L’attuale guerra in Ucraina ha fatto sì che anche in Italia si iniziasse a discutere dell’aumento del budget della difesa al 2% del Pil. Il semplice incremento delle spese militari però non basta. Serve molto altro.
Il 16 marzo la Camera dei deputati ha approvato un Ordine del Giorno all’interno del Decreto Ucraina che vincolava il governo ad aumentare le spese per la difesa. Le divisioni attuali all’interno della classe politica hanno però portato all’approvazione del decreto al Senato senza l’Ordine del Giorno appena citato. Nonostante ciò, anche in Italia, data la guerra in Ucraina in corso, si è ripreso a parlare di spese per la difesa, come in altri Paesi europei: la Germania punta a innalzare il proprio budget per la difesa al 2%, entro il 2024 (con stanziamento di circa 100 miliardi), così come la Svezia e la Polonia, dove il presidente Duda ha firmato una legge che mira all’aumento delle spese al 3% del Pil entro il 2023.
Il percorso che porterà il budget della difesa italiana dai circa 25 miliardi attuali ai circa 38 necessari per raggiungere il famoso obiettivo del 2% del Pil – richiesto durante il vertice NATO del 2014 in Galles – sarà graduale (dovrà avvenire entro il 2028 secondo il ministro Lorenzo Guerini), complici anche le difficoltà economiche che molto probabilmente l’Italia e l’Europa dovranno affrontare a causa della crisi in Ucraina e di tutto quello che ne deriverà. L’aumento del budget delle spese per la difesa però non basta. È necessario prima comprendere come e in quale direzione utilizzare queste future risorse economiche. Dal 2015, anno di pubblicazione del Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, il Mediterraneo allargato è considerato l’area principale della sicurezza nazionale. La stabilità di questa area risulta quindi fondamentale per il nostro paese: per questo motivo è in atto un graduale riposizionamento strategico delle forze armate italiane, maggiormente concentrate in questa regione piuttosto che in altre aree internazionali. È necessario aumentare e migliorare le capacità volte a contrastare quei fattori destabilizzanti, come le migrazioni di massa, i traffici illeciti e la penetrazione di attori collegati al terrorismo internazionale.
La gestione delle risorse negli ultimi anni
La Legge 244/2012 (Legge Di Paola) prevedeva la suddivisione del bilancio militare italiano secondo la seguente ripartizione: un tetto massimo del 50% delle spese per il Personale, del 25% per gli Investimenti e del restante 25% per la voce Esercizio (disponibilità e mantenimento di scorte adeguate e addestramento). Nell’ultimo periodo c’è stato un incremento delle spese riguardo alla voce investimenti (5.421 milioni di euro nel 2022, contro i 4.036,6 dell’anno scorso), grazie alla somma di una serie di interventi approvati negli ultimi 5 anni. L’Aeronautica Militare ha ordinato gli F-35A (e gli F-35B sia per la componente dell’Arma Azzurra che per quella della Marina) e soprattutto ha dato il via alla fase di ricerca e sviluppo del nuovo caccia di sesta generazione Tempest. Vanno poi ricordati i nuovi aerei da guerra elettronica Gulfstream, le nuove aerocisterne per il rifornimento in volo KC-46, e un nuovo centro radar spaziale di Poggio Renatico, senza dimenticare i progetti in ambito PESCO dell’eurodrone classe MALE e del nuovo sistema di difesa aerea e missilistica, il Twister.
Le novità sulla Marina Militare riguardano le nuove navi ausiliarie e da supporto logistico, i nuovi radar missilistici per le fregate Orizzonte e la nuova rete di radar costieri. A tutto questo va aggiunto l’importante progetto PESCO delle corvette europee, l’European Patrol Corvette, del quale l’Italia è il coordinatore, e la volontà di dotare le fregate FREMM e i sommergibili di missili da crociera Cruise. Il previsto pensionamento di gran parte della flotta navale ha innescato un piano di sostituzione a lungo termine che include la potenziale acquisizione di due cacciatorpediniere di prossima generazione.
Per l’Esercito ci sono i nuovi blindati Lince 2 e i nuovi elicotteri AW-169. Non vai poi dimenticato il Veicolo Blindato Medio Freccia, il primo veicolo interamente digitalizzato che gli permette di essere il centro delle connessioni tra soldati, piattaforme robotiche aereo-terrestri e sistemi di comando e controllo. Rimane però ancora il problema dei carri Ariete: l’Italia dispone di circa 200 di questi carri armati, prodotti negli anni 90 e ormai obsoleti. Il loro attuale aggiornamento non è sufficiente: è essenziale una loro sostituzione a favore di un carro più moderno e adatto alle esigenze della nostra difesa. Le ingenti perdite di carri armati russi durante l’attuale guerra in Ucraina dimostrano la necessità di avere carri sempre aggiornati. Stessi elicotteri e blindati, oltre a camionette e autocarri, anche per i Carabinieri.
Se riguardo agli investimenti l’Italia sembra aver imboccato la strada giusta, anche se ancora lunga, lo stesso non si può dire riguardo alla voce Esercizio, fondamentale per aumentare l’efficacia dello strumento militare, la quale ha una spesa ancora troppo bassa (si è passati dai 2.284,4 milioni nel 2021 ai 2.070,2 milioni del 2022). Una delle cause di ciò può essere sicuramente ricercata nelle spese della voce Personale, ancora troppo elevate (nonostante i limiti imposti dalla legge del 2012). Nel Bilancio della Difesa per 2022 è prevista una nuova crescita di tali spese, dai 10.488,4 milioni del 2021 ai 10.604,3 quest’anno. Questo tipo di spese crescono senza sosta da anni e nulla indica che tale tendenza si interromperà nel prossimo futuro, nonostante la lenta riduzione degli organici prevista sempre dalla legge del 2012 (entro la fine del 2024 era atteso il passaggio a un Modello di Difesa basato su 150.000 militari e 20.000 civili, ma è stato prorogato al 2030). A tutto ciò si aggiunge l’eccessivo innalzamento dell’età media del personale e i forti squilibri numerici tra i vari ruoli. Su questa tema dovranno essere presi i provvedimenti più significativi. Una parte consistente delle risorse per il Personale dovrà essere dirottata verso la voce Esercizio, sicuramente la componente più sacrificata negli ultimi anni. Un mancato aumento delle spese per quest’ultima rischia seriamente di portare le nostre forze armate a una perdita di efficacia e di capacità operative.
Questo aumento delle spese militari non deve essere percepito come una sorta di corsa al riarmo ma risulta fondamentale per aumentare l’efficienza delle nostre forze armate, in modo tale da perseguire al meglio gli interessi strategici italiani. Investire nella difesa ha anche un altro obiettivo: quello di mantenere prestigio e credibilità a livello internazionale, come ha più volte evidenziato il ministro Guerini. Per questo è indispensabile una seria discussione pubblica sull’argomento per capire come utilizzare al meglio queste risorse, con il pieno coinvolgimento dell’industria nazionale della difesa. Portare il budget della difesa al 2% del Pil è solo la punta dell’iceberg: in primis serve sviluppare una precisa strategia che abbia obiettivi ben definiti, rivedendo e aggiornando il Libro Bianco del 2015. Questo percorso, che va dall’elaborazione della strategia agli strumenti necessari per attuarla, deve essere chiaro e strutturato, andando oltre i singoli governi che si succederanno nel prossimo futuro. Solo in questo modo l’Italia potrà affrontare le prossime sfide nel Mediterraneo allargato e potrà contribuire al meglio al rafforzamento della difesa europea e alla sicurezza del fianco sud della NATO.
Andrea Recchia
Centro Studi Geopolitica.info