (nel quale è pure presente una forte componente di sciiti).

Dal Cairo a Vienna

Nel corso della Conferenza del Cairo del 1921, presieduta da un giovane Winston Churchill, allora Segretario alle Colonie di Sua Maestà britannica, fu delineato ex nihilo lo Stato iracheno al solo fine, secondo un aneddoto ancora in voga, di unire due vasti bacini petroliferi: quello curdo, a nord, e quello meridionale, popolato da sciiti. Per quasi cento anni l’Accordo Sykes-Picot ha, così, rappresentato la pietra angolare degli equilibri mediorientali, resistendo a rivoluzioni, insurrezioni, colpi di stato, crisi petrolifere e guerre. Oggi, con l’irrompere sulla scena del Daesh, siamo forse di fronte alla fine dei suoi presupposti geopolitici e geo-economici? La risposta a tale quesito non sembra dipendere unicamente dalle sorti cui andrà incontro il “Califfato”, bensì  anche dall’esisto che potrà avere la disputa tra lo Stato che sembra aspirare ad essere la Potenza egemone nel mondo arabo sunnita, il Regno dell’Arabia Saudita, e quello che, de facto, appare la Potenza protettrice degli sciiti, la Repubblica Islamica dell’Iran. Nei prossimi anni si assisterà, dunque, al mutamento della geografia politica mediorientale? I negoziati attualmente in corso a Vienna  per la Siria e il Medio Oriente in generale appaiono, al pari della Conferenza del Cairo del ‘21, una tappa cruciale in tal senso, tanto che secondo alcuni commentatori, essi, per la potenziale portata dei loro effetti sulla regione mediorientale, vengono paragonati al Congresso di Vienna del 1815, che ridefinì l’intero sistema europeo, dopo lo sconvolgimento della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche.

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