Lo scorso primo di aprile si è tenuto, in video conferenza, il 23º summit tra Unione Europea e Repubblica Popolare Cinese, il primo dopo circa due anni.
I temi trattati durante il summit
I temi sul tavolo della discussione sono stati il clima, la sicurezza alimentare ed energetica, la lotta alla pandemia, diritti umani, il commercio internazionale e, soprattutto, la guerra in Ucraina.
Per quanto riguarda il clima, la lotta alla pandemia, la sicurezza alimentare ed energetica, i leader europei e cinesi (la mattina il dialogo è stato tenuto dal premier Li Keqiang, mentre il pomeriggio è stato il turno del Presidente Xi Jinping) hanno trovato un terreno comune per un dialogo positivo. In merito al clima, seppur con mille complicazioni e difficoltà, la Cina ha da almeno un paio di anni riconosciuto l’importanza dell’ambiente: una delle “tre dure battaglie” che deve affrontare la Cina, come individuate nel 2018 dalla sua dirigenza, è proprio l’inquinamento. Rispetto alla pandemia, invece, la Cina sta vivendo un’ondata di Omicron che ha forzato le autorità a chiusure in molteplici località come Shanghai, mettendo in discussione l’efficacia della zero covid policy cinese e in pericolo la ripresa economica.
Nonostante un’intesa su tematiche di notevole importanza, come ambiente e covid, e una timida apertura sul fronte dei diritti umani, hanno però tenuto banco le questioni su cui le due parti si trovano in disaccordo, fra tutte la guerra in Ucraina. Le divergenze hanno persino impedito il rilascio di un comunicato congiunto.
In merito alla guerra in Ucraina, i leader europei, da un lato, hanno invitato Pechino ad assumere un ruolo più attivo nel favorire la cessazione dell’offensiva militare, in particolare facendo pressioni sul presidente russo Putin, considerati gli speciali rapporti tra i due paesi e leader. Dall’altro, hanno avvertito la Cina di non interferire con le sanzioni e di evitare ogni sostengo alla Russia nel conflitto ucraino.
I cinesi, dal canto loro, pur manifestando un generico supporto all’Unione Europea nella risoluzione del conflitto, hanno ribadito – così mantenendo una vicinanza ideologica alla Russia – che le cause del conflitto sono da ricercarsi nel passato più o meno recente europeo e che la soluzione deve tener conto delle “legittime preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti del conflitto”.
Se gli interessi e le aspettative dell’Unione Europea, in questo summit, erano focalizzati sul conflitto ucraino, quelli della leadership cinese, invece, erano concentrati sui rapporti commerciali e gli investimenti, incrinati, da una parte, dalle sanzioni reciproche (legate alla questione della repressione delle minoranze uigure nello Xinjiang da parte di Pechino) che nel 2021 hanno condotto allo stop del Comprehensive Agreement on Investment (CAI), dall’altra dalle tensioni con la Lituania scaturite dall’apertura a Vilnius di un ufficio di rappresentanza di Taiwan.
Gli interessi cinesi
La Cina sta affrontando una complicata situazione in cui è chiamata a mantenere un instabile equilibrio tra il proprio “partner strategico”, ovvero la Russia, e uno dei suoi principali partner commerciali, vale a dire l’Unione Europa.
La Cina vede nella Russia un partner naturale per controbilanciare la potenza e influenza degli Stati Uniti, oltre che una fonte di risorse energetiche (in particolare il gas) da cui “abbeverarsi” per soddisfare la propria sete energetica, riducendo la dipendenza dall’inquinante carbone (si ricordi la lotta all’inquinamento tra le “dure battaglie” menzionate prima), Le relazioni con Mosca, quindi, sono importanti per Pechino sia per ragioni energetiche che politiche.
La leadership cinese, tuttavia, in questo periodo ha interesse a ricucire il rapporto con gli europei e la ragione principale si trova nella difficoltà di Pechino nell’attuare la strategia della cosiddetta “doppia circolazione”, ossia lo stimolo dell’interscambio con l’estero e dei consumi interni per ridurre la dipendenza dagli investimenti pubblici per far crescere l’economia cinese. Questi ultimi, infatti, se per anni hanno servito a far crescere l’economia cinese ammodernando le sue infrastrutture, hanno nondimeno determinato un aumento del debito e rischiano di non essere più sostenibili nel lungo periodo. Questa è la seconda delle “tre dure battaglie” della Cina: la prevenzione del rischio fiscale.
Se la crescita cinese, in passato, si era basata principalmente su due fattori: interscambio con l’estero (in particolare fino al 2008-2009) e investimenti pubblici, soprattutto in infrastrutture (a partire dalla crisi finanziaria globale), dal 2014 la dirigenza cinese, nel contesto della nuova strategia economica definita “new normal”, individua nei consumi e nella domanda interna (oltre ai servizi e allo sviluppo tecnologico) un ulteriore motore su cui basare la crescita del paese. Tale strategia è stata rinnovata nel 2020 da Xi Jinping, ma le draconiane misure anti-Covid, oltre a riforme sociali ancora incomplete, hanno ostacolato la crescita dei consumi interni.
Considerato, quindi, che la domanda interna non potrà più di tanto contribuire a sostenere la crescita (fissata quest’anno al 5.5%) e che gli investimenti pubblici comportano un aumento del debito, la Cina dovrà puntare sull’interscambio con l’estero. Riallacciare i rapporti e rilanciare il commercio e gli investimenti con l’Unione Europea – pendente ancora la Trade War con gli Stati Uniti – diventa importante per la Cina, ma per farlo, tuttavia, dovrà affrontare numerosi nodi, come la questione dei diritti umani, le sanzioni e i rapporti con la Russia.
Per gli europei, però, sarebbe ingenuo aspettarsi che Pechino comprometta i suoi rapporti strategici con Mosca per rilanciare quelli economici con l’Unione Europea.
Da ultimo, v’è da ricordare che in autunno si terrà il ventesimo Congresso del Partito Comunista cinese dove, ferma la quasi certa riconferma di Xi Jinping, ci sarà comunque un rinnovo della leadership cinese. In quest’ottica, l’interesse di Xi Jinping è verosimilmente quello di potersi occupare delle questioni interne in un contesto di stabilità interna, legata anche alla crescita economica ed esterna.
In conclusione, si può sostenere che la Cina, attualmente, ha un interesse ad una soluzione del conflitto ed a un riavvicinamento all’Unione Europea. Appare, però, un’illusione pensare che ciò possa accadere a scapito dei rapporti con la Russia.