La più grave crisi umanitaria dopo la seconda guerra mondiale. Cosi l’ha definita Stephen O’Brien, sottosegretario dell’Onu per gli Affari umanitari. La crisi che mette a rischio la vita di venti milioni di persone coinvolge Yemen, Somalia, Nigeria e Sud Sudan, il più giovane paese del pianeta.
L’occidente ne ha appoggiato l’indipendenza, ma più per calcoli economici legati all’oronero, e non per il sacrosanto principio dell’Autodeterminazione dei popoli. Oggi che il paese è piagato da una guerra fratricida e dalla fame, per assurdo l’ultima speranza è riposta nella provvidenza e in Papa Francesco che ha espresso la volontà di recarsi in Sud Sudan insieme al primate anglicano Welby per una preghiera ecumenica.Ma si tratterebbe di un viaggio difficile, ” stiamo pensando se si può fare, se la situazione è troppo brutta laggiù…” ha affermato Bergoglio. Per ora nessuna data è stata fissata, Francesco però non ha dimenticato la martoriata terra africana e durante il messaggio Urbi et Orbi del 16 aprile scorso, domenica di Pasqua, è tornato a ricordare la carestia e i conflitti che colpiscono l’Africa, assicurando la sua vicinanza.
Al momento gli sforzi diplomatici sono serviti a poco e la popolazione del Sud Sudan tra carestie e guerra civile è allo stremo. Nelle scorse settimane l’Onu ha lanciato l’allarme, nel Corno d’Africa la carestia mette in pericolo la vita di venti milioni di persone e, se per alcune regioni la causa è la siccità, nel Sud Sudan la colpa è della guerra.
La situazione ricorda da vicino quella del Ruanda del 1994, anche in Sud Sudan infatti l’ombra del genocidio minaccia il paese. Il tutto nell’indifferenza della comunità internazionale che a parte l’invio di una delegazione di inviati Onu (giunti sul posto per constatare gli effetti della guerra civile) non ha espresso posizione.
Scuole chiuse, milioni a rischio fame per la carestia, migliaia di profughi in fuga e violenze di massa: questo è il biglietto da visita della regione indipendente dal 2011.
La guerra civile che dilania la giovane democrazia è causata, come accede spesso in Africa, dalle ostilità tra due etnie rivali, nel caso sudanese Dinka e Nuer. Come in altre regioni africane, alcune cause di instabilità provengono dal colonialismo europeo, di confini decisi dalle potenze occidentali e che non tengono conto delle complessità geopolitica dei luoghi, di gestione di risorse e delle differenze tribali. Il Sudan, regione ricchissima di risorse petrolifere (localizzate nel Sud) venne unificato dagli inglesi dopo la seconda guerra mondiale ma le differenze tra il nord mussulmano e il sud a maggioranza cristiano vennero subito a galla. Nel 1983, quando venne imposta la Sharia a tutto il Sudan, le popolazioni cristiane del sud iniziarono a reclamare l’indipendenza, unendosi in un Movimento di liberazione sudanese. La guerra di indipendenza trovò l’appoggio diretto di Uganda ed Etiopia e l’appoggio implicito dell’occidente.
Nel 2011 un referendum sancì l’indipendenza del Sudan del sud, a maggioranza cristiana.
Il paese dall’inizio si trovò davanti l’ostacolo dello scontro etnico, fù per questo e per riappacificare gli animi che il presidente Kiir, di etnia dinka, nominò come vice presidente un esponente dell’etnia nuer, Machar.
La guerra civile divampò nel 2013 quando le due etnie, capeggiate dai soldati fedeli al presidente Kiir e dai ribelli del ex vicepresidente Machar, iniziarono a combattere a causa della rimozione di Machar come vice. Da allora è stata solo guerra civile, con il corollario di orrore che ricorda da vicino il genocidio in Ruanda: esecuzioni sommarie, stupri, epidemie, profughi in fuga.
Anche in Sud Sudan si assiste all’immobilismo dell’occidente, incapace di prendere provvedimenti di fronte all’emergenza umanitaria.
Una tregua al conflitto sudanese fu raggiunta nel 2015 quando fu permesso all’ex vicepresidente Machar di tornare nella capitale Juba e provare a creare un governo di transizione nuovamente insieme a Kiir. Ma durante la scorsa estate la tregua è stata infranta e nuovi scontri si susseguono nel paese.
Oggi, i due esponenti Kiir e Machar continuano a fomentare odio tra le rispettive etnie e la situazione del paese è catastrofica. L’Onu ha minacciato l’embargo per l’acquisto di armi ma è lontano dal prendere una decisione più netta.
Il sud Sudan, ricoperto quasi interamente di foreste equatoriali possiede importanti risorse minerarie e giacimenti petroliferi ma poche infrastrutture, strade e scuole. Confina con l’Uganda, l’Etiopia e la Somalia, paesi che faticosamente cercano di andare avanti tra milizie terroristiche, scontri etnici e fame.
Nei giorni scorsi è stato lanciato l’allarme per la carestia che colpisce il paese e che potrebbe causare la morte per fame di migliaia di persone. Attualmente 5 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere. La carestia è causata dalla siccità e dalla guerra che costringe la gente a fuggire e ad abbandonare campi e bestiame.
A questo c’è da aggiungere la crisi del greggio, unica risorsa del paese ma che non può essere lavorata poiché mancano raffinerie.
Nel paese a maggioranza cristiano, gli ultimi scontri sono avvenuti pochi giorni prima di Pasqua a Wau (nord ovest del paese). 16 civili uccisi e 3000 profughi accolti in una chiesa per fuggire alle esecuzioni sommarie da parte di milizie filo governative. Tra fame e guerra, a correre i pericoli maggiori, come sempre sono i bambini e le donne. Ma a morire di fame, ormai, in Sud Sudan e soprattutto nello stato di Unity, sono tutti. E per non morire, si fugge verso l’Uganda e l’Etiopia.
Gli equilibri geopolitici africani sono sempre in bilico e i fattori di instabilità sembrano essere sempre gli stessi: ex colonizzatori che non hanno rispettato le diversità, tribù perennemente in lotta tra loro, enormi risorse naturali sfruttate da pochi, corruzione dei politici e fame per le popolazioni che, nel caso del Corno d’Africa rischiano di morire di fame nel 2017.