I diversi Stati europei, pur secondo misure e modalità diverse, fanno i conti con il proprio passato coloniale. L’Unione europea è invece pressoché dispensata da riflessioni di questo tipo, nonostante l’origine del processo di integrazione europea sia stata ampiamente influenzata da considerazioni di stampo coloniale.
‘Eurafrica’
Per comprendere la relazione tra integrazione europea e colonialismo è necessario partire dal concetto di Eurafrica. Con questo termine ci si riferisce ad un progetto di integrazione strategica tra i Paesi europei e quelli africani. Ideata negli anni ’20 dal pioniere dell’idea di Europa unita Richard Coudenhove-Kalergi, la nozione di Eurafrica riprende slancio all’indomani della Seconda Guerra Mondiale nella sfera pubblica europea. Le motivazioni per cui questo progetto risulta allettante per la classe politica dell’epoca sono molteplici. L’Africa viene pensata innanzitutto come un’appendice da cui trarre preziose e abbondanti materie prime che mancano al Vecchio Continente, uscito devastato dai conflitti mondiali. Collegato al progetto economico vi è quello politico: con il delinearsi della Guerra Fredda e della spartizione del globo in zone di influenza tra USA e URSS, l’integrazione con l’Africa è il tentativo dell’Europa di costituire un terzo polo di potere. I sostenitori del progetto di Eurafrica ne affermano i vantaggi per entrambe le parti, ma è indubbio che si tratti di un’iniziativa imperialistica e fortemente asimmetrica a favore dell’Europa. Nell’idea di Eurafrica si riconoscono le tipiche dinamiche di un rapporto coloniale, prima tra tutte la divisione – sia concreta sia immaginata – tra un centro ed una periferia, dove il primo guida la seconda perpetuando un rapporto di interdipendenza a proprio beneficio. Esplicitamente o meno, alla base di questa logica vi è anche una divisione binaria tra un’entità politica (ed una popolazione) moderna avanzata ed un’altra arretrata e immatura.
Integrazione europea e Sud globale
Il progetto di integrazione europea inizia in un momento in cui i processi di decolonizzazione sono già avviati, ma quattro dei sei membri fondatori – Francia, Belgio, Paesi Bassi ed Italia – hanno ancora possedimenti coloniali (con la dicitura di ‘amministrazione fiduciaria’ per quanto riguarda la Somalia italiana), la maggior parte dei quali in Africa. Sono specialmente Francia e Belgio, con il supporto della Germania di Adenauer, a spingere per una gestione collettiva dei rapporti con i Paesi sottoposti. Già nei primi anni ’50 l’Eurafrica appare come una priorità strategica all’interno del Consiglio d’Europa (organo estraneo all’Ue tra i cui membri originali figura il Regno Unito), ma risultati tangibili arrivano con il Trattato di Roma. La parte IV di questo trattato, firmato nel 1957, prevede infatti l’associazione al mercato unico dei ‘territori d’oltremare’ sotto il controllo di Paesi europei. Oltre a specificare le modalità di associazione, il trattato istituisce un Fondo europeo di sviluppo, volto all’erogazione di aiuti tecnici e finanziari a questi Paesi. A questo stadio, il potere decisionale è esclusivamente in mano europea. Grazie ai movimenti di liberazione precedenti la terza ‘ondata’ di decolonizzazione e ad un cambiamento in seno al discorso pubblico europeo, il progetto di Eurafrica come immaginato tra gli anni ’20 e gli anni ’50 non si realizza. I successivi trattati stipulati con i nuovi Stati indipendenti (le Convenzioni di Yaoundé I-II e di Lomé I-IV fino agli attuali Accordi di Cotonou) si sono progressivamente mossi verso una visione delle relazioni tra l’Europa e il Sud globale più equa, sostenibile e solidale. Tuttavia, nel dibattito (non affrontato in questa sede) che chiede se queste relazioni, attraverso cui l’Ue esercita il proprio soft power, costituiscano una forma di neocolonialismo o meno, non si può ignorare come le loro fondamenta – ideologiche, istituzionali, economiche – siano radicate in dinamiche coloniali.
Il colonialismo nella memoria dell’Ue
L’Unione europea attribuisce una grande importanza alla storia comune del continente e alla memoria collettiva come fonti di unità e solidarietà. Le riflessioni in merito al colonialismo rimangono tuttavia generalmente relegate nella sfera della memoria nazionale, anche se un primo segnale di cambiamento di direzione è rappresentato dalla risoluzione adottata nel 2019 dal Parlamento europeo sui ‘diritti fondamentali delle persone di origine africana in Europa’, la quale menziona espressamente i retaggi del colonialismo sulla società contemporanea. La narrativa riguardante l’origine dell’Ue è spesso quella di una ‘Immacolata Concezione’, come viene definita da Peo Hansen e Stefan Jonsson, due dei pochissimi studiosi ad affrontare il nesso tra colonialismo ed integrazione europea. Secondo questa visione, sono il puro desiderio di concordia, pace e prosperità collettiva ad aver messo in moto il progetto europeo. Pur essendo stati tali sentimenti forti propulsori per l’integrazione, è altresì vero che ogni entità politica (ri)formula la propria storia evidenziandone le dinamiche e gli eventi che più si confanno alla visione di sé che vuole promuovere. Per l’Unione europea, i paradigmi storici negativi comuni rimangono perlopiù i nazionalismi, in connessione con la Seconda Guerra Mondiale e la Shoah. Anche la progressiva inclusione nell’Unione di Stati storicamente privi di colonie ha incentivato questa narrativa. Tuttavia, l’eredità del periodo coloniale è ancora viva a livello sociale, politico ed economico non solo per i singoli Paesi colonizzati o colonizzatori, ma anche per l’intera Ue. Promemoria di ciò è per esempio la ‘crisi’ migratoria, la risposta alla quale si è rivelata frammentata nonostante l’immigrazione sia ampiamente di competenza comune. Aprire un dibattito a livello istituzionale sul passato coloniale dell’Ue e dei suoi membri dunque non solo è necessario per una questione di correttezza storica, ma è anche un punto di partenza per sancire una rottura radicale con pratiche contrarie ai valori e agli obiettivi dell’Unione.