“L’Isola Sospesa. Taiwan e gli equilibri del mondo” edito da Luiss University Press è il primo libro che appare sugli scaffali delle librerie italiane interamente dedicato a Taiwan e alla sua storia. Il volume ricostruisce le storie delle persone che hanno abitato l’isola: dai pirati di Formosa alle proteste del Movimento dei Girasoli, dagli stretti legami con la cultura nipponica al vincolo culturale e affettivo con la cultura cinese, dalla produzione dei preziosi chip di cobalto e silicio allo sviluppo della più avanzata democrazia asiatica fino ai rapporti, sempre più complessi con la Repubblica popolare cinese. La storia complessa e stratificata dell’interazione tra le persone che hanno scelto, spesso costrette dagli eventi, di vivere a Taiwan. Un percorso che delinea l’evoluzione dell’identità nazionale, ossia il momento in cui gli abitanti dell’isola hanno deciso di definirsi taiwanesi, scegliendo come parte integrante della propria identità il sistema democratico. Una dinamica che implica una naturale alterità rispetto alla Repubblica popolare cinese.
Le relazioni nello Stretto di Taiwan sono un elemento cruciale per gli equilibri globali mentre le incursioni cinesi aumentano d’intensità e Taipei ha modificato la coscrizione obbligatoria di leva, portandola da quattro mesi a dodici mesi. Il 26 dicembre 2022 settantuno velivoli dell’aeronautica cinese, tra cui droni ma anche aerei da combattimento, sono entrati nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan. Quarantatré di questi velivoli hanno attraversato la linea mediana dello Stretto di Taiwan, una zona cuscinetto che si trova all’interno della zona di difesa che divide il territorio taiwanese da quello cinese. Si tratta di una divisione non ufficiale, che fino a pochi mesi fa era stata sempre rispettata da entrambi le parti. Le istituzioni taiwanesi sostengono che si è trattato della più grande incursione dell’aviazione cinese fino ad oggi, una dichiarazione che nel 2022 è stata ripetuta incessantemente con gli aerei dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) che di volta in volta fanno registrare numeri sempre maggiori. Si tratta di un aumento quantitativo ma anche nell’intensità, la linea mediana era considerata dagli analisti un confine invalicabile mentre in pochi mesi sia l’opinione pubblica mondiale sia la popolazione di Taiwan si è rapidamente abituata a questo tipo di incursioni. Pechino sta definendo una “nuova normalità” all’interno delle relazioni nello Stretto di Taiwan ma anche la scelta di Taipei di estendere la coscrizione di leva obbligatoria a dodici mesi rappresenta un segnale importante.
Nel 2022 Taiwan ha conquistato l’attenzione dei media mondiali, nell’anno appena concluso l’opinione pubblica internazionale ha imparato a conoscere le dinamiche delle Cross Strait relation, il ruolo cruciale dell’industria dei semiconduttori e la complessa cornice del quadro normativa che definisce le relazioni tra la Repubblica popolare cinese, gli Stati Uniti e il governo taiwanese. Persino le elezioni amministrative nell’isola sono state seguite con grande attenzione ovunque, fino a pochi anni si trattava di un argomento che l’opinione pubblica internazionale considerava secondario. Oggi invece, i destini del mondo sembrano passare anche per le consultazioni elettorali municipali a Taiwan.
La complessa struttura che ha, sino ad ora, garantito le relazioni tra Pechino, Washington e Taipei è basata su una serie di compromessi semantici volutamente lasciati aperti, come la One China Policy. Una condizione che rende l’equilibro nelle relazioni dello Stretto ancora più precario, l’ascesa di Pechino e il disequilibrio dei rapporti di potenza ha un effetto dirompente all’interno di una serie di accordi incentrati su interpretazioni discordanti e talvolta antitetiche. L’intensa risposta militare cinese a fronte di un atto diplomatico, come la visita della Speaker Pelosi, ha allarmato la comunità internazionale e l’opinione pubblica ha evocato una Quarta crisi nello Stretto. La pressione delle Repubblica popolare cinese su Taiwan è gradualmente diminuita nella seconda metà di agosto, e i paragoni storici con le altre crisi sino-taiwanesi sono stati smentiti, ma la retorica di Pechino ha alimentato un forte sentimento nazionalista in Cina. I social media e la blogosfera cinese invocavano azioni belliche e una soluzione definitiva contro la “provincia ribelle”, una dinamica che nello Zhongnanhai – il palazzo del potere a Pechino – non è stata vista di buon occhio. Nel mese di settembre centinaia di siti e blog nazionalistici sono stati chiusi dalla censura e i commenti nei social sono stati accuratamente moderati dal governo. Per la leadership del Partito comunista cinese le derive populistiche sono estremamente pericolose, come già successo con i gruppi maoisti negli scorsi anni la possibilità di tendenze radicali all’interno dell’opinione pubblica cinese rappresentano una minaccia credibile. Ossia venire scavalcati, a desta o a sinistra, da movimenti d’opinione all’interno del paese è uno scenario da evitare a qualsiasi costo.
La retorica è un elemento essenziale di ogni congresso del Partito comunista cinese, Taiwan incombe su tutti i leader cinesi sin dal 1949 e il XX congresso nazionale del Pcc in Xi Jinping ha accentrato tutto il potere politico, oltre ad assicurarsi un terzo storico mandato da Segretario generale, non ha fatto eccezione. Xi nel suo discorso si è espresso in maniera decisa: “Le ruote della storia stanno girando verso la riunificazione della Cina e il ringiovanimento della nazione cinese (…). Continueremo ad adoperarci per una riunificazione pacifica con la massima sincerità e il massimo impegno, ma non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza e ci riserviamo la possibilità di prendere tutte le misure necessarie”. Parole chiare in cui un possibile uso della forza viene esplicitamente menzionato; tuttavia, manca un qualsiasi riferimento temporale per la soluzione della questione taiwanese. In passato la leadership del Pcc aveva espressamente fissato delle date, mentre Xi ha accuratamente evitato di delineare possibili cornici o scadenze temporali. Un segnale che diversi analisti hanno interpretato come un ulteriore segnale della volontà da parte di Pechino di non destabilizzare in maniera eccessiva le relazioni nello Stretto nel medio termine. A differenza di altri scenari, il riferimento immediato è quello dell’Ucraina, una possibile invasione di Taiwan costituirebbe un vero e proprio “punto di non ritorno” per la Cina. Ossia la morfologia dell’isola – con due soli approdi naturali, un territorio prevalentemente montuoso, fiumi non navigabili – congiuntamente all’evoluzione dell’identità taiwanese – con la relativa percezione degli abitanti di Taiwan come entità indipendente e la volontà di difendere la sovranità in caso di attacco militare – sono elementi essenziali per definire le profonde, e irreversibili, implicazioni di un attacco militare. Il valore simbolico di Taiwan per Pechino è oramai evidente, la retorica del Partito comunista cinese insiste da decenni sulla necessità di una unificazione. Un attore che ambisce a diventare l’egemone globale non può permettere l’esistenza di una disputa territoriale aperta. Nel caso di Taiwan per Pechino si tratta dell’ultimo tassello per completare il processo di costruzione dell’identità nazionale cinese iniziato nei primi decenni del Novecento. Il secolo delle umiliazioni coloniali può essere superato, nell’interpretazione del Partito comunista cinese, solo con l’unificazione di Taiwan ma la realtà degli equilibri strategici descrive una Marina cinese ancora impreparata per un’azione di forza sull’isola principale. Un divario che potrebbe venire colmato nei prossimi tre anni, secondi gli analisti, ma per la Rpc le conseguenze di un’invasione di Taiwan sarebbero catastrofiche. L’interconnessione globale è una condizione necessaria per la sopravvivenza dell’economia cinese; il progetto di un mercato interno capace di assorbire l’offerta delle merci prodotte nella Rpc si è rilevata fallimentare, anche a causa delle conseguenze della Zero Covid Policy voluta da Xi Jinping. La sostanziale unità del fronte occidentale nel sostegno dell’Ucraina di fronte all’aggressione russa ha stupito Pechino, secondo la maggior parte degli analisti, e ha soprattutto convinto il Pcc dell’impossibilità di un’azione di forza nei confronti di Taiwan. Mentre sia i policy paper della Casa Bianca sia le dichiarazioni di supporto alla questione taiwanese, ampiamente condivise dall’intero spettro della politica statunitense, hanno evidenziato la difesa di Taiwan come la prerogativa della politica estera di Washington.
Pechino continuerà a ridefinire i confini di una nuova normalità nelle relazioni dello Stretto, dalle incursioni aeree fino a una attività sempre più intensa delle navi commerciali e militari nelle vicinanze delle acque taiwanesi. Mentre Washington vigilerà sulle operazioni dell’Esercito popolare di liberazione, e sulle milizie civili attive nel Mar cinese meridionale, ma anche sulle possibili derive indipendentistiche nella politica taiwanese, a partire dalla campagna elettorale per le presidenziali di gennaio 2024. I confini della convivenza sino taiwanese si modificheranno nel prossimo futuro ma l’unica linea rossa rispetto a un possibile conflitto è rappresentata da bruschi cambiamenti politici interni sia nella Cina, sia a Taiwan. Eventuali crisi sociali nella Rpc potrebbero venir risolte attraverso la proiezione verso un evento esterno capace di catalizzare e unire la popolazione cinese. Mentre all’interno della competizione elettorale taiwanese singoli attori potrebbero usare l’elemento indipendentista come strumento per conquistare consensi. La questione taiwanese è stata definita il “più vitale degli interessi vitali” durante il recente congresso mentre i riferimenti all’unificazione con Taiwan come elemento essenziale per il compimento della missione storica del Pcc – il grande ringiovanimento della nazione cinese – sono onnipresenti. I pericoli da parte cinese sono stati chiaramente delineati: le attività separatiste taiwanesi che lottano per l’indipendenza dell’isola e le interferenze straniere, con un evidente riferimento al sostegno statunitense nei confronti di Taipei. Le conseguenze di una crisi bellica nello Stretto per tutti gli attori coinvolti sembrano tuttavia enormi, la possibilità di un conflitto globale con il coinvolgimento di Australia e Gran Bretagna, o il Giappone, appare credibile. All’interno di questa cornice interpretativa l’invasione di Taiwan appare un evento altamente improbabile nel breve e medio termine; tuttavia, la fotografia del XX Congresso del Partito comunista cinese descrive un paese dove il processo di accentramento del potere sembra oramai irreversibile. La definitiva affermazione del primato della politica nello Zhongnanhai è un elemento di incertezza per il nuovo corso delle relazioni nello Stretto.