Il taglio dei fondi europei alla Polonia per il caso della miniera di Turow appare come l’ennesimo evento legato alla discussione sulla politica energetica, che vede scontrarsi Unione Europa e paesi del Gruppo Visegrad, e che sta apportando notevoli cambiamenti di rotta nelle politiche green europee. Uno dei principali temi di discussione è sicuramente l’inserimento dell’energia nucleare come fonte alternativa nella Taxonomy for sustainable activities dell’Unione Europea, la quale ha acuito il divario tra le fazioni negli Stati membri: da una parte i paesi Visegrad che, supportati dalla Francia, vedono il nucleare come via per l’indipendenza energetica, dall’altra invece la Germania, che con la sua politica di allontanamento dal nucleare supporta la fazione che vede il gas naturale come unica via per una transizione energetica verso la carbon-neutrality.
Il taglio ai fondi polacchi
La frattura tra Unione Europea e Polonia ha visto un nuovo recente picco, in quanto Bruxelles ha deciso di ridurre di 15 milioni di euro i fondi destinati allo Stato per il recupero di una multa che il governo di Varsavia ha rifiutato di pagare. Nel 2020, infatti, la Polonia ha esteso per sei anni l’utilizzo della miniera di lignite di Turow, al confine con Germania e Repubblica Ceca; il governo di Praga ha quindi denunciato l’evento ai giudici della Commissione Europea a causa sia del notevole inquinamento di acqua e aria che potrebbe comportare l’estrazione mineraria, sia a causa del massimo sfruttamento delle risorse idriche sotterranee della zona. L’Unione Europea ha quindi condannato la Polonia al pagamento di una multa di 500mila euro al giorno fino alla cessazione dell’utilizzo della miniera, nonostante un accordo stipulato tra Varsavia e Praga, nel quale la Repubblica Ceca avrebbe ritirato la denuncia in cambio di 45 milioni di euro e la promessa di un ammodernamento delle strutture di estrazione mineraria polacche al confine. Il taglio dei fondi per il recupero di tale somma (71 milioni di euro, comprendenti un periodo di tempo che va dal 20 settembre 2020 al 19 ottobre 2021) è un’azione usata per la prima volta nella storia dell’Unione, alla quale la Polonia si oppone, affermando che l’UE non abbia alcuna autorità per chiudere una miniera che, ad oggi, produce il 7% dell’energia del Paese.
La discussione sul nucleare
Tale ulteriore rottura si va quindi ad inserire alla già presente discussione sull’energia nucleare, la quale ha diviso l’opinione della maggioranza dei Paesi UE. Il gruppo Visegrad, insieme alla Francia, ha infatti sostenuto l’inserimento dell’energia nucleare nella Taxonomy for sustainable activities dell’Unione Europea, affermando che l’abbandono dell’energia nucleare nel continente porterebbe l’Unione a perdere un tassello fondamentale per la transizione dei Paesi UE verso la Carbon-neutrality. Con Tassonomia UE si intende la classificazione di tutte le attività economiche che possono essere considerate sostenibili in tutto il territorio dell’Unione Europea, e che possono quindi ottenere finanziamenti sia dalla stessa Comunità che da mercati esterni.
Obiettivo dei paesi “V4” è infatti quello di sfruttare l’opportunità dell’energia nucleare per favorire non solo un passaggio climate-neutrality più solido nell’area, ma anche per consolidare la propria sicurezza interna e, soprattutto, produrre una indipendenza energetica che permetta loro di non rischiare forti dipendenze dall’importazione di gas naturale estero, come per il caso dell’Ungheria, la quale riceve quasi l’80% delle risorse energetiche necessarie per il suo sostentamento dall’estero. Secondo il gruppo, infatti, l’obiettivo dell’Unione Europea dovrebbe essere quello di creare una solida cornice di supporto agli investimenti per tutte quelle soluzioni capaci di ridurre sia le emissioni di gas che l’utilizzo di fonti inquinanti come olio e carbone; il nucleare appare quindi come una delle soluzioni più rapide per la transizione alla carbon-neutrality.
La Repubblica Ceca ricopre in questa discussione un ruolo centrale, in quanto già dallo scorso dicembre ha fortemente spinto la Commissione Europea per l’investimento sull’energia nucleare; il ministro dell’Industria Jozef Síkela si è definito entusiasta per l’inclusione del nucleare nella tassonomia UE, ma chiede dei miglioramenti del testo in quanto questo suggerisce scadenze oltre le quali gli investimenti in progetti nucleari esistenti e nuovi non sarebbero consentiti. Le parole del ministro arrivano in supporto a quelle del Primo Ministro Petr Fiala, il quale già nel mese di dicembre aveva affermato come non ci potesse essere altro modo per la Repubblica Ceca per una efficace e veloce transizione alle energie rinnovabili se non attraverso l’uso del nucleare. Anche la Polonia ha fortemente sostenuto l’inserimento del nucleare nella tassonomia, approfittando dell’occasione per stipulare accordi con fornitori di energia nucleare come le americane Westinghouse e NuScale, in modo da portare avanti la costruzione di sei centrali nucleari e l’avvio del primo reattore entro il 2033.
Al contrario, Paesi come la Germania e l’Austria si sono dichiarati totalmente contrari all’inserimento dell’energia nucleare nella lista delle fonti rinnovabili, e in una lettera indirizzata a Bruxelles il governo del cancelliere Olaf Scholz ha espresso la sua contrarietà, sottolineando soprattutto l’insufficiente livello di garanzia di sicurezza richiesto dalla Commissione Europea. Nella lettera, il governo tedesco ha fatto riferimento alla scelta dell’adozione del nucleare come un serio azzardo che potrebbe portare ad incidenti su larga scala, e il vicecancelliere, nonché ministro delle Finanze, Roberto Habeck ha affermato che, se la Commissione Europea non avesse rivisto la questione del nucleare nel testo della Taxonomy, il governo di Berlino avrebbe considerato l’idea di rigettare il documento. La Germania tiene infatti le redini della lotta al nucleare, iniziata nel 2011 dopo la catastrofe nucleare di Fukushima, insieme ad Austria e Lussemburgo. Il totale ritiro del nucleare su suolo tedesco è infatti previsto entro la fine del 2022, quando le ultime tre centrali nucleari (delle trentuno totali presenti nel Paese) ancora in funzione cesseranno definitivamente di operare.