Impossibile, in questi giorni, non avere nella mente le immagini di quello che sta tragicamente accadendo in Emilia-Romagna.
Più probabile, invece, è non sapere che la Somalia vive da inizio maggio la stessa condizione se non fosse che questo avviene, nel Paese dell’Africa Orientale, con proporzioni dieci volte superiori a quelle della Regione norditaliana.
Basti pensare che, se in quest’ultima si registrano circa 27mila sfollati, in Somalia si parla di 250mila persone rimaste senza casa e costrette ad abbandonare tutto quello che avevano, causando una delle crisi umanitarie dalle più ampie proporzioni al mondo in questo momento.È chiaro ormai come non si possa più parlare di fenomeni isolati in relazione agli eventi naturali catastrofici causati dal climate change.
L’alluvione
Il 9 maggio il fiume Uebi Scebeli comunemente chiamato fiume Shabelle che nasce nell’Acrocoro Etiopico e scende fino ad avvicinarsi a Mogadiscio, ha straripato brutalmente nella città di Belet Uen, capoluogo della Regione Hiran. Rompendo del tutto gli argini, il fiume ha spazzato via case, raccolti e bestiame, rendendo inagibile qualunque struttura comprese quelle scolastiche e ospedaliere.
A causare l’esondazione è stata una violenta e inarrestabile pioggia che, pur collocandosi nella stagione delle piogge, sembra essere stata di una violenza senza precedenti.
Se infatti la presenza di abbondanti precipitazioni non dovrebbe destare scalpore da aprile a giugno in un Paese come questo, l’imprevedibilità e la forza degli eventi naturali legate al cambiamento climatico hanno portato prima ad una lunghissima siccità e, nei giorni scorsi, a enormi quantità di acqua che hanno reso la situazione incontrollabile.
La siccità
L’ alluvione giunge al culmine di una gravissima siccità che stava facendo sprofondare la popolazione somala nella carestia. Il Paese del Corno d’Africa versava infatti nella più grave siccità degli ultimi quarant’anni: sono ben cinque le stagioni delle piogge saltate causando tre milioni di sfollati e mettendo il Paese in ginocchio ben prima dell’alluvione di questo mese, la quale sembra aver dato il colpo di grazia al Paese.
Quello che apparentemente può sembrare un ossimoro, l’accostarsi di siccità e alluvioni dimostra in realtà, come dimostrato dagli esperti, che queste altro non sono che due facce della stessa medaglia inserite in quella che è una relazione fisiologica di due fenomeni estremi alla quale sempre più dovremo abituarci, anche se è difficile convincere i più scettici sul tema come il Direttore di Libero Vittorio Feltri che su Twitter scrive “se le alluvioni avvengono a causa della siccità vuol dire che gli incendi sono provocati dall’acqua?”.
Migranti climatici
Tre milioni di sfollati per la siccità estrema e ben 250mila a causa della recente alluvione. Questi i numeri spaventosi di persone costrette a migrare internamente ed esternamente. Migranti che a tutti gli effetti possono essere definiti come “climatici”. Secondo la Banca Mondiale, infatti, entro il 2050 i migranti climatici saranno compresi tra i 200milioni e il miliardo di persone a seconda delle diverse stime. Benché attualmente le migrazioni dovute a fattori climatici sono per lo più causate da eventi improvvisi e catastrofici come nel caso somalo, se il costante peggioramento della situazione climatica non venisse opportunamente frenato, in futuro queste migrazioni saranno causate da cambiamenti irreversibili come la scomparsa di intere isole e città.
Il climate change non solo agisce da push factor provocando un aumento dei processi migratori ma va a modificare i modelli migratori stessi aumentando frequenza, distanze percorse e anche le rotte.
Le migrazioni somale si riversano per lo più nei Paesi vicini come il Kenya, lo Yemen e l’Etiopia che maggiormente ricopre il ruolo di Paese di arrivo. Secondo l’ultimo rapporto OCHA sono 180.000 i somali che hanno richiesto asilo in Etiopia e in Kenya da gennaio 2022. Numero destinato a crescere a causa della violenta alluvione.
I processi migratori rappresentano sfide sociali ed economiche importantissime sia per il Paese di emigrazione sia per quello di immigrazione a causa del notevole impatto rivestito dalla conflittualità per l’accesso alle risorse che ne consegue.
Quasi sempre, come in questo caso, a pagare il prezzo più alto in termini climatici sono Paesi che solo in minima parte contribuiscono, attraverso le loro emissioni, al deterioramento climatico del globo. La Somalia, ad esempio, emette emissioni bassissime e non è nuova la richiesta di far pagare, almeno in termini economici, i prezzi maggiori di queste catastrofi naturali ai Paesi maggiormente industrializzati che invece sono responsabili della maggioranza delle emissioni.
Una crisi umanitaria senza precedenti
Le Nazioni Unite descrivono la situazione in cui riversa il vicino dell’Etiopia come una delle più gravi crisi umanitarie al mondo. Sono infatti più di 8.5 milioni le persone che necessitano di assistenza e aiuti urgenti pena la loro sopravvivenza. Cambiamenti climatici e conflitti – sono quasi 700mila i somali costretti a vivere sotto il controllo di gruppi armati irregolari – sembrano non lasciar riposare il Paese che non ha il tempo di uscire da una crisi prima di sprofondare in un’altra.
La Somalia negli ultimi anni ha ricevuto aiuti umanitari ingenti dalla Comunità Internazionale, ma questi sembrano non bastare. Più aiuti vengono stanziati e più ne servono; non perché questi siano inefficaci o inutili ma perché da soli non bastano. Interventi strutturali interni sembrano essere l’unica via di uscita da questo tunnel fatto di buio che il Paese del Corno d’Africa sta percorrendo ormai da tempo.
È vitale investire, di più di quanto non si sia fatto finora, nel legame tra azione umanitaria e di sviluppo: gli aiuti enormi – la Somalia è uno dei Paesi che ha ricevuto più aiuti al mondo negli ultimi anni, si parla di ben 8 miliardi di dollari dalla carestia del 2011 e il Piano ONU di risposta umanitaria 2023 prevede altri 2,4 miliardi di euro di aiuti da destinare al Paese del Corno d’Africa – sono troppo spesso stanziati e destinati ai soli aiuti umanitari e troppo poco si fa invece per aiuti destinati ai cambiamenti sul lungo termine.
Una crisi multidimensionale
Il cambiamento climatico non riguarda solo l’ambiente ma rappresenta una crisi multidimensionale che va ad incidere profondamente su una molteplicità di fattori – politici, economici, sociali, umanitari – che travalicano i confini nazionali portando a conseguenze geopolitiche su altrettanti fattori in tutta la Regione e non solo, pensiamo alle migrazioni.
Eventi metereologici estremi come quello che ha colpito la Somalia a inizio mese, hanno ricadute enormi sulla stabilità di un Paese come quello somalo che basa la sua economia, già gravemente compromessa, su allevamento nomade e produzione agricola.
Mortalità del bestiame, accesso alle risorse idriche, sicurezza alimentare, crescita esponenziale della povertà, enormi flussi migratori, sono alcune delle facce della medaglia del climate change sul Paese del Corno d’Africa che resta così sempre più vincolato alla dipendenza degli aiuti internazionali.
La “sola” siccità estrema aveva comportato la morte di più di 3 milioni di capi di bestiame e migliaia di ettari di campi non utilizzabili oltre che più di 6 milioni di persone senza accesso all’acqua.
Paese, la Somalia, che affacciandosi sull’Oceano Indiano andrà in contro nei prossimi anni alla vulnerabilità costiera: oltre ai rischi di eventi naturali estremi che si potrebbero riversare sulla costa, l’innalzamento dei mari rischia di compromettere in modo irreparabile tanto la pesca quanto l’agricoltura a causa della salinizzazione del suolo.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici vanno ben oltre il solo ambiente permeando tanto il tessuto sociale quanto quello economico e politico di un Paese già fortemente indebolito da povertà e guerra.