Domenica 22 dicembre andrà in scena, alle ore 17.45 italiane e 19.45 ore locali, la finale di Supercoppa italiana tra Lazio e Juventus.
Finale che, per il secondo anno consecutivo, si giocherà in Arabia Saudita, nelle more di un accordo tra la Lega Serie A e l’autorità sportiva saudita che prevede tre finali da giocare nel paese arabo nel quinquennio 2018-2023. Lo scorso anno Juventus – Milan si è giocata a Gedda, quest’anno la finale si giocherà a Riad, capitale politica del Regno, e teatro del nuovo corso intrapreso dal paese, rappresentato nella persona del Principe Mohammad bin Salman, MBS, il rampollo saudita dai visionari progetti economici che mirano a rilanciare nello scacchiere internazionale la petrol-monarchia più famosa del mondo.
Un progetto visionario, dal nome evocativo: «Vision 2030» ambizioso piano, annunciato proprio da bin Salman a fine 2016, che punta a diversificare l’economia saudita, a ridurre la dipendenza dal petrolio e a incrementare gli investimenti privati. Un progetto sicuramente non semplice da realizzare, in quanto porterà inevitabilmente al superamento dello status di “rentier state” tramite l’implementazione di nuove forme di tassazione, rischiando di minare la pace sociale tra i cittadini sauditi e le proprie istituzioni, che ad oggi si è basata sull’assunto «no taxation, no representation», ma con l’ambizioso obiettivo di modernizzare l’economia del Regno e renderla attrattiva per i mercati internazionali.
La totale dipendenza dall’esportazione del petrolio ha causato infatti diversi danni all’economia saudita, e la nuova politica economica, in grado di diversificare le entrate fiscali per il regno, è un’esigenza di interesse nazionale. Durante il triennio 2014-2017, con il calo drastico del prezzo del greggio, le entrate fiscali derivanti dalla vendita del petrolio sono diminuite in maniera consistente, e non sono state accompagnate da una riduzione della spesa pubblica, rimasta elevata (su una media di 40 miliardi di dollari) per poter permettere il pagamento degli stipendi pubblici, che costituiscono il 50% delle uscite.
Questo perché l’Arabia Saudita è da considerarsi a tutti gli effetti un «rentier state», cioè uno “stato distributivo” che si occupa di raccogliere le entrate fiscali derivanti dall’esportazione e distribuirle ai propri cittadini. Il radicarsi di tale fenomeno economico, nella storia recente del paese, ha comportato da una parte il trascurare la creazione di un apparato amministrativo e fiscale efficiente, e dall’altra di annullare qualsiasi richiesta di rappresentanza da parte della popolazione interna. Il grande deficit fiscale (arrivato nel 2016 ad assumere il valore negativo del 16%) causato dalla riduzione del prezzo del petrolio, ha però spinto le istituzioni saudite a cambiare la propria politica economica, e in questo contesto nasce “Vision 2030”.
Di pari passo con i piani economici sono state previste diverse riforme su un piano sociale, che mirano ad ammorbidire l’austera reputazione dell’Arabia Saudita: il progetto vuole portare nel paese «un Islam tollerante e moderato, aperto al mondo e a tutte le religioni», e ha previsto il permesso alle donne di guidare, la riapertura dei cinema, e diverse concessioni nel rapporto tra uomini e donne nel luogo di lavoro.
Le riforme però, annunciate in tutti i consessi internazionali da MBS, si sono scontrate con una società fortemente conservatrice: in Arabia Saudita, infatti, vige il credo dominante del wahabismo, particolare movimento di riforma islamico nato in seno del sunnismo hanbalita, caratterizzato dall’ortodossia e dal pensiero ultra conservatore. Per questo il processo di riforme è fortemente osteggiato da diversi strati della società, e le proteste dei conservatori rallentano o impediscono la reale attuazione delle nuove norme.
Tornando nelle conclusioni alla partita di domenica, sono diverse le polemiche sorte a proposito della scelta della sede. Lo scorso anno, in occasione della finale giocatasi a Gedda, vi furono importanti manifestazioni contro la decisione del governo saudita di permettere alle donne di recarsi allo stadio per assistere alla finale solo in specifici settori. Inoltre l’efferato omicidio del giornalista saudita Khashoggi, che diverse inchieste collegano ai più alti settori degli apparati e delle istituzioni del paese, aumenta il peso delle polemiche su quanto sia moralmente corretto svolgere la finale di una competizione italiana in Arabia Saudita. Pochi giorni fa, la moglie del giornalista ucciso, invitata in Senato per una conferenza, ha affermato chiaramente di ritenere uno scandalo l’idea che il calcio italiano possa essere utilizzato per sostenere l’Arabia Saudita. Dello stesso tenore le accuse di Amnesty, che tirano in ballo il fenomeno dello sportswashing, cioè l’ospitare un evento sportivo in maniera strumentale, con il fine di migliorare la reputazione di un Paese.
Amnesty fa notare che “solo nel 2019, oltre all’ultima e alla prossima edizione della Supercoppa di serie A, il paese ha ospitato un gran premio automobilistico di Formula E, la rivincita tra Anthony Joshua e Andy Ruiz Jr per il titolo di campione del mondo di pugilato, categoria pesi massimi versioni WBA, IBF, WBO e IBO, la finale tra Fognini e Medvedev della Tennis Cup Diriyah. Nel 2020 si aggiungerà agli eventi sportivi anche il giro ciclistico dell’Arabia Saudita”.
Per Amnesty sono due le motivazioni che favoriscono tale fenomeno:
- Da una parte l’enorme quantità di denaro disponibile per organizzare eventi;
- Dall’altra il prevalere dell’antica idea che “lo sport non deve mescolarsi con la politica”
Nel 2016, non a caso e di pari passo con il processo di riforme, Mohammed bin Salman ha ordinato all’Autorità sportiva generale del regno (l’ente governativo responsabile dello sviluppo degli sport in Arabia Saudita) di istituire un fondo, denominato “Sports Development Fund”, per sostenere il comparto sport nel paese e soprattutto per organizzare eventi internazionali e per ospitarne altrettanti.
Una semplice partita di calcio quindi, che rientra in una strategia di lungo termine del regno saudita: un esempio di come l’ambito di manovra di uno stato possa passare anche all’interno di una cornice pop, che rappresenta per questo un veicolo potentissimo di soft power. Il dossier Khashoggi ha rappresentato un grande intoppo per il piano di MBS di accreditamento del nuovo volto dell’Arabia Saudita nelle sedi internazionali, ed eventi come quello di domenica hanno certamente l’obiettivo di migliorare la percezione del paese.