Il bacino del lago Ciad è un’area transfrontaliera tradizionalmente caratterizzata da una pervasa fragilità strutturale di natura socioeconomica; questa zona è stata travolta negli anni dagli sviluppi violenti dell’estremismo islamico, con ripercussioni di natura regionale. Boko Haram, ora diviso tra ISWAP e JAS, rappresenta da circa vent’anni un fenomeno di destabilizzazione territoriale con affiliazioni internazionali, che mira alla delegittimazione dello Stato nigeriano e dell’organizzazione sociale di tipo secolare. La porosità dei confini che caratterizza le frontiere nell’area del Lago Ciad ha favorito negli anni la resilienza del gruppo, che è riuscito a riorganizzarsi e a resistere sia ai massicci interventi di truppe governative che alla morte del suo fondatore nel 2009.
Seppur il gruppo estremista non rappresenta, ad oggi, una sfida di tipo internazionale, si tratta di una pesante minaccia alla sicurezza della regione e dei vari paesi che si affacciano sul Lago Ciad. Il sistema di reclutamento e la diffusa violenza della sua azione, sono legate in maniera profonda- sia come nesso di causa che come effetto- alla fragile situazione socioeconomica delle popolazioni che abitano nell’area. Capire le radici storiche e le caratteristiche strutturali che hanno portato il gruppo a proliferare, insieme a un’analisi delle risposte collettive e il loro impatto, è un importante esercizio per la comprensione delle cellule estreme e violente, presenti anche in altre zone del continente africano.
Radici storiche – I fallimenti della transizione democratica e lo scontro con lo Stato secolare
La storia di Boko Haram è intrinsecamente legata alle conseguenze e alle dinamiche della transizione democratica della Nigeria nel 1999. Dopo decenni di instabilità politica, connotati dall’alternanza di periodi democratici e colpi di stato militari, iniziò nel 1999 la quarta Repubblica nigeriana dopo il passaggio pacifico e democratico dei poteri dal Generale Abdusalami Abubakar a Olusegun Obasanjo. Con le elezioni del 1999 si aprì una nuova finestra democratica per la Nigeria, il Paese si configurò come una Repubblica Federale e venne promulgata una nuova costituzione. La nascita del sistema federale a 36 stati, però, aprì la strada a una serie di dilemmi giuridici sulla divisione dei poteri e delle responsabilità.
Nel Nord del Paese, a maggioranza musulmana, questo dibattito sulla divisione di poteri tra stato federato e governo centrale si concentrò inizialmente sull’adozione della Sharia. La discussione sulla proposta di una governance basata sulla Sharia si trasformò in un motivo di tensione e divisione all’interno delle comunità islamiche: la questione finì per assumere sempre maggiore importanza nella vita politica regionale, orientandola verso un tipo di politica identitaria e verso la creazione di reti di clientelismo religioso-politico (Matfess, 2017). Oltre al rafforzarsi del legame tra politica e religione, un’altra conseguenza della democratizzazione del 1999 fu la disillusione che seguì la fine degli anni Novanta, quando molte comunità si resero conto che la transizione democratica non era stata accompagnata da una ridistribuzione del benessere economico (Erameh, 2018). Fu in questo clima, di frustrazione per le speranze disattese e una tendenza sempre più marcata verso una politica identitaria e divisiva, che ascese alla cronaca Mohammed Yusuf.
Nel 2002, Yusuf Mohammed fondò la moschea di Ibn Taymiyyah Masji. Qui, il predicatore offriva svariati servizi di sostegno attraverso un sistema di assistenza mutuale. I servizi associabili a un sistema di welfare informale andavano a sostituirsi allo Stato, che nel nord del Paese risultava spesso negligente e lontano dai cittadini. Fu proprio questo sistema organizzativo di assistenza mutuale che accrebbe la fama di Yusuf nella regione, portandolo nel tempo ad avvicinare sempre più persone di etnia e classe sociale diversa (Matfess, 2017). La moschea portava avanti anche una posizione ideologica in opposizione con le correnti teologiche esistenti: nello specifico, si tratta dell’adozione del concetto di Al-walā’ wa-l-barā’, interpretata da Alex Thurston (2017) e altri studiosi dell’Islam come un diritto a sconfessare coloro che sono considerati “infedeli”, accoppiato con una “lealtà esclusiva ai ‘veri’ musulmani”. L’obiettivo di delegittimare il governo centrale, i vari tentativi di ripudiare il controllo delle autorità, la forte condanna alle istituzioni e il rifiuto dello Stato in nome dei precetti coranici furono gli elementi cardine dell’ideologia di Yusuf e che portarono a una spirale di violenza tra il gruppo e le autorità.
Nel 2009, uno scontro per la mancata osservanza della regolamentazione sui caschi tra adepti della comunità e forze dell’ordine si trasformò in un conflitto a fuoco: questo diventò il casus belli per Yusuf Mohammed. Nelle settimane seguenti, il predicatore diffuse molti messaggi rivolti ai propri seguaci invocando alla jihad. La spirale di tensione ed episodi violenti sia da parte dei seguaci della setta che delle forze governative aumentò, fino alla cattura di Mohammed Yusuf, ucciso con un colpo d’arma da fuoco mentre era in custodia della polizia (Walker, 2016). Questa vicenda trasformò la sua immagine in quella di un martire, contribuendo alla resilienza del gruppo che si riformò nel 2010 intorno alla figura di Abubakar Shekau, braccio destro del fondatore.
Il cambio al vertice ebbe profonde ripercussioni sulla natura strategica e tattica del gruppo militante: la frequenza, la letalità e la sofisticazione degli attacchi di Boko Haram aumentarono drammaticamente sotto Shekau, presumibilmente come risultato di una maggiore cooperazione con Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). Nell’anno immediatamente successivo al cambio di leadership la setta di Yusuf si trasformò completamente in un gruppo estremista violento, portando avanti numerosi attacchi contro figure pubbliche ma anche semplici cittadini, fino a che nel 2011 il presidente Jonathan dichiarò lo stato di emergenza nelle aree di Yobe, Borno, Plateau e Niger. In questa fase dell’organizzazione, molti abitanti delle zone rurali iniziarono ad unirsi al gruppo dopo aver abbandonato le attività agricole, di pesca e simili a causa del prosciugamento del Lago Ciad (Albert, 2017).
Boko Haram si è evoluto nel tempo, trasformandosi da un fenomeno di violenza settaria, connotato da un basso livello di ideazione, in un’insurrezione più coordinata, caratterizzata da un più alto livello di coordinazione e sofisticazione orientata alla delegittimazione stessa dello Stato nigeriano. Il gruppo ha stabilito legami con Al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM), Al-Shabaab in Somalia e Al-Qaeda nella penisola arabica, da dove ha ricevuto addestramento avanzato e sostegno monetario per le sue attività insurrezionali e strategiche in Nigeria (Gilbert, 2014). L’estrema violenza indiscriminata perpetrata da Boko Haram sotto la guida di Abubakar Shekau ha generato all’interno dell’organizzazione delle tensioni, specialmente alla luce delle brutali azioni contro le comunità musulmane, che sono culminate nella scissione del gruppo che oppone la Provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico (ISWAP) alla Jama’atu Ahl al-Sunnah lil-Dawa wal-Jihad (JAS).
Ciononostante, la divisione tra ISWAP e JAS è meno chiara di come potrebbe apparire (Cairo International Center for Conflict Resolution, Peacekeeping & Peacebuilding, 2019): l’uccisione di Mamman Nur da parte dei suoi stessi combattenti, la morte di Abubakar Shekau e Abu Musab al-Barnawi, la ritirata dell’ISIS e la necessità di trovare risorse potrebbero portare i due gruppi a riunificarsi presto nella conformazione originale di Boko Haram.
Caratteristiche strutturali per la proliferazione- Geopolitica del Lago Ciad
Il bacino del lago Ciad è un crocevia naturale tra diversi Stati africani dell’area centro-saheliana e nord-occidentale. Con un’estensione significativa -seppur variabile rispetto ai fenomeni atmosferici- e la sua ricchezza idrologica si tratta, infatti, di un importante punto di interesse sia geografico che politico per vari paesi africani. Data la sua posizione strategica, la regione del lago Ciad è storicamente il centro di un sistema di commercio regionale e transfrontaliero di carattere informale. L’intera area intorno al lago Ciad è fortemente dipendente dalle vie commerciali informali che interessano il bacino, in quanto si tratta di una zona senza sbocco sul mare (Magrin and Pérouse, 2018).
La regione dipende dal lago non solo per questioni transfrontaliere e commerciali ma anche per l’importante fonte idrologica e di sostentamento che rappresenta: il lago Ciad fornisce cibo e acqua a circa 50 milioni di persone e sostiene ecosistemi e biodiversità unici (PhamDuc, B & all, 2020). Il lago è naturalmente soggetto alla variabilità climatica, accresciuta negli ultimi decenni dal cambiamento climatico antropogenico, tanto da diventare un simbolo del rischio ambientale: la NASA stessa lo definì il “lago che sta scomparendo” (NASA, 2001). Le economie di molte nazioni africane, comprese quelle che si affacciano sul bacino del Lago Ciad, dipendono significativamente da settori che richiedono un elevato utilizzo d’acqua come l’agricoltura e la produzione di energia idroelettrica. Pertanto, le sfide relative alla disponibilità e l’accesso all’acqua, insieme agli impatti del cambiamento climatico, possono influenzare drammaticamente il nesso esistente tra acqua, energia e sicurezza alimentare.
La regione del bacino del lago Ciad illustra, infatti, un caso tipico di bacino transfrontaliero, caratterizzato da un paesaggio intersecato da scarsità di acqua, insicurezza alimentare e dei mezzi di sussistenza, e una cospicua mobilità. L’interazione tra questi elementi agisce sia come causa che come effetto dei conflitti. Negli anni i lavori nel settore ittico si sono drasticamente ridotti in risposta al progressivo deterioramento delle condizioni del lago e della diminuita redditività delle attività ittiche, mettendo a dura prova il tessuto economico dei villaggi nell’area. L’impoverimento delle risorse del lago ha un impatto negativo anche sull’allevamento e sulle rese dei raccolti, contribuendo ancora di più all’insicurezza alimentare e alla povertà delle popolazioni che abitano nella zona. Nonostante la situazione critica, il quadro potrebbe ulteriormente peggiorare a fronte della crescita demografica che sta investendo la regione. Il numero di persone dipendenti dalle risorse del lago è passato da 13 milioni negli anni Sessanta a circa 30 milioni negli anni 2000, ed è destinato a crescere e arrivare fino a 80 milioni nel 2030 (Frimpong, 2020).
L’insicurezza alimentare e il deterioramento delle opportunità lavorative scatenati dalla variabilità del livello delle acque del lago Ciad hanno creato un clima fertile per la nascita di organizzazioni criminali e terroriste. La diminuzione delle risorse del lago Ciad, il deterioramento dei principali settori produttivi e di sostentamento, la disoccupazione giovanile di massa e l’aumento della povertà hanno contribuito ad alimentare la diffusione della violenza di Boko Haram e dell’ISWAP nella regione, rendono i giovani più suscettibili al reclutamento da parte di gruppi estremisti violenti (Kangdim Dingji, Umut, Sait, 2020).
Dinamiche transnazionali – Reclutamento e risposte collettive nella regione
La presenza di Boko Haram nella regione del Lago Ciad è vista dalla maggior parte degli studiosi come minaccia alla sicurezza collettiva dei paesi che vi si affacciano. Vari fattori hanno concorso a rendere Boko Haram un’organizzazione transnazionale, rendendola capace di espandere la propria presenza e rete di reclutamento al di fuori dei confini nigeriani. Il vasto sistema di reclutamento nella regione è stato possibile anche grazie a una difficile situazione economica comune nell’area del Lago Ciad e una diffusa mancanza di servizi. Boko Haram, come la maggior parte delle organizzazioni terroristiche, mette in atto diverse strategie per reclutare individui. Le principali sembrano essere: promesse di migliori condizioni economiche, arruolamento forzato, prestiti e usura.
• La promessa del raggiungimento di migliori condizioni economiche è identificata come una strategia utilizzata da Boko Haram per reclutare i propri membri. Gli studi citati da Kangdim Dingji, Umut, Sait (2020) mettono in evidenza che la maggior parte degli individui indicano la mancanza di opportunità economiche, la povertà, la disoccupazione e l’accesso a migliori condizioni di vita come motivi per unirsi al gruppo terroristico. Boko Haram è riuscito, dunque, a capitalizzare l’assenza dei governi nel servire adeguati servizi di welfare, promettendo a chi viene reclutato degli incentivi finanziari.
• L’arruolamento forzato va di pari passo con i diffusi rapimenti operati da Boko Haram e le brutali violenze nei villaggi. Lo Human Rights Watch (2019) ha raccolto varie interviste alle vittime dell’organizzazione che testimoniano come i militanti reclutino con la violenza e la forza sia adulti che bambini. Si tratta, inoltre, di una strategia di reclutamento economicamente sostenibile per il gruppo e particolarmente proficua.
• Boko Haram ha sviluppato anche un modello di business fondato su dei prestiti in denaro che diventano poi una trappola per chi ne usufruisce (Sigelmann, 2019). In questo modo i militanti offrono liquidità immediata a giovani disoccupati o lavoratori in difficoltà. Chi non riesce poi a ripagare i propri prestiti è generalmente costretto a unirsi al gruppo o collaborare fornendo informazioni sui movimenti delle forze governative.
Uno dei fattori che ha facilitato l’ascesa regionale dell’organizzazione terroristica e la proliferazione del suo sistema di reclutamento è stata anche la porosità delle frontiere della Nigeria, specialmente nella regione del lago Ciad. Questo ha permesso alle persone di migrare illegalmente nel paese, senza adeguate misure di prevenzione e controllo dei confini. Il protocollo ECOWAS sulla libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi, ha creato ulteriori possibilità per una circolazione incontrollata da uno Stato all’altro, specialmente per mercenari e criminali. Nel 2013 l’ECOWAS, in risposta alla dilagante violenza per mano di Boko Haram, ha anche sviluppato una strategia antiterrorismo ad hoc per la regione, ancorata su tre pilastri chiave: Prevenire, Perseguire e Ricostruire. I risultati di queste misure, però, non sono stati abbastanza significativi da implementare un appropriato sistema di controllo delle frontiere.
Come anticipato, le difficili condizioni economiche in cui versa la popolazione dell’area sono legate a doppio filo con le risorse del lago Ciad. Nel 1964, infatti, i quattro paesi che si affacciano sul lago fondarono la Commissione del Bacino del Lago Ciad (LCBC). Nonostante la LCBC sia stata creata con un mandato tecnico, il riconoscimento dell’acqua come potenziale fattore di conflitto e instabilità è riconosciuto sia nella Convenzione e nello Statuto del 1964 ma anche nella Carta dell’acqua del 2012. Grazie a questa vasta definizione degli obiettivi, il LCBC ha assunto negli anni un ruolo importante anche nel settore legato alla sicurezza e alla lotta contro Boko Haram, contribuendo all’organizzazione di risposte militari condivise (Galeazzi et al., 2017). I paesi del bacino del Lago Ciad hanno istituito anche una Multinational Joint Task Force (MNJTF) nell’Aprile 2012: composta da elementi del Ciad, Niger, e dalle forze armate nigeriane. Nel 2014 Boko Haram arrivò a controllare una porzione di territorio pari all’area del Belgio, dichiarando la nascita del califfato (Matfess, 2017). L’anno seguente, nel 2015, la missione della MNJTF fu ulteriormente ampliata: la MNJTF ricevette un mandato ad hoc per contrastare Boko Haram. In pratica, però, il mandato della MNJTF non copre tutte le operazioni necessarie per uno sradicamento effettivo di Boko Haram: lo scopo della missione si limita a rendere sicure le frontiere tra i paesi del Lago Ciad. Tuttavia, la MNIJTF è riuscita, seppur non senza difficoltà, almeno a operare un ruolo di cerniera e ridurre le attività criminali transfrontaliere (Albert, 2017).