“Ricci, da Geografo qual è, lo racconta molto bene a questo stato di eccezione, che però sembra non finire più, corrispondono spazi eccezionali perché sospesi, sospesi perché incerti. Diciamo pure un paesaggio urbano inedito e spettrale, che sembra partorito dalla fantasia di un Saramago, fatto di uffici semivuoti, parcheggi deserti, serrande abbassate, piazze e vie prive di passanti, università, teatri e cinema tristemente chiusi.”
Questo scrive nella sua prefazione Marcello Tanca, nel descrivere la vita delle nostre città e delle nostre case. Ma anche quelle dall’altra parte del mondo. Dalla Cina, da dove tutto è cominciato, alle Americhe, in Europa, e così via. Deserto, paura, morte. Sembrava di essere più che in un romanzo di Saramago e in un film di Kubrick. In questi due anni di pandemia il mondo ha vissuto con la paura, con una spada di Damocle, anche l’aria che si respirava faceva paura. Faceva paura anche il vicino di casa. Niente più abbracci e strette di mani. Le mascherine. I coprifuochi. I ricoveri negli ospedali. Insomma scene di dolore e di pianti erano all’ordine del giorno. Si moriva soltanto e non si parlava di guarigione.
Nel suo saggio “Spazi di Eccezione. Riflessioni geografiche su virus e libertà” ( pagg.120, Castelvecchi, Roma, 2021) Alessandro Ricci, ha cercato di ragionare su quanto accadeva, sulla gestione dell’epidemia e sulle conseguenze che avrebbe portato, focalizzandosi sugli spazi e il loro rapporto con l’uomo e il potere. Nulla sarebbe stato più come prima e le nostre vite sarebbero state trasformate. Un “dovere intellettuale”, come dichiara lo stesso Ricci, che analizza il tempo pandemico alla luce dell’idea di “Geografia dell’incertezza”.
Tuttavia il libro, maneggevole e scorrevole, si presenta come una sorta di manuale delle istruzioni, attraverso cui rivalutare fatti e percezioni che ciascuno di noi, nessuno escluso, ha vissuto direttamente.
Nel suo appello finale, Alessandro Ricci auspica da parte dell’uomo di “riprendersi i suoi spazi”, un invito alla riconquista della libertà. Dopo due anni di privazioni, di sacrifici, di rinunzie, la scienza sembra avere vinto sul virus e noi di essere tornati alla normalità.
“Al geografo, che è non solo lo studioso ma potenzialmente ognuno di noi- conclude l’autore- il potere e l’onere di questa riconquista.”