L’annuncio della Casa Bianca sul prossimo incontro dei leader dell’emisfero occidentale, che si terrà a Los Angeles nel mese di giugno, ha riacceso i riflettori sull’approccio dell’amministrazione Biden verso la regione latinoamericana.
Summit of the Americas: background e sviluppi recenti
Il 18 gennaio la Casa Bianca ha annunciato che sarà Los Angeles la città ospitante il prossimo vertice delle Americhe, che avrà luogo a giugno e per il quale è stato scelto il tema “Costruire un futuro sostenibile, resiliente ed equo”. Unica piattaforma istituzionale a raccogliere tutti i Paesi dell’emisfero, il Summit – cui partecipano capi di Stato, ministri degli Esteri, rappresentanti di istituzioni regionali ed internazionali, ma anche CEOs di aziende multinazionali e rappresentanti di NGOs e società civile – arriva quest’anno alla sua nona edizione.
Voluto fortemente dall’amministrazione Clinton, in una fase storica in cui le relazioni interamericane risultavano particolarmente salde, il primo vertice si tenne a Miami nel dicembre 1994. Nella dichiarazione elaborata in quell’occasione, i partecipanti fissarono nella promozione della democrazia, dell’integrazione economica, del libero commercio e dello sviluppo sostenibile i principi fondanti l’iniziativa emisferica. In particolare, il perno centrale del piano d’azione che venne redatto fu la creazione dell’Area di libero scambio delle Americhe (Free Trade Area of the Americas, FTAA), che puntava a riunire tutti gli stati americani all’interno di un unico accordo commerciale entro il 2005.
Tuttavia, nonostante le aspettative ed ambizioni iniziali facessero pensare a una rapida implementazione dell’agenda multilaterale, l’iniziativa statunitense perse rapidamente di vigore. Tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, l’arrivo al potere in molti Paesi della regione di leader di sinistra fortemente critici delle politiche neoliberali implementate negli anni Novanta e ostili – in misura diversa – alle posizioni statunitensi, portò ad una netta cesura con il decennio precedente e ad un cambio di rotta drastico sul tema dell’integrazione emisferica. L’opposizione al FTAA divenne sempre più forte nel corso degli anni e il progetto naufragò definitivamente in occasione dell’ormai celebre Summit di Mar del Plata (Argentina) del novembre 2005, proprio l’anno inizialmente fissato dai leader americani come limite entro il quale il trattato emisferico sarebbe dovuto entrare in vigore. Di fatto, al termine delle convulse giornate del vertice, la dichiarazione finale certificò le divisioni esistenti tra i paesi partecipanti e constatò l’impossibilità di procedere ulteriormente nei negoziati.
Con il progetto del FTAA accantonato e lo stato delle relazioni interamericane in costante peggioramento, i due Summit successivi (Trinidad e Tobago, 2009; Colombia, 2012) non fecero registrare sostanziali passi in avanti nel dialogo tra gli USA e il resto dell’emisfero. Al contrario, le divisioni si acuirono ulteriormente quando i leader dell’Alleanza bolivariana – Chávez, Correa, Morales – protestarono formalmente per l’esclusione di Cuba e minacciarono il boicottaggio dei Summit successivi. Da questo punto di vista, il settimo vertice, tenutosi a Panama City nell’aprile 2015, sembrò segnare un’importante svolta, perlomeno sul piano simbolico. Figlia degli eventi intercorsi dal vertice colombiano del 2012 – la scomparsa di Chávez nel 2013, l’avvio del processo di normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Washington e L’Avana del dicembre 2014 – tale svolta è consistita nella prima storica partecipazione di Cuba al Summit emisferico.
Di fatto, l’inversione di tendenza si è però rivelata effimera. Sebbene l’America Latina non fosse una priorità strategica già per l’amministrazione Obama, con l’arrivo di Donald Trump alla presidenza la regione è scivolata in fondo all’agenda statunitense e le relazioni interamericane sono entrate in una nuova fase di tensioni, alimentati dalle posizioni del presidente USA sul tema dell’immigrazione e della presenza cinese nella regione, ma anche dalle divisioni esistenti tra i leader latinoamericani. Non a caso, l’ottavo Summit emisferico, che ha avuto luogo a Lima nell’aprile del 2018, ha rappresentato il punto più basso nella storia del foro interamericano. Infatti, Trump – coerentemente con l’approccio unilaterale e lo scetticismo verso le istituzioni multilaterali che hanno caratterizzato tutta la sua amministrazione – è stato il primo presidente americano a non prender parte al vertice, che ha conseguentemente perso gran parte del proprio valore, simbolo di un rapporto mai sbocciato tra l’inquilino della Casa Bianca e la regione.
L’arrivo di Biden: tra attese, promesse e timidi segnali di cambiamento
Considerando lo stato delle relazioni interamericane, non sorprende che l’arrivo alla presidenza di Joe Biden abbia suscitato molte attese all’interno dell’emisfero occidentale. In particolare, la promessa di ritornare ad un approccio multilaterale, che coinvolgesse i partner regionali e stabilisse un dialogo maturo tra le parti, ha alimentato grosse aspettative. Attese che sono poi state rafforzate da alcuni passaggi del primo anno di presidenza democratica, come la nomina di funzionari con grande esperienza e conoscenza della regione latinoamericana. Soprattutto, dopo l’annuncio del giugno 2021 sul lancio dell’iniziativa Build Back Better World (B3W) – il progetto elaborato nell’ambito del G7 per rilanciare la sfida alla Belt and Road Initiative (BRI) di Pechino – l’amministrazione Biden ha lasciato intendere di voler coinvolgere da subito la regione, come dimostrato dal viaggio che una delegazione intergovernativa ha compiuto in Colombia, Ecuador, e Panama per gettare le fondamenta del partenariato e ascoltare le esigenze degli alleati locali.
L’annuncio dello scorso gennaio sul prossimo summit interamericano, dunque, sembra essere un ulteriore segnale distensivo da parte del governo statunitense. La scelta di ospitare l’evento, infatti, si inserisce nel tentativo dell’amministrazione Biden di rilanciare la leadership emisferica e, soprattutto, di farlo attraverso il dialogo multilaterale. La strada che porterà al prossimo vertice delle Americhe, tuttavia, non è certo in discesa. Nonostante i segnali incoraggianti, la situazione di incertezza economica e instabilità politica, acuite dalla crisi pandemica, in cui molti Paesi della regione si ritrovano, rende difficile immaginare una repentina inversione di tendenza. La frammentazione e le divisioni tra i leader latinoamericani, inoltre, creeranno non pochi ostacoli alla volontà di dialogo di Washington, costretta a fare i conti con posizioni molto distanti all’interno dell’emisfero sui temi della difesa della democrazia e dei diritti umani, del rilancio economico e del libero commercio, dei rapporti con le potenze extra-regionali come Cina e Russia. Le prossime tornate elettorali in alcuni dei maggiori Paesi della regione (Brasile e Colombia nel 2022, Argentina nel 2023) aggiungono su questo fronte ulteriori incertezze e dubbi sul buon esito delle iniziative statunitensi.
Dunque, se i gesti e l’atteggiamento dell’amministrazione Biden nel corso dell’ultimo anno sembrano indicare un cambiamento di rotta, le politiche attuate e i risultati effettivi sono ancora indecifrabili. In un contesto di crisi della leadership americana e di rapida espansione delle influenze esogene alla regione – specialmente quella cinese, che ha continuato ad aumentare e consolidarsi durante la fase pandemica – le iniziative più o meno simboliche degli Stati Uniti non sono sufficienti per ricostruire i rapporti interamericani. Il Summit che si terrà a Los Angeles offrirà un momento di dialogo e confronto rilevante, ma senza un adeguato percorso di preparazione al vertice e un piano attuativo delle politiche necessarie (in tema di commercio ed investimenti, soprattutto) per rilanciare il ruolo di Washington nell’emisfero, l’evento rischia di trasformarsi in un mero esercizio di stile e retorica.
Carlo Catapano,
Centro Studi Geopolitica.info