Sempre più circolano grandi aspettative e speculazioni a seguito dell’annuncio di grandi impegni di natura economica da parte di grandi potenze. Nel periodo attuale sono emerse due iniziative poste in essere da Cina e Stati Uniti, che si pongono come obbiettivo quello di aumentare l’efficienza dei traffici commerciali e le opportunità di sviluppo, ed entrambe queste iniziative hanno come epicentro i paesi del Sud-Est Asiatico. Cercheremo di dar conto in cosa consistono e se esse potranno presentare modelli di sviluppo contrapposti o complementari, nel solco della competizione strategica tra Cina e Stati Uniti.
Il progetto di Pechino: la “One-Belt-One-Road” come occasione di sviluppo a guida cinese
Nel 2013, l’appena insediatosi Xi Jinping lanciò due iniziative chiamate “Silk Road Economic Belt” e “Maritime Silk Road”, poi riassunte in “One Belt One Road” o OBOR (一带一路, yi dài yi lù). Silk Road Economic Belt si prefigge lo scopo di costruire una serie di infrastrutture nei Paesi dell’entroterra che collega la Cina all’Europa (da qui l’idea della riscoperta dell’antica Via della Seta), mentre Maritime Silk Road coinvolge i Paesi costieri del Sud-Est Asiatico e dell’Oceano Indiano, da cui passa la quasi totalità delle merci tra Cina ed Europa. Le due iniziative che compongono OBOR sono dunque volte a favorire ed incrementare il commercio tra nazioni e lo sviluppo dei Paesi toccati da tali opere. La progettazione e costruzione di tali opere infrastrutturali (prevalentemente ferrovie, autostrade e porti) prevede forme di finanziamento partecipate da banche Cinesi, in primis la Asian Infrastructural Investment Bank (AIIB) creata prevalentemente per tale scopo, che svolgono il ruolo di finanziatori nei confronti dei Paesi aderenti tali progetti.
Sin dal suo lancio, molto si è discusso circa la portata, gli effetti e lo scopo di tale iniziativa. È da sottolineare come OBOR sia stata disegnata dal governo cinese nel momento di massimo prestigio del Paese in tempi recenti, quando l’impressionante sviluppo economico e la retorica dell’”Ascesa Pacifica” del Dragone rendevano tali iniziative (quantomeno in Europa) accettabili ed auspicabili. In effetti, un “ponte” che colleghi le due estremità del continente eurasiatico avrebbe ridotto i tempi logistici di trasporto delle merci, favorendone l’interscambio e diminuendone i costi, dotando i Paesi coinvolti di una rete infrastrutturale potenzialmente sfruttabile per proprie iniziative di sviluppo domestico. Inoltre, seppur chiaramente finanziata da capitali cinesi, occorre sottolineare come OBOR non si prefigge l’obbiettivo di riscrivere le regole del commercio internazionale, bensì opera all’interno delle medesime regole al fine di favorirne operativamente l’esecuzione.
Dopo quasi dieci anni dal lancio di tale iniziativa, tuttavia, l’entusiasmo per OBOR può dirsi notevolmente ridimensionato, sia in Europa che in Asia, per diversi motivi. Per quanto concerne l’Europa, si registra come i maggiori Paesi europei abbiano adottato un approccio più cauto verso tali offerte, derivante dalla consapevolezza che legare la realizzazione di infrastrutture considerate “critiche” alla Cina avrebbe costituito un potenziale pericolo alla sicurezza nazionale a fronte di limitati vantaggi economici. In Asia, invece, i cui Paesi sono più desiderosi di attrarre tale tipo di investimenti, l’approccio è oscillato tra il timore e l’opportunismo. In sostanza, sebbene si registri tra i paesi dell’ASEAN e il sub-continente indiano un interesse ad attrarre tale tipo di infrastrutture, al momento attuale i possibili recettori di OBOR manifestano cautela alla luce degli effetti di alcune di queste iniziative: l’asimmetria di potere negoziale tra la Cina e alcuni piccoli Paesi ha prodotto casi in cui l’eccessiva onerosità delle clausole contrattuali ha aggravato i problemi economici di questi ultimi (lampante l’esempio dello Sri Lanka). A tal riguardo, è stato osservato come qualora di fatto la Cina fosse creditore di ultima istanza per tali paesi, non è da escludere che questi ultimi siano più proni fare concessioni alla superpotenza, minandone la sovranità quantomeno in campo economico: tale fenomeno è stato definito come debt trap.
Per riassumere, sebbene OBOR rimanga un’iniziativa volta a promuovere lo sviluppo e la cooperazione economica, si può ipotizzare come la mancanza di una gestione efficace di tali investimenti, in uno col timore di interferenze cinesi negli affari interni dei Paesi riceventi ne stiano ostacolando lo sviluppo, almeno sino al momento attuale.
L’IPEF come ostacolo all’OBOR nell’Indo-Pacifico?
Dopo anni in cui l’Amministrazione Trump si era disimpegnata dal promuovere iniziative economiche in Asia (si pensi al ritiro dell’adesione USA al CPTPP) l’Amministrazione Biden ha lanciato una nuova iniziativa, l’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF), che si prefigge come obbiettivo dichiarato quello di promuovere lo sviluppo e la cooperazione economica tra alcuni Paesi della regione. È interessante notare come IPEF ponga enfasi sulla creazione di una cornice di regole comuni tra gli Stati aderenti, che favorisca la crescita di quattro settori: commercio e interscambio di informazioni, sicurezza delle catene logistiche, economia sostenibile e legalità (“Fair Economy”). In sostanza, attraverso un nuovo sistema di regole e standard comuni in diverse aree di sviluppo, IPEF vuole dettare nuovi criteri comuni di accesso ai mercati dei Paesi membri, in particolare agli Stati Uniti. Si può osservare come tale sistema, propedeutico a potenziali accordi commerciali ma non necessariamente limitato a questi ultimi, ponga l’osservanza di regole e standard comuni come prerequisito per future forme di collaborazione economica. In tal senso, per quanto scarno di contenuti, è un utile indicatore per delineare la futura policy di Washington in materia.
Il Sud.Est Asiatico come crocevia tra le due iniziative
Stringendo ancor più la lente verso quello che sarà fulcro dell’economia mondiale nei prossimi anni, i Paesi del Sud-Est asiatico si trovano al centro delle due iniziative: Singapore, Malesia Filippine, Vietnam, Tailandia, Brunei e Indonesia sono sia membri aderenti l’IPEF che possibili snodi della Maritime Silk Road Cinese. Come illustrato, per quanto tali iniziative non siano necessariamente in contrasto tra loro, la sfida per questi Paesi sarà quella di sfruttare al massimo entrambe le opportunità, senza incappare nel rischio di legare la propria economia e spesa pubblica a doppio filo con la Cina, finendo addirittura per adottare politiche che siano in contrasto con i principi di IPEF. Inoltre, per questi Paesi le regole di IPEF potrebbero effettivamente fungere da linee guida nell’ingaggiare la Cina in negoziazioni relative alla realizzazione delle opere infrastrutturali OBOR, mitigandone in ultima istanza i rischi.
Alla luce di questa analisi, appare ancora una volta come la competizione strategica tra USA e Cina possa essere sfruttata dai Paesi emergenti come perno per il proprio interesse nazionale, alla luce di quelli che sono i rischi da essi derivanti. Molto di questo dipenderà sia dall’evoluzione e dall’efficacia di IPEF nel legare agli Stati Uniti molte di queste economie emergenti, sia dall’evoluzione dei rapporti economici e diplomatici cinesi con tali paesi, in un contesto di rapida ripresa post pandemica.