Dopo le recenti e sanguinose proteste contro i contingenti della missione ONU in Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO; Mission de l’Organisation des Nations Unies pour la Stabilisation en République Démocratique du Congo), il governo congolese ha richiesto una partenza anticipata dei caschi blu, ponendo la necessità di una revisione del piano di ritiro della missione, il quale prevedeva l’abbandono del paese nel 2024. La MONUSCO è accusata, in particolare, di non riuscire a garantire la sicurezza dei civili, soprattutto nelle regioni orientali del paese. La recente ripresa delle ostilità da parte del gruppo armato M23 (March 23), connessa alle continue violenze da parte degli altri gruppi armati e nonostante la presenza massiccia di caschi blu sul campo, ha di fatto aumentato la frustrazione della società civile nei confronti della missione, ritenuta inutile e controproducente. Questo clima di aperta ostilità pone alle Nazioni Unite l’urgenza di rivedere le sue priorità per quanto riguarda non solo la Repubblica Democratica del Congo, ma anche e più ampiamente l’intera regione dei Grandi Laghi. La United Nations Strategy For Peace Consolidation, Conflict Prevention and Conflict Resolution in the Great Lakes Region, approvata nel 2020, è la risposta a questa esigenza.
La regione dei Grandi Laghi e le crisi transnazionali
La regione dei Grandi Laghi può essere definita secondo varie interpretazioni, a seconda che si prenda in considerazione l’aspetto geografico, quello geopolitico o quello economico-istituzionale. Concentrandosi sull’ambito geopolitico, però, è possibile focalizzare la propria attenzione su Burundi, RD Congo, Ruanda e Uganda data la loro storica interconnessione in termini culturali, etnici ed economici.
Sin dall’indipendenza, i Paesi della regione hanno sperimentato diverse dinamiche di instabilità legate alla pesante eredità del periodo coloniale, soprattutto in termini di strumentalizzazione etnica, demarcazione arbitraria dei confini e sfruttamento delle immense risorse naturali dell’area. Questi elementi hanno portato al formarsi di dinamiche strutturali di esclusione-marginalizzazione legate all’accesso alla terra, al potere e alle risorse. Discriminazione e marginalizzazione su base etnica, assieme a una persistente debolezza delle istituzioni, hanno spianato la strada al formarsi di aree di violenta anarchia, spesso di natura trans-nazionale, specialmente nelle zone di confine che collegano questi Stati. Negli anni, tale anarchia si è tradotta nella presenza di numerosi gruppi armati, nello sfruttamento illegale delle risorse e nelle persistenti violenze inter-comunitarie e trans-confinarie. A peggiorare la situazione, si pone da decenni la cronica sfiducia che contraddistingue le relazioni tra gli Stati nella regione, la quale porta con sé accuse reciproche di supporto ai gruppi armati, usati quest’ultimi come strumenti di proxy war. L’imminente ritiro della MONUSCO sottolinea l’urgenza di agire per garantire una pace duratura non solo in RD Congo ma, vista l’elevata interconnessione tra i Paesi, in tutta l’area.
La UN Regional Strategy for the Great Lakes tra ambizioni, innovazioni e sfide
La presenza dell’ONU nella regione dei Grandi Laghi è stata negli anni rafforzata dall’istituzione dello Special Envoy of the Secretary-General for the Great Lakes Region (attualmente il cinese Huang Xia), volta a promuovere un approccio regionale alla risoluzione delle molteplici crisi che attanagliano l’area. La UN Regional Strategy for the Great Lakes, sviluppata dall’ufficio dell’inviato speciale Xia e approvata il 22 Ottobre 2020 dal Segretario Generale, ha la scopo di superare il tradizionale approccio “Stato-centrico” per tentare di arrivare a una risoluzione dei conflitti di natura trans-nazionale, che agisca alla radice delle crisi e della loro interconnessione promuovendo una sviluppo pacifico, duraturo e sostenibile per l’intera area, favorendo anche una maggiore coerenza e una più efficace presenza dell’ONU nella regione (elemento, quest’ultimo, che sarà di fondamentale importanza una volta completata la transizione della MONUSCO).
Dal punto di vista dell’implementazione, la Strategia si sviluppa in un arco di tempo particolarmente lungo, ovvero dieci anni. Il testo della Strategia, però, prevedeva un periodo iniziale di almeno tre anni, con scadenza nel 2023, durante il quale l’elemento centrale del piano sarebbe dovuto essere quello di dar vita ad azioni preliminari per il raggiungimento delle priorità strategiche. Tra queste attività preliminari, dal 2020 si è accelerata la messa in atto di programmi a livello locale con l’obiettivo di promuovere il disarmo, la de-mobilitazione e il rimpatrio degli ex-combattenti dei gruppi armati.
Dal 2023, la Strategia dovrà concentrarsi su dieci priorità strutturate attorno a tre pilastri, ovvero: pace, sicurezza e giustizia; sviluppo sostenibile e prosperità condivisa; resilienza verso le sfide future. Tra le priorità, è opportuno citare la volontà di favorire la shuttle diplomacy delle Nazioni Unite per promuovere un dialogo inclusivo volto ad attuare attività non solo di gestione e risoluzione dei conflitti, ma anche di prevenzione degli stessi, nonché una maggiore cooperazione sulla gestione della sicurezza dei confini. Tra le priorità di tipo economico, invece, è interessante notare come, oltre al favorire la cooperazione economico-commerciale a livello regionale, la Strategia si soffermi sulla gestione sostenibile e trasparente delle risorse naturali, considerata elemento essenziale per favorire stabilità, crescita e benessere diffuso nella regione. Fondamentale da un punto di vista politico-sociale, secondo la Strategia, sarà anche promuovere una maggiore partecipazione femminile nelle dinamiche di mediazione e promozione della pace e della democrazia, rafforzando inoltre l’inclusione delle giovani generazioni nelle attività di peace-building. Da sottolineare anche l’impegno già avviato (e che la Strategia ha intenzione di rafforzare) per la lotta all’impunità e l’accesso ai diritti, ritenuti anche questi elementi cruciali per combattere alla radice problematiche destabilizzanti come apolidia, impunità per crimini di guerra e crimini contro l’umanità e aumento delle internally displaced persons.
Il terzo pilastro centrato sulla resilienza verso le sfide future è, probabilmente, il più complesso e, allo stesso tempo, urgente. La complessità deriva dal fatto che si tratta di obiettivi di lungo periodo, incentrati su politiche di peace-building per niente semplici da attuare in una regione che presenta una cronica fragilità istituzionale. Allo stesso tempo, con l’imminente ritiro della MONUSCO, l’area orientale della RD Congo e le zone di confine con Ruanda, Uganda e Burundi rischiano di rimanere vittima delle controversie tra gli Stati e dell’incapacità di questi ultimi di far fronte alle terribili conseguenze delle sfaccettate problematiche di natura umanitaria.
Conclusione
Se l’approccio regionale ai Grandi Laghi sembra intuitivo per risolvere crisi che si presentano strettamente interconnesse tra loro, l’estrema fragilità dell’area può portare la Strategia a sbattere contro un muro ben prima del 2030. Allo stesso tempo, le Nazioni Unite si trovano di fronte al bivio di dover ripensare il loro approccio dopo l’emergere del malcontento nei confronti di una delle più importanti missioni di peacekeeping, sia in termini di budget che di personale operativo. La moltitudine di aree e obiettivi presa in considerazione può risultare ambiziosa nel lungo periodo, ma a ciò si affianca anche una lucida analisi attuata dal sistema ONU per quanto riguarda la comprensione della complessità della regione, la quale può superare le sue sfide solo attraverso una soluzione che si ponga l’obiettivo di estirpare alla radice le molteplici cause destabilizzanti.